Estate, tempo di mercato.

Allenatori, stelle, secondi violini, role players, agitatori di asciugamani che cambiano casacca, tifosi che sognano in vista della stagione che verrà e telefoni roventi per i general manager, chi a caccia del veterano, chi della trade per portare a casa la superstella, chi del tiratore mortifero, chi impegnato a smantellare la squadra e a liberare spazio salariale in vista della prossima estate che si preannuncia ancora più torrida di questa.

Contrariamente a quanto succede nella nostra parte dell’Oceano con l’ amato/odiato pallone, non esiste la compravendita vera e propria dei giocatori, ma esistono tre modalità attraverso le quali una franchigia può acquisire le prestazioni di un atleta: la free agency, uno scambio (trade) oppure un sign-and-trade.

Tali operazioni devono rispettare i vincoli del tetto salariale (Salary Cap) e di tutte le norme che lo regolano, dunque l’analisi della free agency non può prescindere da una conoscenza basica del sistema che regola gli stipendi dei giocatori della lega di basket più importante del pianeta.

Salary Cap è il termine generico con il quale si intendono i limiti imposti ai team riguardo gli ingaggi dei giocatori sotto contratto. Compare per la prima volta (se si eccettua un precoce tentativo a metà anni 40) per la stagione 84/85 con l’intento di contenere i costi e mantenere e supportare l’equilibrio e la competitività della lega.

Contrariamente ad altre leghe professionistiche americane come NHL e NFL, l’NBA ha un soft Cap: vi sono numerose eccezioni che permettono ai team di sforare il tetto, e, fondamentalmente, il fine ultimo di tali eccezioni del soft Cap è quello di dare la possibilità ai team di trattenere i propri giocatori.

Si possono distinguere 4 soglie principali: salary floor, salary cap, luxury tax line, apron.

La prima è un valore essenzialmente economico, che condiziona il bilancio delle franchigie, mentre le successive tre riguardano, oltre che l’aspetto economico,anche  l’aspetto sportivo.

Il Salary Floor è la soglia minima che ogni franchigia è obbligata a spendere in stipendi. Si attesta, dalla stagione 2013/2014, intorno al 90% del salary cap e, qualora non raggiunga il floor, il team è obbligato a distribuire tra i contratti in essere la rimanenza non spesa (56,75M per la stagione appena conclusa).

Il Salary Cap è la soglia principale di spesa: al di sotto e al pari la libertà di azione è pressoché totale, al di sopra vi sono limitazioni (63/M).

La Luxury Tax Line rappresenta l’area entro cui saranno applicate delle sanzioni (la tassa di lusso) proporzionate allo sforamento (76,82M).

L’Apron è la soglia entro la quale intervengono limitazioni ancora più incisive alle operazioni di mercato (80,82M).

Senza entrare troppo nel dettaglio, le sanzioni previste in caso di superamento della linea della luxury tax sono essenzialmente economiche, per cui sono previste varie fasce che comportano il pagamento da 1,50$ a oltre 4$ per ogni dollaro in eccesso.

Per fare un esempio, i Nets versione 13/14 sono stati i più spendaccioni e il loro monte salari posto a 102M comportò una spesa reale di circa 190M per il “povero” Prokhorov.

Il nuovo CBA prevede anche un incremento della tassa per i recidivi, dunque i Nets, con un ipotetico monte stipendi identico anche nella stagione appena conclusa, avrebbero pagato circa 120M solo in tasse.

Per rendere l’idea, andare in luxury fino ad un monte stipendi di circa 85-90M una tantum, magari per dare l’assalto al titolo, rimane comunque una spesa più o meno accettabile per i proprietari.

Il denaro ricavato dalle tasse di lusso viene poi distribuito tra le franchigie virtuose, e si tratta di denaro extra che può essere utilizzato per implementare l’aspetto tecnico (osservatori, allenatori, vice e membri vari dello staff sono slegati dal discorso salary cap) o incamerarlo per farsi trovare pronti quando decideranno loro stessi di andare in luxury.

