Alla luce di gara 4, la precedente sconfitta a Cleveland assume i contorni di una banale interruzione nel dialogo tra i Warriors e i grandi team del passato. I Cavs hanno voluto mettere bocca, hanno abbaiato le loro ragioni, poi sono stati allontanati come un ospite indesiderato.

Golden State non ha alcuna intenzione di fare tardi all’appuntamento con la storia, anzi ha una certa fretta di arrivare a destinazione già lunedì notte, sul parquet amico della Oracle Arena.

Gara 4 è di gran lunga la più bella partita di queste Finals; equilibrata, fisica, emozionale. Il tango va ballato in due, quindi merito ai Cavs che portano il loro A-game e riprendono le buone abitudini che li avevano condotti alla vittoria in gara 3. Questi Warriors però non scherzano, hanno rifiatato e non vogliono rischiare un pareggio che rimetterebbe tutto in discussione.

Steve Kerr, contrariamente ai pronostici, schiera il solito Andrew Bogut in quintetto ma mentre l’australiano si gioca la palla a due lui già ride sotto i baffi che non ha.

Dopo cinque minuti via la maschera, entra Iguodala e il risultato è un primo quarto di quelli che fanno innamorare della pallacanestro, fatto di esecuzioni impeccabili e energia strabordante. Si segnano 57 punti ma non per la pochezza delle difese. James controlla le operazioni e distribuisce, Irving inizia il suo show con 3/6 dal campo e 2/3 dall’arco; dall’altra parte l’imperativo è rimettere in moto la macchina infernale degli Splash Brothers, il cui “laghetto” restava “congelato”.

C’è bisogno della seconda opzione, perché la difesa dei Cavs sale di livello alla Quicken Loans Arena, raddoppia sempre gli esterni e chiude egregiamente su tagli a canestro e tiratori smarcati. Klay Thompson prova a scaldarsi attaccando il ferro con più ostinazione del solito. Steph Curry invece, per non sapere né leggere né scrivere, comincia a prendersi i suoi tiri, indipendentemente dai cambi, dai raddoppi, dall’ottimo lavoro di piedi di Tristan Thompson. Sparacchia un po’, ma non esita. Se la partita non va da lui, sarà lui a andare dalla partita.

38 punti con 25 tiri, tra cui questo qui. Lui dice che gli interessa, a noi sembra la faccia di uno che vuole l'MVP

38 punti con 25 tiri, tra cui questo qui. Lui dice che non gli interessa, a noi sembra roba da uno che vuole l’MVP

Per aprire il campo ai suoi cecchini Steve Kerr ha un piano machiavellico. Draymond Green ha le mani legate dall’ottima copertura di James e la qualità del suo gioco ne risente – non la quantità, però. Sulla potroncina del regista si siede allora Andre Iguodala. 7 assist più 3 secondari alla sirena, 55 possessi e 39 passaggi, dietro solo a Curry e allo stesso Green; queste le misure di un tuttofare dalle mani buone e dal cervello finissimo, ancora più pericoloso quando si cala nei panni di man on a mission.

Iggy finalizza un'ottima circolazione di palla con una rapidissima lettura nel traffico

Iggy finalizza un’ottima circolazione di palla con una rapidissima lettura nel traffico

Ad un primo sguardo sembra che il basket dei Warriors sia fatto di mareggiate, raffiche di triple che generano parziali dal nulla. Chiedere ai Thunder per conferma.

Non è esattamente così, e non è un caso che tali ondate compaiano più di frequente nel terzo quarto. L’attacco di Golden State ti prende per sfinimento con le sue giostre lontano dalla palla, muovono palla, creano spazio e ti costringono a fare il doppio della fatica per coprirlo. Se in gara 3 i Cavs avevano conservato le energie mentali per 48 minuti di lucidità difensiva, complice l’ampio vantaggio accumulato, in gara 4 sentono il fiato sul collo e la sabbia s’insinua negli ingranaggi.

Escono dagli spogliatoi dopo l’intervallo con le gambe pesanti e le idee annebbiate. L’impianto difensivo che Lue ha allestito per queste Finals, l’abbiamo già notato, è una soluzione d’emergenza. Spremere quanto più possibile da modesti difensori individuali in un game plan semplice, sanguigno, muscolare, fatto di concentrazione e attenzione. Non basta.

Si aprono le falle delle prime due partite, Curry trova fasci di luce che illuminano il canestro e ringrazia. Quel tiro a bersaglio del primo tempo è stato utile a scaldargli le mani, si è spinto in partita di forza. Il terzo quarto è suo, l’ultimo pure, con Klay a fargli da degna spalla. Segneranno 17 triple di squadra, il numero più alto in una partita delle Finals, l’ennesimo, scontato record. È anche la prima volta che il conteggio dei canestri dall’arco supera quello dei tiri da due, sedici in totale, come riporta Elias Sports.

