Mentre le leader storiche della Pacific Division, Lakers e Suns, annaspano, formazioni meno blasonate come i Los Angeles Clippers, e soprattutto i Golden State Warriors, hanno preso saldamente il loro posto ai vertici della Western Conference e dell’intera NBA.

Nel corso del 2016-17, terranno banco i nuovi Splash Brothers (i due originali, più Kevin Durant), i destini dei Clips di Doc Rivers, Chris Paul e Blake Griffin, il nuovo corso dei Lakers (con Luke Walton in panchina e Brandon Ingram in campo), e restano da scoprire i Phoenix Suns di Devin Booker e Dragan Bender, o i Kings, che saranno pure derelitti, ma vantano un certo DeMarcus Cousins, e il vulcanico GM Vlade Divac.

Insomma, la Pacific è un microcosmo che riproduce su scala ridotta le dinamiche dell’NBA, con tantissime stelle, alcune già affermate, altre in rampa di lancio, una superpotenza conclamata, una squadra che ambisce a diventarlo, e tre diversi progetti di ricostruzione, anzi, pardon, “rebuilding”!

GOLDEN STATE WARRIORS

Quintetto: Stephen Curry (G), Klay Thompson (G), Kevin Durant (F), Draymond Green (F), Zaza Pachulia (C)

Panchina: Andre Iguodala (F), Shaun Livingston (G), David West (F), JaVale McGee (F/C), Ian Clark (G)

Allenatore: Steve Kerr (assistenti: Mike Brown, Ron Adams, Jarron Collins, Willie Green, Nick U’Ren)

Punti di forza: la nuova edizione dei Warriors è leggermente meno profonda dei vecchi Dubs, ma dispone di un quintetto small Curry-Thompson-Durant-Iguodala-Green che farà ammattire più di una difesa. Sanno di essere i nemici pubblici numero uno, e questo contribuirà a tenere alta la tensione.

La presenza in contemporanea di KD e degli Splash Brothers consentirà di gestire i minutaggi delle stelle, e aprirà nuovi orizzonti a Curry e Durant, che saranno un po’ meno raddoppiabili di quanto non fossero fino all’anno scorso.

Punti di debolezza: parlare di difetti è improprio, però proviamoci. L’arrivo di KD aggiunge tiro alla squadra, ma reca inevitabilmente la necessità di costruire equilibri profondamente diversi, in attacco, e in difesa, dove mancherà la presenza stabilizzatrice di Andrew Bogut. In più, la rotazione delle guardie non è profondissima, e Golden State avrà sulle spalle il peso dell’unanime favore del pronostico.

Aggiungete che Durant è stato fischiato anche alla prima uscita di pre-season, a Vancouver (sconfitta contro i Raptors) ed è facile intuire che il grande pericolo per Kerr e i suoi uomini è di natura psicologica.

Previsione: stiamo parlando della squadra nettamente più forte di tutta la NBA, quella capace di schierare contemporaneamente gli ultimi due MVP (nel 2014 Durant, poi doppietta per Wendell Stephen Curry II) e Andre Iguodala, MVP delle Finals 2015. Date le premesse, l’aspettativa per il 2016-17 è una soltanto: il titolo NBA.

La franchigia gestita da Jerry West e Bob Meyers (promosso Presidente delle Basketball Operations) dispone di un roster fantascientifico. G-State ha tamponato la perdita di Bogut con Pachulia, ma in compenso rimpiazza Harrison Barnes con Durant e Speights con David West. In guardia, lotteranno per un posto al sole Ian Clark e il rookie Patrick McCaw.

Il basket è bello perché non si vince solo con il talento: contano testa, unità d’intenti, disponibilità al sacrificio, e a volte si scopre che i più forti “su carta” non lo sono “su parquet”, per un’infinità di motivi, che vanno dall’incompatibilità caratteriale, a quella tecnica.

I nuovi Dubs non hanno difetti tecnici di rilievo, a meno di considerare tale la posizione di pivot (verrà coperta “per comitato” da Pachulia, Varejao, e McGee, oltre, eventualmente, a David West), ma concentrarsi su quest’aspetto significa guardare l’albero anziché la foresta.

Resta da vedere cosa succederà con McGee, storicamente presenza destabilizzante (anche per se stesso) in tutti gli spogliatoi che ha frequentato. Golden State conta di poterlo riformare (come fecero i Bulls con Dennis Rodman), trasformandolo nel lungo da corsa che porterebbe il basket dei Warriors a picchi celestiali; il rischio è di aver sovrastimato la capacità catartica di questo meraviglioso gruppo, accogliendo un corpo estraneo che potrebbe creare distrazioni indesiderate nei momenti meno opportuni.