Dalla stagione 2011/2012 il tetto salariale viene annunciato di anno in anno, a seconda delle proiezioni dei ricavi generali (BRI) del circo NBA della stagione successiva: biglietti, merchandising, attività benefiche e collaterali, diritti d’immagine, sponsor, tutto.

Senza addentrarsi troppo nell’oscurità dell’avvocatese, giocatori e proprietari si spartiscono equamente la succosa torta del BRI: 50 e 50.

Il tetto salariale e le varie soglie sono ratificate dal contratto collettivo (CBA), la cui stesura è stata piuttosto lunga e travagliata, giunta solo al termine di un’estenuante trattativa (lockout del 2011) tra lega, proprietari e giocatori.

Detto CBA regola tutto ciò che concerne il mercato, dal cap alle trades, dalla free agency alla luxury tax, dai minimi/massimi contrattuali consentiti  alle procedure del Draft e resterà in vigore fino al termine della stagione 2021.

Le cifre di quest’anno sono le più elevate di sempre, e anche lo stipendio medio dei giocatori NBA (circa 5M abbondanti) è il più alto tra tutte le major, ma non è finita qui: i nuovi contratti TV previsti in essere dalla stagione 2016/2017 porteranno ad un ulteriore, e cospicuo, innalzamento.

LA FREE AGENCY

La free agency può essere considerata come uno degli assiomi degli sport professionistici USA.

Alla scadenza del contratto non vi è alcun vincolo che lega il giocatore alla squadra di origine (un po’ quello che succede in Europa con il calcio grazie alla sentenza Bosman del 1995): i giocatori smettono di essere di proprietà del team, e in un sistema che non prevede il costo in denaro del “cartellino”, questo rappresenta la pietra miliare su cui basare l’intero sistema mercato.

Per acquisire un giocatore free agent l’unico aspetto rilevante della questione è lo spazio salariale a disposizione della squadra offerente, in altre parole quanto il team può/vuole offrire.

Sono essenzialmente tre gli scenari cui si potrebbe assistere.

a) Monte salari inferiore al cap.

È possibile offrire tutto o parte dello spazio ad uno o più giocatori, fino al raggiungimento del limite. Una volta raggiunto tale limite, il general manager ha ancora a disposizione un’eccezione (quantificata intorno ai 2,6M per la stagione 14/15) chiamata Room Mid-Level Exception: una volta utilizzata sarà possibile firmare giocatori solamente ai minimi salariali.

b) Monte salari oltre il cap ma al di sotto della linea della Luxury Tax.

La libertà di movimento si assottiglia notevolmente: saranno possibili solamente due tipologie di eccezioni.

La prima, la Mid Level Exception (MLE), quantificata in 5,3M può essere utilizzata ogni anno ed essere destinata a uno o più giocatori. La seconda, Bi-Annual Exception (BAE) può essere utilizzata solo ad anni alterni e vale intorno ai 2M. Una volta esaurite queste, solo minimi contrattuali.

c) Monte salari oltre la Tax Line.

Vi è solamente una possibilità, la cosiddetta mini-MLE, quantificata intorno ai 3,2M e poi solo minimi contrattuali.

Al netto della regola base, ovvero l’impossibilità di sforare il cap se non attraverso le eccezioni di carattere generale descritte sopra, vi sono altre eccezioni “particolari” per le quali ai team è concesso di andare oltre il monte stipendi.

Alcune di queste exceptions sono possibili solo in sede di trades e altre in sede di free agency, qualora i giocatori e/o i loro contratti presentino particolari caratteristiche.

Le più rilevanti sono quelle derivanti dai Larry Bird Rights e quelle previste per i Rookie Contracts.

Per quest’ultimo caso la spiegazione è abbastanza semplice: qualsiasi team, a prescindere dalla sua situazione salariale può firmare le loro prime scelte con le cifre previste dalla rookie scale.

I Larry Bird Rights permettono alla squadra che ha visto spirare il contratto del giocatore in questione di rinnovarlo a prescindere dalla propria situazione di salary cap.

Devono il loro nome al fatto che la prima franchigia ad utilizzare questa eccezione furono i Celtics proprio per rifirmare Larry Legend, e producono variabili a seconda degli anni di permanenza nella stessa squadra.

