I tifosi dei Portland Trail Blazers hanno ben chiaro cosa sia la Legge di Murphy.

Nonostante Portland sia situata in uno degli stati naturalistici più belli del Greatest Country in the World (l’Oregon) la fortuna ha spesso, per non dire sempre, voltato le spalle ai tifosi della terra dei castori ― anno di grazia 1977 a parte.

Partendo da Sam Bowie (sic!) arrivando fino ai nostri Greg Oden (sic!!) e Brandon Roy (sic!!!!!) la lista è lunga e per compassione genuina ci fermiamo qui.

Chissà se Paul Allen ci ha mai pensato, dopo aver comprato la squadra alla fine degli anni ’80. Forse no: se sei uno dei cinquanta uomini più ricchi del mondo e sei il co-fondatore dell’impero Microsoft non pensi mai a cosa potrebbe andare storto; hai fiducia che tutto andrà per il verso giusto, la fortuna è parte integrante della tua vita.

Nel 2015 tutto sembra andare per il meglio. La squadra è solida, gioca una pallacanestro godibile, è al vertice della Western Conference ed ha come trascinatori due All-Star come Damian Lillard e LaMarcus Aldridge.

Ma come detto in precedenza se qualcosa può andar male, lo farà. E forse Paul aveva già iniziato a sospettare qualcosa ad inizio febbraio quando, sotto il sole splendido dell’Arizona, i suoi Seattle Seahawks ― altra franchigia sportiva di cui è proprietario ― hanno perso clamorosamente il Super Bowl 49 contro i New England Patriots.

Appena un mese dopo uno dei giocatori cardine della squadra, Wesley Matthews, si rompe il tendine d’Achille. La squadra inizia una picchiata, più emotiva che tecnica, che si concluderà con l’eliminazione al primo turno di playoff. Ma questo è nulla in confronto alla diaspora dell’estate successiva.

Lillard rimane ma gli altri quattro/quinti dello starting-five decidono di lasciare Portland. Lo stesso Matthews (Dallas), Batum (Charlotte), Robin Lopez (Knicks) e persino Aldridge (Spurs) optano per altri progetti.

Da qualche parte in un attico di Portland downtown Paul Allen è amareggiato, dispiaciuto, decide di farsi consolare da un amico, beve un paio di bicchieri. Non può immaginarsi che le cose stanno per andare ancora peggio.

 

Chi non vorrebbe avere come confidente Patrick Bateman?!??

 

No, quello era un altro Paul Allen. Errore mio. Il vero Paul Allen però amareggiato lo è davvero ― per quanto l’idea di possedere diciotto miliardi di dollari possa darti dispiaceri ― e preso dalla rassegnazione opta per una off-season di basso livello.

Arrivano solo low-cost e giovani promesse: il centro focale della squadra è Lillard e attorno a lui giovani con voglia di emergere: Vonleh, Plumlee (Mason), Aminu, Ed Davis.

In panchina c’è sempre Terry Stotts, che dopo Lillard è la seconda (e ultima) buona notizia, ma la squadra sembra essere arrivata a ground zero. Rifondazione.

I Blazers sono la squadra con il monte ingaggi più basso della lega, addirittura più basso di Philadelphia (#TrustTheProcess). Difficile non pronosticare una stagione da lottery.

Ma Lillard&Co. hanno intenzioni tutt’altro che arrendevoli e dopo una prima parte di stagione non esaltante ma comunque al di sopra delle attese, esplodono definitivamente dopo la pausa per l’All-Star Game.

Sfruttando anche il crollo verticale di Houston e altre situazioni particolari ― gli infortuni di Jazz e Grizzlies, la pochezza di New Orleans e Sacramento, una Dallas da 0-0 ― finiscono per essere la squadra rilevazione della Western Conference.

Si piazzano sesti e nel primo turno di playoff eliminano addirittura i Clippers (che comunque son sempre i Clippers e su Murphy son laureati cum laude) arrendendosi solo ai Warriors ― serie in cui i Blazers hanno messo tutto, ma contro quei Warriors c’era poco da fare.

 

Eccolo Paul Allen, quello vero.

