“Continuo ad odiarlo, non credo che sia basket. Non mi piacerà mai e mi sembra una specie di circo”.

Soggetto: il tiro da tre punti.
Parole e musica: Gregg Popovich.

Le parole, espresse nel corso di una recente intervista rilasciata alla ESPN, sono proprio quelle del coach che (soprattutto) grazie al tiro da tre punti ha conquistato nel 2014 il quinto e ultimo titolo per la franchigia texana dei San Antonio Spurs.

Perché mai allora questo genere di affermazione? Soltanto perché quest’anno gli Spurs delle nuove Twin Towers, Duncan e Aldridge, stanno andando malissimo nella categoria in questione (25° per tiri da tre realizzati a partita e 28° per percentuale)?

Forse l’avversione espressa dalle sue parole è un lascito amaro di quel tiro da tre di Ray Allen in gara 6 delle NBA Finals 2013, che costò agli Spurs serie e titolo?

Coach Pop prosegue nella sua invettiva con atteggiamento ancor più provocatorio: ”Perchè non mettere allora il tiro da 5 punti? O il tiro da 7 punti?”

Ora, non credo si arriverà mai a tanto ma l’NBA nel 2014 affermò, tramite il President of Basketball Operations Rod Thorn, di essere aperti all’idea di introdurre il tiro da quattro punti, anche se non a breve. Decisione che avrebbe sicuramente soddisfatto l’immarcescibile Antoine “The Genius” Walker, il quale quando gli fu chiesto come mai tirasse così tanto da tre punti rispose: “Perchè non ci sono quelli da quattro”.

Tornando al casus belli, un vecchio proverbio recita: “Chi disse fidati disse bene, chi disse non ti fidare disse meglio.”

Popovich è infatti un vecchio volpone e non dice mai nulla per caso. Inoltre, nonostante la sua idiosincrasia verso le interviste durante la gara, sono personalmente convinto che dietro alla scorza ruvida di ex-agente della CIA, egli adori fare il personaggio di rottura a-la-Phil Jackson.

Non prenderei quindi le sue parole alla lettera, ma come una provocazione su come il tiro da tre punti sia diventato così importante e decisivo nella NBA moderna, soprattutto alla luce del fenomeno Golden State Warriors di questa e della passata stagione.

Inoltre, come detto precedentemente, Popovich stesso ha cavalcato a lungo questo fondamentale nelle recenti edizioni dei suoi Spurs del “from good to better”. In particolare, nelle finali vincenti del 2014 i cecchini di San Antonio tentarono, e in buona parte segnarono, quasi ventiquattro tiri “pesanti” a partita, in quel momento record assoluto ogni epoca per una squadra campione NBA (poi subito battuto l’anno scorso da entrambe le finaliste Cleveland e Golden State).

Il coach degli Spurs è troppo intelligente per non capire come l’introduzione del tiro da tre punti nella NBA abbia cambiato il gioco in meglio, inserendo una variabile in grado di aprire il campo per l’attacco, favorendo la velocità e la spettacolarità delle azioni e delle partite.

Nella scorsa stagione, nella Lega sono state tentate oltre 55.000 triple, con una media per squadra di 22.5 a partita che nel 1999-2000 sarebbe stata abbondantemente da record (i Sacramento Kings guidavano la lega con 20.2 tentativi a sera). Nel 1987-88, Michael Adams guidò la NBA con 379 tentativi per gara, mentre l’anno scorso Curry chiuse con 646 e oltre 20 giocatori finirono sopra quota 380.

Si potrebbe continuare con gli esempi all’infinito, la verità è che dall’introduzione della linea dei 7.25 ad oggi la tendenza è stata di continua ed esponenziale crescita.

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Facciamo però un rapido salto indietro nel tempo.

Il tiro da tre punti fu introdotto nella NBA durante la stagione 1979-80, dopo che la defunta ABA lo aveva “sdoganato” già nel lontano 1967-68. A quell’epoca il Commissioner George Mikan accompagnò la modifica affermando che la regola avrebbe permesso ai giocatori più piccoli maggiori possibilità di segnare e aprire le difese, in modo da rendere le partite più emozionanti e divertenti per gli spettatori.

Un veloce flash forward e ci ritroviamo ai giorni nostri, per renderci immediatamente conto di quanto una semplice riga bianca sul parquet abbia aperto un enorme ventaglio di possibilitĂ  alle squadre e ai singoli giocatori, in alcuni casi creando dei veri e propri nuovi ruoli sul campo da basket. Pensate agli strech four (Nowitzki, Love, Bargnani, Porzingis), ai 3&D (Matthews, Green, Middleton, Carroll) o agli specialisti puri (Korver, Novak, Morrow, Anderson).