Esse sono Bird, Early Bird e Non Bird Exception.

a) BIRD. Necessari almeno 3 anni di permanenza e si ha la possibilità di offrire un contratto di durata massima 5 anni (unico caso possibile) al massimo salariale e un incremento annuale di stipendio del 7,5%.

b) EARLY BIRD. Minimo 2 anni di permanenza, la franchigia può offrire 4 anni di contratto avente come massimo possibile il 175% dello stipendio della stagione precedente e un incremento annuale del 7,5%.

c) NON BIRD. In questo caso basta un anno di permanenza per poter offrire al massimo il 120% del minimo salariale per 4 anni con un aumento annuale del 4%.

Il senso dei Bird Rights sta nel tentativo di dare continuità al lavoro del general manager. In effetti il primo caso è riservato alle stelle e le squadre di provenienza possono offrire ben più di ogni altra; il secondo e il terzo caso sono riservati a quei giocatori di fascia medio-alta che potrebbero ambire a contratti più elevati ma che magari preferiscono rimanere nella squadra per proseguire un discorso tecnico ben avviato.

I diritti Bird non costano nulla in termini monetari, ma in termini di flessibilità sì. Essi generano nella modalità vista e rimangono nel Cap finchè non si estinguono: ovvero nei casi in cui il giocatore rifirmi (e allora lo stipendio reale prende il posto dei diritti), nel caso in cui il giocatore firmi per un altro team oppure qualora sia la squadra stessa a rinunciare ai diritti.

Dunque è possibile che nei vari salary cap delle squadre resistano vecchi “hold”, vecchi diritti di giocatori magari ritirati (celebre il caso di John Snell ritirato nel 2000 dopo il suo quarto titolo e rimasto nel monte stipendi dei Lakers fino al 2013) perché magari alla franchigia non serve di liberare spazio salariale.

In effetti, dal punto di vista delle squadre, è più conveniente stare poco sopra al cap, ove si ha diritto sia alla MLE che, ad anni alterni, alla BAE (per un totale di quasi 8M) piuttosto che poco sotto, dove si ha diritto solamente alla Room MLE da circa 2,6M.

Allo scadere del quarto anno del contratto da rookie e allo scadere del primo contratto NBA, se triennale o più breve, di tutti gli altri (e dunque undrafted e scelti al secondo giro), il giocatore è da considerarsi Restricted Free Agent. Ovvero, alla squadra che detiene i Bird Rights basterà pareggiare le offerte proposte dalle altre squadre per mantenere in squadra il giocatore in questione.

Come le altre, anche questa norma spinge nella direzione della continuità. Il sistema si basa sulla Qualifying Offer, un’offerta dall’ammontare predefinito che il giocatore può accettare o meno. Accettandola si allunga il contratto di un anno alle cifre predefinite, al termine del quale l’atleta diventa unrestricted free agent; non accettandola il giocatore può raggiungere un nuovo accordo e rinnovare con la squadra di origine oppure raggiungere un nuovo accordo con una squadra diversa e, in seguito, sottoporre tale offerta a quella originaria la quale avrà 3 giorni di tempo per pareggiarla o meno. In questo modo è il team a mantenere il controllo della situazione sul giocatore, e non può in nessun modo esserne privata contro la sua volontà.

I CONTRATTI

In tema di contratti NBA, vale regola generale che tutto ciò che sia stato messo nero su bianco permanga fino a naturale conclusione. In tal senso l’unico modo per ridurre lo stipendio di un giocatore che sta rendendo meno di quanto ci si aspettasse è attendere la fine del contratto e, allo stesso modo, nei casi in cui sia prevista l’opportunità di rinnovare il contratto, l’estensione non andrà a sostituire il contratto in essere ma si accoderà al termine dello stesso.

Esistono però varie opzioni che non rendono tutti i contratti chiusi e definitivi, delle opzioni decise a monte che sono Team Option, Player Option, Early Termination Option.

