I riflettori si spengono, il carrozzone si ferma, i coriandoli sono a terra, e lentamente possiamo riprendere fiato.

Non e’ stata certamente una stagione normale, quella che abbiamo appena visto chiudersi, e neanche il finale ha obbedito ad uno dei tanti cliche’ che, nel corso degli anni, abbiamo visto tante volte svilupparsi secondo canovacci non nuovi.
Golden State e’ arrivata a questi playoff come il miglior Eddy Merckx della carriera, in uno di quegli anni in cui al Cannibale pareva impossibile perdere anche un circuito di paese, tanta era la superiorita’ che ti sbatteva in faccia.
Ma le corse di un giorno, come i playoff, ed in particolar modo le serie finali, sono pericolose per i chiarissimi favoriti, perche’ deve comunque andare tutto per il verso giusto o, almeno, devi lasciare un po’ di benzina per la volata (e gara7 e’ lo sprint per antonomasia).
Ecco, se vi piace la pedivella, ci ho visto molto del Felice Gimondi  del Montjuic 1973 in come Lebron ha preparato ed infiocchettato il sorpresone.
Golden State ha fatto il diavolo a quattro per tutto l’anno, certamente da gennaio a marzo non si sarebbe potuto giocare niente, perche’ per un certo periodo gli warriors, ed in particolare il loro pifferaio dagli occhi nocciola, si sono convinti, con fondate motivazioni, di essere invincibili.

Inconsciamente hanno anche provato a perdere qualche gara (faticando a riuscirci, citofonare OKC ), e vincendo partite che la logica li avrebbe dovuti vedere sconfitti. 

Ma, ad un certo punto, il folletto e il suo fratellino dalla meccanica di tiro disegnata con Photoshop, attaccavano a rullare con tiri che ci han costretto a ridefinire le cartine geografiche del campo. Il tutto accoppiato ad una difesa che, quando serviva, ti si appitonava addosso togliendoti anche l’aria, figuriamoci la possibilita’ di vedere il canestro.

Ma, come tutti gli stati di grazia, questi hanno una durata e finiscono. Una parte e’ scivolata sulla chiazza di sudore di Motejunas; un altra, bella grossa, e’ stata buttata per uscire dalla buca nella quale i redivivi Thunders li avevano cacciati a fine maggio.

Usciti da quella, ed asfaltati i Cavs nelle prime due gare, sembrava davvero che il grosso fosse dietro le spalle. E Gara3 era sembrato il solito tributo al narcisismo di questa squadra, soprattutto alla luce del fatto che Gara4 li aveva visti chiudere quasi completamente la pratica.

Facile oggi dire che il crocevia e’ stato Gara 5. E qui la Dea Bendata (o la Sfiga, a seconda del lato da cui si guarda la vicenda) si e’ ricordata di quanto accaduto lo scorso anno, con Irving e Love a guardare il Gozzillone far tutto quasi da solo. 

Questa volta l’attrazione fatale per le altrui parti molli di Green e’ costata una sospensione proprio per Gara 5, e durante la stessa Kerr ha perso Bogut ovvero l’unico che si frapponeva con risultati decenti fra Cleveland ed il canestro. 

Da li’ in poi, nelle aree pitturate non c’e’ stata gara e Golden State ha dovuto massicciamente ricorrere alle acrobazie balistiche per restare in gara.

Nessuno ci avrebbe creduto, io per primo. Lebron ha trovato il suo partner in un Kyre Irving che ha giocato a chi fa la carambola piu’ strana al tabellone, segnando canestri assurdi e prendendosi anche l’onore di mettere the shot nell’ultimo minuto.

Irving grandioso e Love che si e’ travestito da Bosh a Miami, tirando mai ma prendendo vagonate di rimbalzi, per far quadrare i conti. Il Plus/Minus di gara7 gli assegna un perentorio +19 e allora adesso sappiamo che Love puo’ anche servire a vincere un titolo, a patto che faccia le cose che servono, e non necessariamente la superstar.

Ma non prendiamoci in giro: niente sarebbe potuto essere senza Lebron James da Akron Ohio. Non piace certamente a tutti, ma non riconoscere che questo e’ il giocatore che sta caratterizzando gli ultimi 10 anni della Lega mi sembra rifiutare la realta’.
In un’epoca come questa in cui il talento e’ sparpagliato, questo ha giocato le ultime 7 finali NBA, e possiamo essere certi solo su Wade, alla voce “suoi compagni che entreranno nella Hall of Fame”.
La mia prima NBA era quella di Doctor J, Kareem, Bird e Magic: tutta gente con compagni infinitamente migliori di questo curiosissimo cyborg. Lo stesso MJ, ovvero il calibro con il quale tutti misurano i grandissimi del gioco, aveva Pippen e poi Rodman.