Sarà importante la mano ferma di Steve Kerr, che negli scorsi Playoffs è sembrato un po’ meno sereno rispetto al 2015 (inevitabilmente, perché quando ti trovi a difendere il titolo, c’è più pressione). Incuriosisce l’arrivo nel suo staff di Mike Brown. Brown è famoso per l’abilità difensiva (ma non c’era già Adams?) e per la totale incapacità di mettere in campo un attacco fluido (non c’è riuscito neppure con Kobe e Gasol!).

Al netto di questi dubbi, resta una squadra che può schierare forse i tre migliori tiratori tra gli esterni NBA, e vanta un contesto tecnico studiato alla perfezione per consentire loro di dare il meglio. Se non basta, c’è la “garra” di Green e West, e l’infinito know-how di quello scienziato della pallacacanestro rispondente al nome di Andre Iguodala.

Il pronostico? 65-17.

LOS ANGELES CLIPPERS

Quintetto: Chris Paul (G), J.J. Redick (G), Wesley Johnson (F), Blake Griffin (F), DeAndre Jordan (C)

Panchina: Jamal Crawford (G), Austin Rivers (G), Luc Mbah a Moute (F), Marreese Speights (F), Alan Anderson (G/F)

Allenatore: Doc Rivers (assistenti: Sam Cassell, Lawrence Frank, Armond Hill, Brendan O’Connor, Mike Woodson, J.P. Clark, Dave Severns)

Punti di forza: i Clips sono una squadra ben allenata, esperta, talentuosa, con ambizioni da contender NBA. Rispetto ai primi anni della gestione Rivers, hanno costruito una panchina più che dignitosa, e ritrovano finalmente Blake Griffin a pieno regime. Paul e compagni sono stati capaci di sopravvivere anche in sua assenza, e la capacità di variare assetto sarà molto utile anche nella prossima, decisiva stagione. Dovesse arrivare l’ennesima delusione, cambiare qualcosa sarebbe inevitabile.

Punti di debolezza: i problemi strutturali di Los Angeles si trascinano da anni; CP3 e Griffin hanno finalmente un roster che ai Playoffs non li costringerà a portare tutto il peso dell’attacco, ma la sensazione è che continui a mancare qualcosa per battere Warriors e Spurs. È un discorso tecnico (al netto di Jordan e Paul, i Clips sono ottimi ma non straordinari in difesa, e in attacco non sono inarrestabili, complici spaziature opinabili e tiro da fuori ballerino) e allo stesso tempo mentale (hanno tanti giocatori esitanti).

Previsione: un tempo, l’espressione “i soliti Clippers” implicava irredimibile mediocrità, mentre oggi, è sinonimo di gran squadra che non riesce a fare il salto definitivo verso l’empireo cestistico. Questo cambiamento denota la qualità del lavoro svolto da Doc Rivers, ma non ne placa necessariamente le ambizioni, condivise dal proprietario, Steve Ballmer, intenzionato a portare il titolo NBA nella metà meno blasonata della città degli angeli, costi quel che costi (letteralmente!).

Il quintetto è quasi lo stesso dello scorso anno (se non dovesse scegliere di ritirarsi, Paul Pierce dovrebbe comunque ricoprire un ruolo minore o addirittura uscire dalla rotazione, mentre Mbah a Moute e Wesley Johnson si contenderanno lo spot di “3”) ma ci sono stati cambiamenti importanti in panchina, e, come sempre, il giocatore atteso al varco sarà Blake Griffin, al quale si chiede di diventare una volta per tutte il Karl Malone di Chris Paul-John Stockton.

A proposito di ritiri, a Playa Vista è sbarcato Kevin Garnett, vecchio pretoriano di Rivers, per lavorare con Jordan e Griffin, sia sul piano mentale che su quello puramente tecnico. Alle spalle dell’ala dell’Oklahoma c’è stato molto movimento, ma occorre fare chiarezza: Brandon Bass è un’addizione da leggere in chiave cautelativa (in caso d’infortuni) e di spogliatoio, dove l’ex Celtics e Mavs è sempre stato una presenza positiva.