 

La free agency 2016 doveva servire a colmare le lacune viste nella scorsa stagione e dare a Stotts un roster più forte per poter alzare ancora di più l’asticella. Paul Allen è stato un grande protagonista di questa free agency, anche se forse non nel modo che ci saremmo aspettati all’inizio.

 

 

Pronti-via i Blazers si sono mossi assicurandosi la firma di Evan Turner: l’incertezza generata dal nuovo salary cap sommata ad una possibile partenza di Alex Crabbe (Free Agent, seppur restricted) hanno portato Portland ad offrire a Turner un contrattone-one-one.

Nonostante possa garantire più gestione e controllo in attacco l’assenza di un jumper affidabile da oltre l’arco, un carattere non sempre facile e una difesa tutt’altro che spartana i dubbi ci sono e sono tanti.

Portland ha cercato un lungo che le garantisse più protezione del ferro ed è arrivata ad offrire contratti importanti un po’ a tutti (Howard, Gasol tra gli altri). Ma dopo i rifiuti ha optato per un piano-B che ha tutta l’aria di essere migliore di quello originario.

 

 

Quello di Ezeli, due anni con team option sul secondo anno (Portland può decidere di tagliarlo o meno), è un grandissimo contratto.

Il ginocchio operato a marzo ha contato parecchio, vero, e i Blazers hanno deciso di cautelarsi ― vista anche la grossa difficoltà manifestata durante gli ultimi i playoff ― ma considerata l’età e la grande e pregiata quantità d’argilla su cui lavorare i presupposti per costruirsi un rim-protector-fai-da-te ci sono tutti. E la scommessa è di quelle che non lasciano bruciature particolarmente dolorose.

Fin qui la free agency di Portland é tutto sommato sotto tono. Per di più Gerald Henderson si è unito ai Sixers e Crabbe ha ricevuto un offerta a dir poco irrinunciabile dai Nets e sembra prossimo per tutti anche lui ad una partenza.

Non per Paul Allen, che doveva ancora iniziare la sua Crazy Money Summer. In cosa consiste? Molto semplice: per prima cosa ri-firmare Meyers Leonard un po’ in sordina.

 

 

Dopo un paio d’ore dalla firma di Leonard effettuare una mossa Kansas City pareggiando l’offerta per Crabbe.

 

 

Dopo una stagione di risparmi il buon Paul si sente bello carico e generoso e al diavolo se con la presenza di Lillard-McCollum ed il nuovo arrivato Turner i minuti per tutti saranno un operazione da tetris livello master.

Dopo una settimana ― nella quale si poteva iniziare a pensare ad una trade per McCollum o ad un futuro incerto, seppure fosse un’idea molto molto difficile dopo la passata stagione ― rinnovare al massimo il contratto dello stesso McCollum.

 

 

Ripeto, la scelta era quasi scontata e fondamentalmente è sacrosanta ma con la presenza di Turner e Crabbe tanti auguri a Terry Stotts per le scelte e soprattutto Welcome Luxury Tax! negli anni avvenire.

Ah infine, come gran finale, eseguire una doppia-Kansas City-carpiata e ri-firmate pure Moe Harkless ― dandogli forse il miglior contratto di tutti (e le potenzialità sono davvero alte) ma complicando ancora di più l’assunto.

 

 

Senza farsi prendere dalle vertigini possiamo constatare che la spesa totale finale è di 347 milioni di dollari. Anzi, per la precisione è di 347.356.515 milioni di dollari. E considerando che anche il contratto di Lillard si è gonfiato grazie alla Rose Rule il buon caro Paul Allen non ha davvero badato a spese.

Anche se in confronto al suo patrimonio ricordatevi sempre che questa cifra è un po’ come prendere gli spiccioli da sotto il materasso.

 

 

Ma il grande sacrificio economico fatto rende Portland una squadra in grado di lottare per il titolo? La risposta, almeno nell’immediato, è una sola: no.

I Blazers sono almeno due step lontani dall’essere davvero competitivi ma considerando il buon lavoro fatto l’anno scorso possono partire da una posizione di vantaggio rispetto ad altre franchigie.