La storia del “non vincente” poi fa acqua da tutte le parti, almeno se i paragoni sono i soliti. MJ (che, a scanso di equivoci, per me resta ancora in cima alla montagna) ha dovuto mangiare letame per 7 lunghi anni prima di trovare l’anello,

Quindi, chapeaux a Mr. James, che dopo 2 titoli “normali” a Miami, costruisce il suo personale capolavoro, quello che davvero definisce la sua grandezza, togliendo la scimmia ad un intera citta’ e cancellando in un sol colpo le scorie di The Decision.

Questo scrivevo alcuni giorni fa. Ma la Lega con Jerry West sul logo viaggia alla velocita’ dei Tweet, e se il sottoscritto tiene a bagno maria due appunti, l’attualita’ passa sopra come un’asfaltatrice.
E cosi’ siamo arrivati alla curiosissima sessione di “mercato” estiva, appendice storica ad una stagione altrettanto storica.
Non bastava la cometa di Halley di un salary cap che sale come le Canistracci Oil per via di un contratto televisivo monstre (24 miliardi nei prossimi 9 anni, applausi). 
Il commissioner, che probabilmente subodorava un’estate complessa, ha provato a proporre all’associazione Giocatori un qualche sistema per salire gradualmente con il cap, evitando che i free agent di quest’estate si ritrovassero improvvisamente a nuotare nel platino, a prescindere dal loro valore tecnico.
Ma l’Associazione Giocatori, terminata la reggenza Fisher (quello dell’ultimo lockout) al momento ha come presidente Chris Paul, uno che “pesa”. E se non siete contenti, sulla sedia del vice siede il LeBron James di cui sopra, che si e’ insediato a febbraio 2015, proprio quando ci si e’ resi conto che la suddivisione della prossima torta sarebbe stato un affare tosto, ed i giocatori han voluto mettere il loro Asso di Bastoni, mica un fante di spade. 
E la risposta al Commish e’ stata piu’ o meno “col cavolo. Quei soldi sono nostri e non si toccano”.

Dunque, i free agent di quest’anno, quando han messo il naso sullo spioncino, al posto dei soliti 3-4 GM con soldi da spendere, han trovato TUTTI sul loro pianerottolo. E son partiti contratti paurosi.

Parentesi: da giorni leggo di orde di membri del Sinedrio che si stracciano le vesti perche’ i vari Turner, Bazemore, Byombo del mondo si son beccati quadriennali da 20M scarsi all’anno.

Non so da dove venga tutto questo sdegno. Primo: sono soldi che ci sono e che si inseriscono in un sistema economicamente sostenibile. Per esempio, nel nostro calcio, che viaggia a cifre ridicole rispetto a queste, se alla fine della stagione non arriva il Patron a coprire il buco con soldi suoi, si chiude. E vorrei sapere cosa e’ piu’ giusto.

Secondo: proprio perche’ il salto in alto del salary cap non e’ stato calmierato, questi soldi sono presenti E DEVONO ESSERE SPESI. Sotto il 90% del salary non si puo’ andare, quindi tanto vale darli ai giocatori.

Per questo motivo i contratti di quest’anno devono essere pesati piu’ per la loro durata che per il loro ammontare. 35 milioni per un annuale potrebbero avere meno impatto di 70 in 4 anni, in determinate condizioni di salario.

Una soluzione sarebbe stata ridiscutere tutti i contratti esistenti, ma capite bene che sarebbe stata impraticabile. Quindi avremo bisogno di qualche stagione e di un Cap un po’ piu’ stabile per capire la portata di questi contratti.
Finito? Manco per niente.
Il primo premio di questa sessione di free agent era nientepopodimeno che Kevin Durant, salvo ognuno uno dei 3 migliori giocatori del pianeta Tecnicamente e’ free agent anche Lebron, ma essendo attualmente piu’ grande dei Cavs, e’ piu’ facile che Papa Francesco rescinda con il Vaticano e giochi le prossime stagioni per Costantinopoli).

E per un pepitone del genere, tutti quanti si sono fatti i conti in tasca ed han provato a salire sul calcinculo, per vedere di prendere il peluche.

Dopo alcuni giorni di consultazioni, eliminati i primi interessati ma non interessanti, son rimasti in 3: la franchigia che ha cresciuto il bambino, quelli del Leprecauno, che han messo su un circo non da poco (assoldato anche il marito di Gisele Bundchen, che mi dicono sia bravino in uno sport che si fa all’aperto, ma che per me e’ gia’ un idolo per via della prima persona che saluta quando si sveglia la mattina) e che han fatto comunque arricciare il sopracciglio del giraffone con zainetto.

