Gli Hawks non si sono lasciati impressionare dal blowout subito dai Cavs in gara 2. Tutt’al più è servito loro per riposare, come mostra Kent Bazemore appisolandosi in panchina. Si presentano all’esordio sul parquet amico decisi a vendere cara la pelle, ma se persino quando giochi la miglior partita della serie finisci per incassare 121 punti e un parziale nell’ultimo quarto che stenderebbe un peso massimo, qualcosa suggerisce che il destino della sfida sia già scritto e che assomigli da vicino allo sweep dell’anno scorso.

Il bombardamento da record di gara 2 si ripete, anche se in chiave minore; saranno 21 triple di Cleveland alla sirena, ma la differenza è che stavolta anche Atlanta partecipa alla sparatoria, con buone percentuali per di più. Si nutre del supporto del pubblico di casa e toglie le ragnatele dal proprio attacco ingessato. 

Il primo quarto è di quelli che scoraggiano le difese, squadre in equilibrio e 59 punti complessivi. Tutti si aspettavano una mossa di Mike Budenholzer e il coach non si fa attendere. Sefolosha al posto di Korver in quintetto è una manovra d’effetto, che manda un messaggio e intorbidisce le acque. Il cecchino dell’Iowa accumulerà comunque il suo solito minutaggio, ma l’idea è quella di sabotare gli accoppiamenti difensivi di Tyronn Lue inserendolo dalla panchina.

 A proposito di panchina, da lì arriva il secondo aggiustamento di coach Bud. Ha i muscoli e la faccia da bravo ragazzo di Kris Humphries, messosi in mostra nel garbage time di gara 2 e subito promosso in campo. Mr Kardashian ha licenza di uccidere e la missione di fare legna sotto canestro, scambiandosi sganassoni con Kevin Love e Tristan Thompson. 

Interpreta il ruolo alla grande, meglio del più esile Mike Scott che, quando non si accende, soffre la lineup fisica dei Cavs. Viene da chiedersi perché l’allenatore lo lasci a prendere polvere nel secondo tempo, insistendo col dinamico duo Horford-Millsap; in ripresa, soprattutto il primo con 24 punti, ma non del tutto concentrati e a disagio nella serie.

Nel secondo quarto Atlanta allunga, complice la spensieratezza dei Cavs che gettano alle ortiche 10 palloni – uno in più della loro ottima media a partita. Con un parziale di 10-0 l’attacco Hawks viaggia a pieni giri, è più fluido e piacevole da vedere. Korver si nasconde, pochi i giochi impostati per lui, ma interviene con puntualità a punire la difesa quando la scorge in affanno. 

Anche Teague e Schroeder, che continua a essere braccato da Dellavedova, hanno l’ordine di giocare di rimessa. Il piano per scardinare la difesa Cavs è lasciare libertà ai lunghi di creare dal perimetro, con tiri da 3 o partenze in palleggio per coinvolgere il lento pede Love e poi dialogare in alto-basso. 

Ci sono anche due spettacolari alley-oop finalizzati da Horford a premiare gli Hawks, la cavalcata continua ma Cleveland regge il colpo e limita il passivo a 6 punti sulla sirena del terzo quarto. Il senno di poi suggerisce un secondo, piccolo appunto a coach Budenholzer, che sacrifica parte dell’inerzia dei suoi per monetizzare l’imprecisione ai liberi di Tristan Thompson con una serie di falli sistematici.

Coach Lue, intanto, ha accantonato il quintetto piccolo di gara 2 e tira fuori dalla borsa degli attrezzi un Channing Frye che non ti aspetti. Subentrato a un Kevin Love ispirato ma con problemi di falli, si abbina con insospettabile scioltezza a Thompson e s’ingolosisce sugli assist al bacio di LeBron James. Una, due, tre triple. Alla fine saranno sette, da ogni posizione del campo, per un totale di 27 punti. 

Lue è svelto di meningi e capisce che la giornata di grazia del suo veterano non è un caso, tanto da rinunciare al contributo di Thompson per lasciarlo sul parquet quando Love rientra. Il quintetto, così allestito, è pericolosissimo. Kyrie Irving, risvegliatosi dopo una serata apatica, è la testa d’ariete della rimonta con un paio di iniziative personali. 

Il pareggio è una questione di minuti, per l’allungo decisivo serve un LeBron James che gioca un ultimo quarto di rara onnipotenza cestistica. Come nel finale di gara 1, le rubate in difesa generano contropiede e piegano le ginocchia agli Hawks spossati da una condotta, fino a quel momento, quasi perfetta. 

Lo stesso James prende in consegna Jeff Teague, che sembra il più combattivo, e cambia agilmente su Horford sui blocchi negandogli il pitturato. 36 punti nel quarto periodo per Cleveland, con nessuna palla persa e un parziale di 22-5.

 È Kevin Love a infliggere l’ultimo colpo di spada alle velleità di Atlanta con un’azione che è il ritratto dell’ottimo momento di fiducia dei Cavs: spara un airball dall’arco, 24 secondi dopo tira dalla stessa posizione e realizza, poi si sbuccia le ginocchia per recuperare un pallone vagante e si carica coi compagni della panca mentre i suoi realizzano in contropiede. 

È importante che il messaggio provenga proprio dal Beach Boy, criticato fin dal suo arrivo in Ohio per la scarsa integrazione con la squadra e il body language poco incoraggiante.

Una sconfitta dura da digerire, questa, per Atlanta. Un boccone più amaro della ripassata subita in gara 2 perché lascia gli uomini di Budenholzer a domandarsi cosa avrebbero potuto fare di più. 

Al coach sta trovare le risposte, ammesso che ve ne siano. Quando una difesa che primeggia nel concedere agli avversari il 43% da campo assiste ai Cavs perforare la retina 53 volte su 100, è tempo di giocare le ultime carte e farsi fantasiosi.

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