Oltre agli Warriors però anche Spurs e Clippers (se sani) sono squadre migliori; Portland può ambire ad una buona seed in vista dei buoni playoff ma anche allora siamo sicuri che un eventuale sfida contro le varie Dallas, Houston, Utah, o altre della fascia centrale della Western Conference, vedrebbe Lillard&Co. grandi favoriti?

Anche qui la risposta è più incerta di quanto 347 milioni dovrebbe far presagire. Quello che però è certo è che Portland può arrivare a costruire (con qualche colpo di fortuna) una squadra in grado di competere per il titolo nel medio-lungo termine.

Stotts ha messo in piedi un sistema che funziona come un orologio in attacco (top-10 nella lega ― top-3 dopo la pausa ASG) basato su circolazione, versatilità e grandissima pericolosità perimetrale.

Stotts ha cucito una nuova organizzazione di gioco alzando il ritmo e sfruttando l’atletismo di esterni giovani e duttili come Crabbe, Henderson, Davis, Harkless, Vonleh e Leonard ― in grado di ricoprire entrambi gli spot di ala ― tutti in capaci di spaziare il campo ed essere pericolosi dal perimetro.

Le doti da facilitatore di Plumlee (2.8 assist di media a partita, terzo della squadra) hanno consentito alla squadra di usarlo spesso come perno dei set offensivi.

 

Non ci sono molti sette-piedi nella NBA capaci di ricevere in equilibrio precario, schiacciare la palla a terra per evitare i passi e riaprire per la tripla non contestata. Mason Plumlee è uno dei quelli.

 

Ma la vera arma-atomica di Portland è stata la coppia Lillard-McCollum. CJ McCollum è letteralmente esploso, giocando la miglior stagione in carriera e ricevendo alla fine il premio come giocatore più migliorato dell’anno.

Ha fatto vedere di essere un giocatore in grado di segnare in tanti modi diversi e soprattutto ha tolto pressione, fungendo da spalla perfetta, al vero go-to-guy della squadra, Damian Lillard.

Nonostante la non chiamata sia per la partita delle stelle sia per la spedizioni in Brasile di Team USA, Lillard ha giocato una stagione straordinaria dimostrandosi una delle combo-guard più forti della NBA. La sua capacità di segnare è impressionante e il suo range-di-tiro è pressoché illimitato.

 

Nove punti in meno di un minuto in uno juggernaut emotivo così tagliente da lacerare lo spazio e il tempo alterando la concezione reale. Questo è Damian Lillard.

 

I Blazers hanno un core giovane con margini di miglioramento, soprattutto difensivamente. Quanto di buono hanno fatto in attacco i ragazzi di Stotts tendono a renderlo indietro in difesa.

L’esempio più chiaro è la coppia Lillard-McCollum, tanto micidiale in attacco quanto disastrosa nella metà campo difensiva: i due sono difensori sotto la media e facilmente battibili dal palleggio: una volta battuti è facile arrivare al ferro vista l’assenza di un rim-protector efficace (lo stesso Plumlee ha numeri non eccezionali).

Considerando l’età dei veri Crabbe (24), McCollum (25), Harkless (23), Leonard (24) i presupposti per poter crescere tutti assieme ci sono e i vari rinnovi puntano in quella direzione.

Anche Lillard è ancora molto giovane ― ha da poco compiuto 26 anni ― e ha già dimostrato di poter reggere la pressione del trascinarsi la squadra sulle spalle. In un paio d’anni i Blazers potrebbero davvero raggiungere la vetta dell’Ovest e della lega e se almeno uno tra Crabbe, Harkless e Leonard dovesse definitivamente esplodere i requisiti ci sarebbero tutti.

D’altro canto però la serie contro gli Warriors dello scorso maggio ha dato prova di quanto Portland sia ancora indietro e di come la squadra necessiti di girare sempre col motore al massimo per poter stare in un contesto di alto livello. I tifosi ci sperano, Paul Allen capo-fila.

Potrebbe essere la volta buona per questa franchigia così sfortunata di tornare protagonista. Vediamo se il fantasma di Murphy deciderà per una volta di starsene buono.

 

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