L’arma tattica Mo Speights invece, sarà adoperata come cambio di Jordan, il che apre alla possibilità di adoperare un quintetto small, con Luc Mbah a Moute da stretch-four, già testato in primavera e ancora assolutamente percorribile.
Brice Johnson e Diamond Stone (sinceri complimenti per il coraggio ai signori Pietra, che hanno scelto di chiamare il figlio Diamante!) potrebbero rubacchiare minuti, mentre la rotazione delle guardie vedrà contendersi un posto al sole Austin Rivers, Alan Anderson, Raymond Felton, e l’eterno Jamal Crawford, il cui minutaggio dovrebbe però andare in picchiata in favore di compagni più freschi fisicamente, e meno restii a passare la palla.

Felton e Rivers sembrano le due logiche prime scelte, perché hanno mobilità, sono passatori e spostano le difese con la penetrazione, e anche Anderson, se dovesse recuperare fisicamente, potrebbe sopravanzarlo nelle rotazioni. Al netto di Bass, Speights, e del probabile pre-pensionamento di Crawford e Pierce, i Velieri hanno scelto la strada della continuità, e questa decisione potrebbe pagare dividendi se Austin Rivers, Johnson, e soprattutto Blake Griffin, diventeranno giocatori maturi, consci delle proprie qualità e capaci di adoperarle nel migliore dei modi per mettere la squadra in condizione di vincere.

La leadership di Paul, le qualità balistiche di Redick e la difesa di Jordan sono garanzie, e quindi un bilancio da 57-25 ci sembra ragionevole, ma Chris Paul non è più un ragazzino, e la sabbia nella clessidra inizia ad esser poca: quel che conta insomma, sarà la capacità di eseguire nei momenti-chiave, e storicamente, è proprio questa qualità ad aver fatto difetto ai Los Angeles Clippers. Il 2016-17 sarà diverso?

LOS ANGELES LAKERS

Quintetto: D’Angelo Russell (G), Jordan Clarkson (G), Luol Deng (F), Julius Randle (F), Timofey Mozgov (C)

Panchina: Brandon Ingram (F), José Calderson (G), Larry Nance Jr. (F), Ivica Zubac (C), Lou Williams (G)

Allenatore:
Luke Walton (assistenti: Brian Shaw, Jud Buechler, Jesse Mermuys, Mark Madsen, Theo Robertson, Bian Keefe, Tracy Murray, Clay Moser, James Worthy, Casey Owens)

Punti di forza:
 i Lakers 2016-17 sono giovani, talentuosi, e, finalmente, hanno anche un allenatore con idee e personalità adeguate al peso della franchigia e della panchina più difficile e concupita d’America. L’arrivo di Walton ha portato aria nuova: Randle, ha detto di non veder l’ora di poter studiare per imitare Draymond Green, mentre Russell, è reduce da un’estate di lavoro e inedita serietà. Ingram è un potenziale dominatore, e il roster è piuttosto completo e bilanciato.

Punti di debolezza:
 occorre prudenza, perché Los Angeles viene dalle due peggiori stagioni nella storia di franchigia. Questa è una squadra che quasi certamente seguirà i Playoffs dal divano di casa, con un head-coach che ha fatto benissimo l’anno scorso a Oakland, ma che non ha mai costruito e allenato un gruppo partendo da zero. Mancheranno due presenze storiche (il nostro amico Gary Vitti, sostituito da Marco Nunez, e Kobe Bryant) che saranno vicino alla squadra, ma non la seguiranno in trasferta. Viceversa, l’inviso Jim Buss è ancora al suo posto (ma non si sa per quanto), e non è un buon segnale.

Previsione:
 chiusa la leggendaria epopea di Kobe (pensateci: in questo ventennio L.A. ha vinto un quarto dei titoli NBA disponibili), i Lakers sono pronti per ripartire dalle loro nuove, giovani stelle, D’Angelo Russell e Brandon Ingram, e dalla pletora di buoni giocatori che li circondano.

Mitch Kupchak (costretto a fare il vaso di coccio nella tenzone interna al gruppo di controllo della franchigia) ha cercato di inserire alcuni veterani in grado di fornire un esempio e di dare al contempo un contributo in campo. Se Yi Jianlian è arrivato per vendere il prodotto nel Celeste Impero, Deng (inizierà da titolare, ma Ingram prima o poi lo scalzerà), Calderon e Mozgov sono funzionali allo sviluppo dei loro talentuosi –però imberbi– compagni di spogliatoio.