E, non ultimi, quelli del pifferaio dagli occhi nocciola che, non contenti di aver tiranneggiato la lega per un biennio menotrepartite, han chiesto al Kevin se voleva venire a fare i Beatles con vista sul ponte e su Alcatraz.

Bingo! Kevin Durant, dopo avere sdraiato suo malgrado i social del mondo ed avere generato il piu’ alto numero di refresh della storia delle tastiere, ha scelto proprio Golden State.
Apriti cielo!!! Kevin Durant e’ passato, nello spazio di pochi minuti, da una superstella naif e timida, che aveva pianto come Gyneth Paltrow la notte degli Oscar quando ha ricevuto l’MVP suscitando terrestre tenerezza, al nemico del pianeta, coniglio e traditore, reo di aver distrutto la Lega e il gioco di Naismith con la sua decisione….
Neanche la Brexit ha suscitato questi smottamenti mediatici, e la cosa mi ha francamente incuriosito.
In realta’ mi pare di capire che molti di questi commenti, specie i piu’ livorosi, avevano un qualche interesse tifoso, suddiviso tra chi lo bramava tra le proprie file e chi non lo voleva imbarcato nella squadra probabilmente piu’ forte del lotto gia’ prima del suo arrivo.
Direi che siamo tornati ai tempi di Figo al Real Madrid, e spero che a Oklahoma City non stiano pensando di arrivare al primo episodio del ritorno da avversario di KD armati di teste di maiale.
Ora, visto e considerato che la franchigia che nel cuor mi sta e’ stata fino all’ultimo una delle pretendenti alla scarpetta di Cenerentola, mi sarei aspettato anche dal sottoscritto quantomeno un moto di disappunto o comunque di disapprovazione.
Naturalmente mi spiace che Durant abbia scelto il certo della Dub Nation per l’incerto biancoverde, ma in realta’ il sentimento piu’ grande e’ quello di curiosita’ per gli scenari che questa scelta andranno a delinearsi. 
Golden State, fino ad un lustro fa una franchigia baciata da un clima piacevole ma sportivamente nulla o quasi, e’ diventata in pochissimo una clamorosa superpotenza, trovandosi in casa un top 3, altri due top 10, un MVP delle finali che non e’ tra i primi 3 della squadra, una serie di specialisti di alto livello ed un coaching staff che riesce a mettere assieme tutto questo ben di Dio senza che le primedonne si pestino troppo i piedi, convincendoli anche ad essere, almeno a tratti, la miglior difesa della Lega (a tal proposito mi aspetto un gemellaggio con pedatoria franchigia blaugrana, perche’ i punti di contatto sono tantissimi, non ultima la fatale e narcisa tendenza all’autocompiacimento, unico vero grande limite di queste gioiose  macchine da guerra).
E non ho ancora citato il tizio che si muove nell’ombra di questo scenario, la cui silhouette campeggia su tutto il merchandising. Jerry West e’ il Red Auerbach degli ultimi 20 anni, quello che ha portato Shaq ai Lakers ed ha “visto” Kobe quando questi ancora non sapeva neanche di esserlo. Oggi si gode la pensione un po’ piu’ a nord ma ogni tanto fa delle telefonate.
Ecco, se dovete incavolarvi con qualcuno, popolo dei cinguettii, vi suggerisco di inveire su chi ha dato a West il cellulare del giraffone con zainetto. Perche’ questo, a convincere i giocatori, e’ sempre stato il piu’ bravo di tutti.
Adesso, in attesa che la Lega si assesti, non ci resta che vedere se gli Warriors con Durant saranno quelli di quest’inverno (ingiocabili) piu’ KD meno Barnes (auguri), oppure il non primo caso di acqua e olio che non si mischiano.

Ho letto in giro che non c’e’ mai stato un giocatore cosi’ forte che sia andato in una squadra cosi forte.

A dire il vero ci sono un paio di casi persino piu’ eclatanti: Chamberlain nel 1968 e Moses Malone nel 1982 erano addirittura MVP in carica quando si trasferirono a LA sponda Lakers e a Phila, che avevano, come gli Warriors di quest’anno, appena perso la finale.  

Entrambi sembravano il pezzo mancante per fare l’ultimo passo. I Lakers persero in casa una gara7 passata alla storia per i palloncini mai scesi e per la “candela” di Don Nelson, mentre Phila fece effettivamente un bel parcheggio dei rivali, dominando la postseason come raramente visto prima.

