We were working with Chris to get him back”.

Lunedì scorso, in seguito al mancato superamento delle visite mediche a causa dei noti e non risolti problemi di coaguli di sangue e conseguente rischio trombi, Pat Riley ha parlato della carriera di Chris Bosh usando il passato remoto.

Di certo, se anche dovesse continuare a giocare a basket, Bosh non lo farà più per i Miami Heat. Dal canto suo, CB1 continua a sperare ed a considerare il suo ritorno non solo possibile ma addirittura probabile.

Il lungo calvario di Chris inizia al termine dell’All Star Game 2015 quando, dopo aver vinto lo Shooting Star Challenge per la terza volta consecutiva, inizia ad avere difficoltà respiratorie e ad accusare dolori al petto.

Gli esami diagnosticarono un’embolia polmonare dovuta ad un coagulo di sangue che, formatosi in un polpaccio infortunato qualche mese prima, era risalito fino a un polmone: stagione finita, carriera a rischio, ma soprattutto la sua vita in pericolo.

Si sottopose ad alcuni trattamenti invasivi che contribuirono a stabilizzare le sue condizioni e iniziò la cura a base di anticoagulanti, rimanendo a riposo ma già con la testa alla stagione successiva.

Non appena ricevuto il via libera, Bosh iniziò a lavorare duro per farsi trovare pronto al training camp ed il suo ritorno in squadra alzò di colpo le aspettative sui Miami Heat, appena usciti da una pessima stagione e ancora provati dall’addio di LeBron James.

L’inizio della stagione successiva sancì il suo ritorno in campo e fu subito il solito Chris talentuoso, solido ed efficace. Non saltò alcuna partita fino al 9 febbraio, con la squadra di nuovo in lotta per le prime posizioni della Eastern Conference.

Poi però ripiomba nell’incubo. Un dolore al solito polpaccio fece scattare nuovamente l’allarme e la visita evidenziò la temuta diagnosi: un altro coagulo di sangue, anche se stavolta non ancora risalito al polmone.

Il coagulo era ancora allo stadio iniziale e preso in tempo non avrebbe creato danni, tuttavia Bosh si è dovuto sottoporre all’ennesimo protocollo di guarigione che l’ha costretto a rimanere fuori per tutto il resto della stagione.

In quel momento iniziano le prime frizioni tra il giocatore e la squadra fino a raggiungere l’apice in primavera, quando la pluridecorata ala texana si era dichiarata pronta a scendere in campo per il secondo turno dei playoff salvo ricevere un secco “no grazie”.

Da allora Bosh e la sua franchigia sono ai ferri corti e continuano a litigare sulla possibilità che il giocatore possa tornare in campo oppure no: le parole nette e senza appello del presidente chiudono ufficialmente la fase quieta della contesa.

A dire il vero, già mercoledì 21 settembre Bosh aveva rotto il silenzio iniziando a pubblicare le prime puntate di un documentario autoprodotto in cui parla della sua battaglia contro i coaguli (e contro gli Heat) per tornare in campo, esponendosi in modo onesto e toccante circa le sensazioni, le paure e le motivazioni che lo spingono a forzare la mano ed a rimettersi in discussione.

L’atteggiamento del ragazzo nei confronti di questo problema è sempre stato serio e prudente quindi non siamo di fronte al tipico atleta disposto al tutto per tutto per tornare sulla scena.

Ciononostante, il suo impegno per proseguire la sua carriera è eroico ma rischioso dal momento che soffrire di questa patologia significa essere soggetti a continue ricadute, senza contare il rischio di compromettere la propria salute di medio-lungo periodo per la cura a base di anticoagulanti.

Ma cosa succederà ora?

Il contratto di Chris Bosh garantisce 76 milioni nei prossimi 3 anni. Visto il clima è da escludere che il giocatore sia in vena di sconti e dunque l’opzione buyout diventa poco percorribile visto che anche un accordo di buonuscita al 50% sarebbe troppo pesante per il salary cap da poter essere preso in considerazione.

L’obiettivo degli Heat è il long-term injury provision, il taglio per motivi di salute. Il giocatore riceverebbe tutti i dollari previsti (con buona parte del pagamento coperto da assicurazione) ma Miami potrebbe liberare il cap a partire dal 9 Febbraio 2017, ossia un anno dopo l’ultima partita giocata da Bosh, ed avere così 25M di spazio salariale la prossima estate.

Una volta tagliato, un medico nominato congiuntamente dalla lega e dal sindacato dei giocatori dovrà determinare se sia possibile o meno per Chris Bosh tornare senza che questo comporti un rischio inaccettabile per la sua salute.