Luke Walton è un eccellente giovane coach, che ha imparato l’arte da Lute Olson ad Arizona e da Phil Jackson, legittimandosi agli occhi di tutta la NBA grazie a due splendidi anni trascorsi alla corte di Steve Kerr. Il figlio del grande Bill coniuga le caratteristiche proprie di tutti i grandi allenatori: conoscenze tecniche di prim’ordine, e doti umane indispensabili per tenere in pugno uno spogliatoio.

Al netto dell’inesperienza, i Lakers hanno un roster valido ed equilibrato, il che fa ben sperare per il futuro, ma difficilmente produrrà risultati immediati, tanto che il nostro pronostico è 27-55. Hanno una buona rotazione di lunghi, con Randle e Mozgov, e, alle loro spalle, Nance Jr., Zubac (possibile nuovo beniamino dello Staples…), il roccioso Black e l’ex quinta scelta dei Kings, Thomas Robinson (se sopravviverà ai tagli durante il camp).

Deng e Ingram sono ali polivalenti, Clarkson e Russell costituiscono un backcourt di tutto rispetto, e dalla panchina escono veterani comprovati come Williams, Calderon e forse anche Metta World Peace, aggregato alla squadra ma senza contratto garantito.

Insomma, gli ingredienti ci sono tutti: rimbalzisti, atletismo, centimetri, tiratori e passatori. Ora serve la ricetta giusta per miscelarli a dovere. Dopo la disastrosa gestione di Byron Scott, Los Angeles dovrà azzerare e ripartire, in attacco, in difesa, e anche a livello mentale. Sono davvero tante rivoluzioni da portare avanti contemporaneamente, e saremmo molto più ottimisti se Jeannie Buss si fosse già sbarazzata del fratello Jim, ottimo giudice di talenti, ma pessimo nella gestione dei rapporti, e soprattutto, dotato di un ego grosso come lo Staples, che spesso ha intralciato il percorso sportivo della franchigia.

Al netto delle frizioni interne alla famiglia Buss, i gialloviola hanno, al pari dei T-Wolves, il nucleo di giovani più intrigante di tutta la lega, e dispongono delle risorse tecniche per svilupparli al meglio, avendo come assistenti dedicati tiratori del calibro di Murray e Buechler, il leggendario James Worthy, e, in Brian Shaw, un associate HC di provata esperienza (fu uno dei primi epurati da Jim Buss; il suo ritorno lascia pensare che la marea stia cambiando).

PHOENIX SUNS

Quintetto: Eric Bledsoe (G), Devin Booker (G), TJ Warren (F), Jared Dudley (G/F), Tyson Chandler (C)

Panchina: Brandon Knight (G), PJ Tucker (F), Marquese Chriss (F), Dragan Bender (F/C), Leandro Barbosa (G)

Allenatore:
Earl Watson (assistenti: Jay Triano, Tyrone Corbin, Nate Bjorkgren, Marlon Garnett, Scott Duncan, Jason Fraser, Mehmet Okur)

Punti di forza: la squadra assemblata dal General Manager Ryan McDonough è dotata di tante alternative in molti ruoli (specialmente in guardia: Bledsoe, Booker e Knight sono nella top-100 di Sports Illustrated) ed è strutturata per schierare un quintetto “small” difficile da leggere, con vari portatori di palla e molta velocità nelle gambe. Pur vantando il venticinquesimo monte salariale di tutta la Lega (appena 83.6 milioni), i Suns hanno adottato una strategia attendista, senza spendere soldi sulla free-agency, con l’intento di fare crescere i giovani, e poi, eventualmente, fare acquisti mirati per completare la rosa a giugno 2017.

Punti di debolezza: come detto, McDonough e il proprietario Robert Sarver hanno costruito un roster con tante alternative: il problema è che non ci sono giocatori di altissimo livello e l’assenza di gerarchie chiare può trasformarsi nell’anticamera del disastro, perché mancano punti di riferimento tecnici e certezze sulle quali costruire, soprattutto considerando la presenza di tanti giovani atleti dal gioco ancora non cesellato e un allenatore alle prime armi, per quanto dotato di idee chiare e passione da vendere.

Previsione: dopo una carriera da role-player NBA, Earl Watson è stato assistente di Jeff Hornacek prima di sostituirlo ad interim. Questa è la sua prima panchina “ufficiale” ed è chiamato a un lavoro d’impostazione che richiede tempo; nemmeno il più scalmanato dei fans può pretendere di arrivare subito ai Playoffs (mancano dal 2010), ma sono attesi miglioramenti rispetto alla passata stagione, quando gli errori commessi in off-season, gli infortuni e le incomprensioni tra staff e front-office provocarono un autentico deragliamento.

