“Questa è la mia vita, e lo sarà per sempre. Non esiste altro: solo noi e la macchina, e nell’oscurità il pubblico che guarda in silenzio.”

Queste parole le pronuncia Norma Desmond nel finale de “Il viale del tramonto”, celebre film degli anni ’50 che narra il declino di una grande attrice di Hollywood, che sia il pubblico che gli addetti ai lavori sembrano aver dimenticato.

Il personaggio di questa star ormai al crepuscolo della sua carriera, interpretata magistralmente da una fantastica Gloria Swanson, sembra adattarsi perfettamente ad una superstar della NBA un tempo acclamata come semi-dio sportivo e ora ridotta purtroppo alla triste ombra del tempo che fu: Kobe Bryant.

La carriera del giocatore non ha certo bisogno di presentazioni, ma facciamo lo stesso un brevissimo riepilogo del personaggio:

  • 5 titoli NBA
  • 2 titoli di MVP delle finali
  • 1 titolo di MVP della regular season
  • 2 volte miglior marcatore del campionato
  • 2 medaglie d’oro alle Olimpiadi
  • 17 convocazioni all’All Star Game
  • 4 volte MVP dell’All Star Game
  • 11 volte primo quintetto NBA
  • 9 volte primo quintetto difensivo
  • terzo miglior realizzatore della storia NBA con oltre 32.000 punti
  • seconda miglior prestazione della storia NBA con 81 punti.

La lista potrebbe continuare all’infinito e non basterebbe comunque a riassumere quello che è stato sicuramente IL giocatore degli anni 2000: il più famoso, il più forte, il più discusso. Credo per questo che oggi tutti, compresi quelli che non l’hanno mai amato (e sono tanti), siano dispiaciuti nel vedere il Kobe di queste prime settimane di campionato.

Gli impietosi e freddi numeri delle sue prime undici partite, 15.2 punti con il 31% dal campo e il 19% da tre punti, nemmeno in questo caso sono sufficienti a spiegare le difficoltà che la trentasettenne guardia dei Lakers sta incontrando in questo inizio della sua ventesima (!!!) stagione NBA.

I problemi principale di Kobe sono il chilometraggio NBA e i gravi infortuni delle ultime due stagioni, ma la cosa peggiore è che al momento pare molto difficile un’inversione di tendenza e questo porta a pensare che questa stagione, che lui stesso ha ammesso potrebbe essere l’ultima, possa diventare un vero e proprio calvario.

Dopo l’entusiasmo e le speranze dell’estate, il ritorno alla realtà: il Mamba non è riuscito a sfruttare l’estate per tornare il giocatore dominante che era fino a due anni fa e, allo stesso tempo, le difficoltà del leader dei Lakers sono purtroppo largamente condivise dai suoi compagni.

Il tutto ha portato i losangelini ad un non proprio invidiabile record di 2-12 (al momento in cui scrivo), il peggiore della NBA a meno che non si voglia considerare Philadelphia una squadra NBA.

Gli acquisti del mercato estivo non paiono essere stati particolarmente utili, a meno che l’obiettivo segreto della dirigenza per questa stagione non fosse il tanking selvaggio alla ricerca di un’altra prima scelta da alta lotteria. In tal caso allora tutto sta funzionando alla grande.

Roy Hibbert non solo non sembra aver fatto i progressi offensivi che i tifosi dei Lakers speravano, ma anche difensivamente, sebbene allenti quasi due stoppate e mezzo partita, non sembra aver portato grande mentalità, visto che attualmente i gialloviola sono l’ultima difesa della Lega in termini di punti subiti su cento possessi (penultima se vale di nuovo l’assunto precedentemente esposto sui Sixers).

Molto limitato è stato anche l’impatto degli altri due free-agent arrivati in estate, Louis Williams e Brandon Bass. Metta World Peace non mi sentirei di considerarlo un “acquisto” nemmeno usando le virgolette, quindi se permettete soprassiederei.

Male tendente al malissimo anche il resto del roster, le uniche note decorosamente liete arrivano da Jordan Clarkson e Julius Randle, che stanno mostrando sprazzi di buona pallacanestro.

Ci sarebbe infine il problema D’Angelo Russell. La seconda scelta dello scorso draft, che avrebbe dovuto essere uno dei più pronti del lotto, sta deludendo senza mezzi termini.

La guardia nativa di Louisville ha avuto da subito lo spot di playmaker titolare ma i risultati per adesso tardano ad arrivare. Percentuale dal campo sotto il 40% e meno di tre assist a partita non credo fossero quello che Scott e la famiglia Buss si aspettavano.

A peggiorare la situazione ci sono i giocatori che sono stati scelti dopo il prodotto da Ohio State: Porzingis, Okafor e Winslow, anche se giocano in ruoli diversi dal suo, stanno facendo tutti meglio di Russel e iniziano ad essere in molti quelli che rimpiangono la scelta di Jim Buss.

La parte peggiore di tutta questa analisi sulla quella che una volta era la prima squadra di Los Angeles è che, come nel caso del loro leader, non si vede la luce in fondo al tunnel.

Della difesa, se proprio vogliamo chiamarla così, abbiamo già parlato prima ma se Atene piange Sparta certo non ride: l’attacco dei Lakers è infatti il ventottesimo per efficienza e anche l’investitura di coach Byron Scott che ha lo ha definito “più stabile” quando gioca Bryant rischia di essere più comica che altro.

“Se sono diventato il portavoce del “movimento di palla” allora c’è un problema” ha dichiarato infatti Kobe e sinceramente la frase è effettivamente paradossale. Non che Bryant non sia capace di passare il pallone, anzi.

I 4,8 assist di media in carriera non sono certo pochi per una guardia e il Mamba è sempre stato uno dei giocatori più intelligenti della Lega a livello di comprensione e lettura del gioco. Ma l’altruismo e la condivisione delle responsabilità non sono state certo il marchio di fabbrica della sua carriera e spesso le sue migliori fasi da passatore coincidevano sinistramente con qualche “sciopero del tiro” messo in atto per vari motivi di frustrazione personale.

Kobe nonostante tutto è un guerriero indomabile e prima della partita di martedì notte contro gli inarrestabili Golden State Warriors ha dichiarato: “Ho visto cose strane accadere nella mia carriera. Stiamo giocando da fare schifo (versione edulcorata della traduzione di “We’ve been playing like shit”) ma potremmo andare là e fare il colpo che nessuno si aspetta”.

Risultato? -34 per i Lakers e un Bryant da 4 punti con 1/14 dal campo, 3 airball e 1 tiro incastrato fra ferro e tabellone… Sinceramente vederlo in queste condizioni fa stringere il cuore.

Quali speranze quindi per Bryant e i suoi Lakers?

Sinceramente poche, i playoff non erano un obiettivo realisticamente raggiungibile nemmeno prima dell’opening night, figuriamoci adesso. L’obiettivo per i gialloviola dovrà essere quello di sfruttare la stagione per far crescere i giovani e sperare in un sorteggio fortunato il giorno della Lottery.

Per Bryant personalmente auspico un’annata senza infortuni e spero possa risollevarsi abbastanza per poter fare di quest’ultima stagione una passerella d’onore, come quella che fu per Jordan l’ultima di Washington.

In ogni caso, nemmeno un’ultima annata negativa potrà mai intaccare la leggenda di Kobe Bryant, che resterà per sempre uno dei più grandi giocatori che abbiano mai calcato i parquet della NBA.

D’altra parte, come diceva Gloria Swanson, “Io sono sempre grande. È il cinema che è diventato piccolo.”

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