Se così fosse, Miami potrebbe utilizzare lo spazio salariale, ma attenzione: qualora l’ex Raptors tornasse a giocare entro la stagione successiva e giocasse almeno 25 partite con un altro team, i milioni previsti dal contratto ricomparirebbero nel monte stipendi degli Heat, generando una tassa di lusso esagerata con conseguenze disastrose.

Dunque, il giocatore sarebbe libero di cercare una squadra per continuare la propria carriera mentre gli Heat sarebbero liberi di andare oltre e soprattutto di poter affermare di non aver ostacolato il desiderio del texano.

Se il management di Miami è disposto a correre questo rischio significa che da parte loro non c’è nessuna speranza che il giocatore possa rientrare, convinti che la sua carriera sia da considerarsi già ai titoli di coda.

Bosh però non è affatto pronto a ritirarsi. Evidentemente ha già cercato (e trovato) pareri medici favorevoli al fatto di poter proseguire l’attività agonistica senza correre alcun rischio grazie a cure specifiche ed a giuste attività di controllo.

Dunque, anche logorati dalla guerra di posizione che il giocatore sta portando avanti, gli Heat potrebbero anche decidere di non correre questo rischio cercando uno scambio.

Certo sarebbe un’impresa epica. Servirebbe una squadra abbastanza disperata da voler acquisire un contratto lungo ed oneroso di un veterano fermato 2 volte negli ultimi 2 anni da importanti problemi di salute, con medici disposti a mandarlo in campo nonostante il parere contrario di altri medici i quali hanno ritenuto che farlo giocare sarebbe stato troppo rischioso.

In tal caso c’è da scommettere che Adam Silver non rimarrebbe a guardare. Non si tratta di un infortunio al ginocchio e perciò sarebbe interesse primario della lega assicurarsi che la franchigia acquirente non stia sottovalutando i rischi, e quindi ci sarebbero pareri medici esterni, ulteriori richieste di rassicurazioni e tutto ciò che verrebbe ritenuto utile alla causa.

Facendo uscire il documentario sul suo ritorno in campo, Bosh ha portato lo scontro ad un livello tale che il commissioner non può più ignorare.

E’ però estremamente difficile immaginare che la NBA possa non avallare la decisione della franchigia della Florida.

Infatti, se anche Miami stesse esagerando con le preoccupazioni e stesse spingendo verso la non idoneità per motivi salariali, la NBA non potrebbe costringere la franchigia a schierarlo, ma al massimo potrebbe trovare altri pareri che provino a convincere gli Heat che il giocatore non corre alcun rischio a rimettere la canotta e, insieme, studiare una via di fuga che salvi capra e cavoli.

D’altra parte è vero anche che seppur trovando opinioni mediche concordanti con le preoccupazioni di Miami sarebbe alquanto difficile far cambiare idea a Bosh, convinto che la questione non riguardi il se tornerà ma il quando.

Un capitolo a parte meriterebbe Pat Riley e lo strano caso dei rapporti tesi tra lui e i Tres Amigos.

Arrivati insieme nella calda estate 2010 e protagonisti di un periodo glorioso della franchigia, per motivi differenti si sono allontanati a causa di rapporti logori e incattiviti con il presidente e nessuno di loro sembra avere alcuna voglia di ritornare.

Il caso Bosh è sicuramente quello in cui il destino avverso ha le maggiori responsabilità. Fatto sta che il giocatore si sente abbandonato e scaricato dalla squadra, ma Riley rimanda le accuse al mittente motivando il risentimento del giocatore con la gravità della situazione che lo riguarda e ripetendo che il fronte finanziario sia l’ultimo dei problemi e che la salute del ragazzo sia l’unica cosa che conta davvero.

Nessuno saprà mai con certezza se i Miami Heat abbiano fatto veramente di tutto per sostenere Chris Bosh.

Gli indizi lasciano intendere che ci abbiano realmente provato almeno fino all’insorgere della ricaduta ma che poi, forse, abbiano dovuto fare delle scelte perché, cinicamente, show must go on.

La NBA è un business ed è compito dei dirigenti creare opportunità per la propria squadra al fine di competere in un mondo che non fa sconti a nessuno: gli Heat hanno cercato di costruire due futuri possibili, uno che prevedesse il ritorno di Bosh e uno che non lo prevedesse.

Tornerà? Non tornerà?

Difficile prevedere il futuro. Nel frattempo, due titoli vinti da protagonista e 11 convocazioni all’All Star Game possono già bastare per essere uno da Hall Of Fame.

One thought on “Carriera finita per Chris Bosh?

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