L’ex guardia di UCLA ha aggiunto al suo staff Mehmet Okur (col quale giocò ai tempi dei Jazz) per curare lo sviluppo tecnico dei giovani, e Jason Hervey (arriva dai Timberwolves, e prima ancora era stato Director of Basketball Operations a Detroit) come advanced scout. Okur lavorerà con Alex Len e Bender, le due promesse europee che, idealmente, costituiranno la front-line degli anni a venire, ma tutto lo staff è composto di buoni insegnanti, dal vice, Jay Triano, a Tyrone Corbin. Watson vuole plasmare il futuro della franchigia attorno a Devin Booker, Bender e Warren, e al contempo evitare tracolli o derive, con Chandler (34 anni), Barbosa (33), Dudley (31), Tucker (31), il rientrante Bledsoe (27), e Brandon Knight (24) a fornire stabilità.

Non dimentichiamo neppure Alex Len, Alan Williams, Tyler Ulis, Archie Goodwin e Marquese Chriss, giovani giocatori di potenziale, che vanno messi in condizione di sviluppare il proprio gioco, e questo significa minuti (non per forza 40 tutte le sere, ma nemmeno un DNP dietro l’altro) conditi da tanto lavoro in allenamento. Al training camp di Flagstaff (inizierà il 27 settembre, presso il campus di Northern Arizona University) saranno presenti anche Shaquille Harrison, Mike Moser e Derrick Jones Jr., tre prospetti destinati a transitare per la lega di sviluppo.

Devin Armani Booker è reduce da una grande Summer League, ed è atteso a una stagione importante, che lo lanci come possibile uomo-franchigia. Watson potrebbe anche spostarlo in ala, per dare minuti in guardia al ticket Knight-Bledsoe; in tal caso i Suns segnerebbero molto e sarebbero divertenti da vedere, ma ci sembra che la collocazione più logica (anche in prospettiva) del figlio di Melvin Booker sia lo spot di guardia.

L’altra grande promessa, Dragan Bender, evoluirà lontano da canestro, dove si alterneranno Chandler e Len, quest’ultimo atteso a una Regular Season che dica qualcosa di chiaro circa il suo futuro NBA. Dopo la fuga di Marchieff Morris, continua a mancare una PF (moderna o classica che sia), e probabilmente Dudley coprirà nominalmente il ruolo, mentre in ala piccola lo spot di titolare dovrebbe appartenere a TJ Warren (sperando che gli infortuni gli diano tregua e che cresca difensivamente).

È chiaro però che se le ali sono Bender (Watson vorrebbe svilupparlo “alla Durant”), Dudley, Warren e Tucker, non esistono ruoli e gerarchie definite, mentre Williams e Chriss non sono ancora soluzioni da quintetto: la speranza è di trovare la mescola giusta a stagione in corso, ma con due giocatori al rientro da infortuni (detto di Warren, Tucker è stato operato per una sciatica), con l’esordiente Dragan e un veterano volenteroso ma limitato come Dudley, è difficile immaginare una stagione superiore ad un ipotetico 28-54.

Se tutto andrà bene, Phoenix diventerà la Toronto della costa ovest, con Bledsoe e Booker nei panni di Lowry e DeRozan, ma è più logico attendersi una stagione di trasizione, durante la quale assisteremo a miglioramenti individuali e ad un graduale definirsi delle rotazioni e delle gerarchie interne.

SACRAMENTO KINGS

Quintetto: Darren Collison (G), Arron Afflalo (G), Rudy Gay (F), Willie Cauley-Stein (F/C), DeMarcus Cousins (C)

Panchina: Kosta Koufos (C), Ty Lawson (G), Ben McLemore (G), Matt Barnes (F), Omri Casspi (F)

Allenatore: Dave Joerger (assistenti: Bryan Gates, Elston Turner, Jason March, Nancy Lieberman, Duane Ticknor, Bob Thornton, Larry Lewis)

Punti di forza: DeMarcus Cousins è senz’ombra di dubbio il miglior centro offensivo di tutta la NBA, mentre coach Dave Joerger viene da anni di successi a Memphis, dove ha contribuito a costruire un’identità difensiva forte, vendendo il proprio sistema anche a giocatori che storicamente non erano difensori, come Zach Randolph. Al Golden 1 Center (l’impianto nuovo di zecca che aprirà i battenti a inizio ottobre) sperano che riesca a ripetersi con l’ineffabile Boogie e con i tanti personaggi in cerca d’autore o di rivincita che popolano il roster.