Quest’anno, l’impressionante cavalcata dei Warriors e i record del marziano Steph Curry stanno portando lo sfruttamento del tiro da tre punti su valori statistici impressionanti, ma in generale nella Lega tutte le squadre cercano di correre di più e di aumentare il volume dei tiri pesanti all’interno del loro sistema di gioco.

Ironia della sorte, sono stati proprio gli Spurs campioni NBA del 2013-2014 a dimostrare definitivamente al mondo che si poteva vincere un titolo con il tiro da tre come arma offensiva principale, dopo che tutte le altre squadre prima di loro (come i Suns di Nash e D’Antoni dei “7 secondi or less”, oppure i Magic di Van Gundy con Howard e 4 tiratori sul perimetro) non erano riusciti nell’intento.

Perché quindi lo sfogo così apparentemente “anacronistico” di Coach Popovich?

Come sempre, una cosa difficilmente è di per sé buona o cattiva, quello che fa la differenza è il tipo di utilizzo che si fa di uno strumento.

In questo caso, a furia di analisi sabermetriche e di tentativi di emulazione, in molte partite effettivamente si vedono troppi tiri da tre presi senza un reale strategia o una adeguata preparazione. Infatti, l’aumento dei tiri da tre presi a partita non sempre è andato di pari passo con l’aumento delle percentuali realizzative.

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In particolare, spesso questa soluzione è utilizzata con troppa frequenza da giocatori con percentuali dalla distanza non eccelse, quindi non particolarmente efficaci né efficienti (tanto per non fare nomi i vari Kobe Bryant, Russel Westbrook, LeBron James, hanno già effettuato in questa stagione più di 100 tentativi da tre punti pur essendo tutti sotto il 30% di media), piuttosto che dagli specialisti del fondamentale.

In aggiunta, molti di questi tiri da tre punti sono “pull-up threes”, ossia i tiri da tre dal palleggio, presi su azioni frutto di 1-vs-1 senza circolazione di palla (meno efficienti), piuttosto che “spot-up threes”, ossia tiri da tre sugli scarichi, frutto di un movimento della palla che ha coinvolto precedentemente più di un giocatore (più efficienti). Per questi e per altri motivi non sempre tirare di più da tre punti corrisponde necessariamente ad un un migliore attacco di squadra.

Popovich non è comunque solo in questa “battaglia”. Pat Riley, attualmente Presidente dei Miami Heat ma precedentemente allenatore da cinque titoli NBA (e ancora prima giocatore in un periodo in cui la linea da tre punti su un campo da basket si poteva solo immaginare), ha definito il tiro da tre punti “a gimmick”, letteralmente un trucco, un inganno.

Lo stesso Larry Bird, uno dei tiratori più grandi di sempre, disse che non amava particolarmente questo fondamentale e di non averlo mai realmente allenato, se non prima dei vari Three Point Contest all’All Star Game.

Chi ha ragione quindi?

Come sempre ha ragione chi vince. Lo stesso Pop all’interno della medesima intervista ammette che non si può essere testardi e negare l’evidenza: il tiro da tre punti rappresenta il presente e il futuro della NBA e nessuno utilizza quest’arma meglio di quanto facciano attualmente i gialloblu di Coach Kerr/Walton. Aumentare invece il volume delle triple solo perché valgono un punto in più degli altri tiri non si traduce invece in un’evoluzione del gioco offensivo, semmai il contrario.

Di certo c’è che siamo di fronte ad una nuova era del Gioco, basata su concetti completamente diversi rispetto a quelli anche solo di pochi anni fa. Se poi si sia raggiunto il limite massimo di sfruttamento del tiro da tre oppure se Curry e i Warriors stiano aprendo nuove frontiere, lo scopriremo solo a posteriori.

Nel frattempo… Enjoy the show.

4 thoughts on “Il tiro da tre punti: un circo o una rivoluzione?

  1. Bell’articolo!!!
    Lancio una provocazione: quando il ricorso al tiro da 3 saturerĂ  l’attacco, la linea dove vale 1 di + sarĂ  spostata a 8 metri dal canestro. Almeno in NBA…

  2. Penso anch’io che tra qualche anno l’arco verrĂ  allontanato dal canestro (7,75 metri?), però penso che attualmente l’NBA sia molto piĂą spettacolare di 15-20 anni fa anche se molte squadre sono un po’ noiose rispetto alle big.

    • Ciao Paolo. Sono d’accordo con te, l’introduzione del tiro da tre punti ha aperto il campo, allargato gli spazi e favorito la spettacolaritĂ  delle azioni. Poi a volte se ne abusa, ma a mio modo di vedere questo succede piĂą in Europa che negli Usa…

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