 

Quando la partita svolta, lo fa in maniera drammatica. Cleveland resta a galla sulle spalle di LeBron James e dell’ottimo Kyrie Irving, ma scivola inesorabilmente verso i dieci punti di svantaggio e verso la frustrazione, evidente dagli scatti d’ira di James e dalle polemiche di coach Lue a fine partita, di chi sa di avere dato tutto e di esserne uscito con un pugno di mosche. I Warriors possono fare questo effetto.

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Basta una disattenzione sui blocchi di Bogut e Curry punisce

Nel secondo tempo tutte le statistiche dei Cavs sono in calo, evidente sintomo di tossine nei muscoli e di un gioco più sclerotico. 7 palle perse a fronte di 5 assist su 18 canestri realizzati, 11% al tiro dall’arco e un 45% da mani nei capelli al tiro libero. Andando a spulciare i tabellini, però, emerge un dato interessante. Golden State colleziona cifre più ricche in tutte le hustle stats e mostra un gioco più brillante, con 14 assistenze, ma da due tirano poco e male. 8/23, un modesto 35%, a fronte di Cleveland che totalizza un 58% nelle vicinanze del ferro.

I viaggi in lunetta gonfiano il punteggio, certo, ma quelli arrivano in massa nel finale coi falli sistematici. Se desiderate una spiegazione sul perché il tiro dall’arco si definisca the great equalizer, o perché nella pallacanestro contemporanea dissezionata dalle analytics un JR Smith lanciato in contropiede faccia un passo indietro e lanci il pallone da tre, non cercate oltre; una simile statistica, 9/22, coi piedi dietro la linea produce 27 punti.

Se le triple degli Splash Brother hanno svoltato la partita, le hustle plays di Iggy e Green hanno sedato la rimonta dei Cavs nel finale

Se le triple degli Splash Brothers hanno svoltato la partita, le hustle plays di Iggy e Green hanno sedato la rimonta dei Cavs nel finale

Gara 4 è anche la vittoria di Steve Kerr su Tyronn Lue. Giustamente lodato nella riscossa della prima in Ohio, il coach dei Cavs la notte scorsa ci ha capito poco. La partenza era stata delle migliori, con la conferma del preciso Jefferson in quintetto e l’impiego di Love ben centellinato contro le lineup avversarie meno pericolose. Poi però i suoi si disuniscono, lui prova a mettere le pezze senza successo.

Troppo Love in campo nel terzo quarto, fuori dal parquet nei minuti decisivi dove sarebbe servito il suo tiro, si arrende presto alle prime difficoltà di Tristan Thompson e ai due preferisce Channing Frye; vederlo in quintetto nel crunch time di queste Finals è un crimine proibito dalla Convenzione di Ginevra.

A un certo punto, quando Kerr magheggia dalla panchina e pesca prima James Michael McAdoo e poi Anderson Varejao, sembra quasi voglia trollare il rivale. In realtà, lo si apprezza meglio a bocce ferme, stava attuando il piano partita che prevedeva di contendere ai Cavs il dominio sotto i tabelloni con ogni mezzo possibile. Ci riuscirà alla grandissima. 43 a 40 il conto finale, con Tristan Thompson limitato a 7 carambole conquistate dopo che aveva fatto razzia nel primo quarto.

C’è un motivo se la death lineup si è guadagnata questo nome. Quando funziona a pieni giri sembra frutto di un patto col diavolo. Ti consente una straordinaria pericolosità in attacco eppure non paga dazio in difesa e a rimbalzo.

Quello che sembra un sortilegio, una manipolazione della realtà operata dalla pietra filosofale, ha origine da una formula complessa; l’abilità dei singoli interpreti, versatili nei due lati del campo – citofonare Iggy, Green, Klay e anche Barnes per maggiori dettagli -, la qualità delle letture suggerite da un coaching staff all’avanguardia, e soprattutto una chimica di squadra invidiabile. Suona come un cliché, e difatti i luoghi comuni non sono nient’altro che questo; definizioni che si modellano sui grandi.

Memori dei due autoritari successi nelle partite casalinghe, i Warriors hanno tutto da guadagnare nell’affrontare la decisiva gara 5 nella baia. Avranno il supporto del pubblico per ammansire la prevedibile sfuriata dei Cavs, che se non lanciano l’ave maria ora non la lanciano più. Sull’esito del match pesa l’investigazione in corso sullo scambio di cortesie James – Green, col Dancing Bear che va una seconda volta per il bersaglio grosso come neanche il peggior cattivo del wrestling. Meno evidente della scalciata sui kiwi di Steven Adams, la recidività potrebbe però giocargli un brutto scherzo.

Pure in sua assenza, ad ogni modo, Golden State dovrebbe trovare sufficienti motivazioni nella possibilità di festeggiare il titolo in casa. Serve mantenere alta la concentrazione e girare gli specchi dall’altra parte, onde evitare il rischio di perdersi nel proprio riflesso.Niente è scritto nella pietra, ma il finale che si prospetta sembra proprio essere questo.

One thought on “I Warriors dopo Gara 4 – Provaci ancora Steph

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