Punti di debolezza
: se l’obiettivo di Vivek Ranadivé e Vlade Divac era costruire una formazione capace di sostituire i Clippers nell’immaginario collettivo della squadra perdente, allora i Kings sono sulla strada giusta (intrapresa, sia ben chiaro, in concorso col predecessore Pete D’Alessandro), altrimenti, “tutto da rifare” potrebbe essere lo slogan del 2016-17 dei californiani, che ripartono con poche certezze e molti punti di domanda, a volte, incarnati dalla stessa persona (Boogie? Rudy Gay?).

Previsione:
 contrariamente a quel che le parole spese in precedenza potrebbero far supporre, Sac-to ha un gruppo di buon talento, ma il problema, in NBA, è la chimica di squadra. Coach George Karl non è riuscito a dare un senso ai vari Belinelli e Rondo, e così, contrordine compagni: Karl è stato accompagnato alla porta, il gioco “spettacolare” promesso da Renadivé non si è visto, così i Kings tornano sui propri passi, a prima dell’inopinato licenziamento di Mike Malone, con il coach di marcata impronta difensiva Dave Joerger (vincitore di un lungo e curioso casting che ha incluso Ettore Messina, Scottie Brooks, Ime Udoka, Jeff Hornacek, Mark Jackson, e chi più ne ha più ne metta).

Ad affiancare Divac, è arrivato Roland Beech, quotatissimo sabermetrico proveniente dai Dallas Mavericks, e Ken Catanella, proveniente da Detroit, che agirà da vice del centro serbo. I Kings non hanno molto tempo per costruire qualcosa, perché Cousins sarà free-agent nel 2018, e nessuno sa che cosa deciderà di fare.

Nelle scelte di Divac e Catanella s’intravede un’abbozzo di strategia ma non ancora un progetto sportivo; Papagiannis e Skal Labissiere sono progetti a lunga scadenza, mentre Garrett Temple, Lawson, Koufos, Arron Afflalo e Anthony Tolliver sono occasioni poco impegnative a livello contrattuale, che dovrebbero migliorare il roster, ma parliamo di giocatori incapaci, da soli, di far svoltare una stagione.

La rotazione è tutta da costruire: Joerger vuole una cultura difensiva, e quindi preferirà quelli che, come Temple, avranno voglia di buttarsi per recuperare un pallone o chi, come Cauley-Stein, garantisce intensità sotto canestro. Collison, Farmar, Temple e Lawson sono una rosa di guardie profonda (cui difficilmente si aggiungerà Isaiah Cousins, destinato a giocare in Development League, a Reno), ed è possibile che Joerger scelga di giocare parecchi minuti con il doppio playmaker, massimizzando la velocità d’esecuzione, e mascherando con sprint e contropiede le lacune al tiro del resto della squadra.

Il reparto guardie è altrettanto nutrito, con Arron Afflalo, che è anche l’unico esterno balisticamente temibile, Ben McLemore, Malachi Richardson e Lamar Patterson, che potrebbe scalare tra le ali, dove troviamo Omri Casspi, Matt Barnes, e Rudy Gay, il Grande Indiziato di scambio. Sotto canestro è facile immaginare una rotazione a tre, senza ruoli definiti, con Cauley-Stein, Koufos (anche lui al centro di voci che lo vorrebbero in uscita), e ovviamente Cousins, mentre Skal Labissiere, Papagiannis e Tolliver riusciranno a ritagliarsi un ruolo corposo solo dopo l’eventuale trade di Kostas.

Insomma, è difficile venire a capo di come giocherà la nuova Sacramento; molto dipenderà dalla voglia di rivincita di tanti giocatori all’ultima spiaggia (McLemore, Lawson, Gay) e dalla capacità di Cousins di lasciar da parte i comportamenti autolesionistici che ne hanno rallentato l’esplosione. Ci riusciranno?

La nostra risposta è “ni”, perché Joerger è bravo, ma il suo è davvero un compito improbo: deve costruire da zero una rotazione, una filosofia di gioco, e un rapporto con DeMarcus. Può riuscirci, ma in quel caso per lui sarebbe scontato il COY e forse anche la beatificazione per direttissima. Volando più bassi, ipotizziamo una stagione da 35-47, con segnali incoraggianti, sempre che Renadivé non stacchi la spina per “mancanza di bel gioco”.

 

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