Quindi occhio a pensare che tutto sia finito, perche’ Durant e’ fantastico, ma l’impatto che puo’ dare non e’ neanche avvicinabile a quello di Mister 100, e cio’ nonostante non sempre i talenti si sommano come la matematica.

In tutto questo tourbillon, mai avrei pensato che Lebron (gira che ti rigira, e’ sempre lui il Sole di questa lega) sarebbe passato da “re dei prepotenti”, quello che comanda la squadra, caccia gli allenatori (citofonare Blatt), tiene per il sacco scrotale la dirigenza, va in tv a fare le decision, promette millemila titoli e bla bla bla, a “principe dei buoni”, che regala il successo alla sua citta’ dopo un paio di ere geologiche, vince contro ogni pronostico e ribalta serie irribaltabili, assurgendo ad eroe del mondo.

Interessante cambio di percezione: in realta’ i caratteri sono sempre gli stessi. La voglia di vincere, sopra ogni cosa, li accomuna. Ma finisce li. Lebron e’ una vetrina ambulante, KD uno che se puo’ parlare il meno possibile, lo fa.

Ma Lebron ha gia’ vinto e, soprattutto dopo quest’anno, non deve davvero dimostrare piu’ nulla. KD e’ a digiuno, e, volente o nolente, sono quasi 10 anni che crivella la retina per 9 mesi e vede altri alzare i trofei. Comprendo che questo non sia piu’ tollerabile, e fanculo se per rimediare mi metto nelle mani di chi mezz’ora fa mi ha dato un dispiacere. Il resto conta poco o nulla.

E poi ci sono le solite domande: dove va la NBA, Lebron e’ il piu’ forte ogni epoca, oggi e’ meglio di ieri e tutta la letteratura sul sesso della Barbie e di Ken che, pur eccellente sotto l’ombrellone e prima dell’aperitivo, non e’ che tratti

Questa lega scoppia di salute ma dovra’ stare attenta a gestire questa montagna di soldi, perche’ spesso le Aziende, quando crescono troppo velocemente, poi implodono, e quindi si dovra’ fare un grosso lavoro di consolidamento della propria posizione.
Lebron non so se sia il piu’ grande giocatore di tutti i tempi, semplicemente perche’ paragonare la Gioconda a Guernica o le Piramidi a San Pietro e’ cosa tanto affascinante quanto inutile. 
Ci sono alcune unita’ di misura (anelli, premi, statistiche) che pero’ devono essere pesate nel contesto storico in cui sono avvenuti. Stockton e Malone hanno il grandissimo torto di essere coetanei del 23 originale, cosi’ come Larry e Magic, ed in una certa misura Chamberlain e Russell, sull’altare di una fierissima rivalita’ che li ha resi immortali al gioco, han sacrificato qualche bottiglia di spumante aperta a giugno.

E quella era un’epoca nella quale le squadre da titolo erano 2-3 e sempre le stesse, per cui se “nascevi” gialloviola o biancoverde, non avevi nessuna necessita’ di cambiare aria a meta’ carriera, perche’ i titoli arrivavano ad anni alterni.

Adesso non e’ piu’ cosi, ed i mammasantissima del gioco spesso migrano. Al momento sappiamo che c’e’ stata una straordinaria dinastia in Texas e che c’e’ un giocatore unico che, muovendosi in costa Est, renderebbe da titolo anche Cantu’.
Questa e’ al momento la NBA.

E’ tutto da vedere se i Beatles della Baia emuleranno i Sixers 83 o i Lakers 69. Certamente avranno gli occhi di tutti addosso, e con ogni probabilita’ perderanno almeno parte di quell’aura da rockstar buone che si sono

E adesso godiamoci l’estate, godendoci questo gioioso circo e dimenticando, ma solo per un’attimo, le miserie (nazionali e di club) di casa nostra.

2 thoughts on “NBA: quando i buoni diventano cattivi (e viceversa…)

  1. Per me la cosa è abbastanza semplice: KD è fortissimo ma non ha ancora vinto l’anello, invece di provare a vincerlo in una squadra dove lui è la Stella assoluta, ha pensato bene di andare dai più forti, dall’MVP della Lega e vincere il titolo come il 3 o 4 della squadra. Nulla di nuovo, nulla di male, solo che non saranno gli Warriors di KD a mettersi l’anello al dito, ma gli Warriors di Curry, Thompson, Green e Durant.
    Poi che vincano è ancora tutto da vedere. Certo sono favoritissimi, ma negli sport con la palla niente è incerto come le certezze.

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