Sono tutte casistiche che permettono di terminare il rapporto prima della naturale scadenza: team e player option possono essere inserite per l’ultimo anno di un qualsiasi contratto pluriennale e saranno o la squadra o l’atleta ad avere facoltà di poter porre fine anticipatamente al contratto; la early può esservi solamente nel caso di un contratto quinquennale all’ultimo anno e, come nel caso della player, la facoltà spetta al giocatore. Dette opzioni sono incompatibili l’una con le altre.

In certi casi, né il denaro né la durata del contratto in certi casi sono garantiti, ma lo diventano solo al raggiungimento di alcuni requisiti, di prestazioni o di tempo di permanenza in squadra.

Uno degli ultimi contratti di Paul Pierce non era del tutto garantito: per esempio, in caso di taglio prima del 30 Giugno, al buon PP sarebbero spettati solamente 5 dei 15M previsti dall’accordo complessivo.

Per ultimo, le estensioni. Sono possibili per contratti di almeno 4 anni e,in virtù di quanto detto prima sui Bird Rights, solamente per i giocatori in uscita dal primo contratto in rookie scale (scelti al primo giro) è più vantaggioso estendere il contratto in essere piuttosto che firmarne uno nuovo da free agent avvalendosi del contributo di Larry.

I normali contratti (con spazio salariale) possono essere estesi per un massimo di 3 anni, mentre i giocatori di cui si parlava poc’anzi possono aspirare ad un estensione, oltre che più ricca, anche più lunga: 4 anni o 5, in caso l’atleta sia designato come uomo-franchigia, Designated Player.

Per questo tipo di giocatori è possibile offrire fino al 30% del monte ingaggi e, la Derrick Rose Rule, come il primo che ne ha usufruito, è pensata per quei giovani particolarmente meritevoli che nei primi 4 anni abbiano partecipato a 2 All Star Game come starter e/o abbiano vinto un titolo di MVP e/o siano stati 2 volte All NBA: questi possono ambire al massimo salariale previsto per i giocatori con 8-10 anni di esperienza.

Al momento sono solo Rose, Griffin e George; Wall, Westbrook (che ne ha potuto usufruire solamente perché Durant aveva già rinnovato sotto il vecchio CBA), Harden e Irving hanno invece potuto firmare ricchi rinnovi per il 25% del salary cap perché, seppur designati come franchise players non sono riusciti a soddisfare tutti i requisiti per il “supermassimo” (Kevin Love sarebbe stato candidabile come designated player, ma i T’Wolves gli hanno riservato un quadriennale “normale”).

Ogni squadra non può averne a roster più di 2 (di cui il secondo arrivato via trade) e non può designare un nuovo giocatore prima che spiri il contratto del designato originario.

Si è già accennato al fatto che minimi e massimi contrattuali sono decisi a monte nel CBA, e sono variabili a seconda del livello di esperienza nella lega: si parte da un minimo di quasi 500mila $ che può essere offerto sempre, tranne che per le squadre che andrebbero a sforare la soglia apron e che per questo si trovano in regime di hard cap.

Gli anni di permanenza nella Lega incidono anche nel calcolo del massimo salariale: senza entrare troppo nel dettaglio, un atleta con 0-6 anni di esperienza può aspirare a circa 13,5M mentre uno con 10 anni più o meno a 19M.

Kobe Bryant è arrivato alle cifre del suo penultimo contratto (che ha chiamato 30M nella stagione 2013/2014) per aver sempre rinnovato al massimo ad ogni occasione possibile. Infatti, qualora le cifre del precedente contratto siano già più elevate del massimo salariale sarà proprio questo ammontare ad essere utilizzato come base per il contratto successivo: gli incrementi annuali del 4,5% possono far lievitare il conto in banca in maniera considerevole.

Ovviamente nessuna squadra è obbligata a tenersi un giocatore né tantomeno il contrario, tranne che nel caso del restricted free agent, anche se poi trattenere qualcuno controvoglia non ha (quasi) mai senso.

Esiste la possibilità di tagliare un giocatore, ma vi sarebbe l’obbligo di pagare quanto previsto e la parte garantita del contratto rimarrebbe a pesare sul cap fino a naturale scadenza e, per questo, viene utilizzata solo in casi di necessità, generalmente per problemi che toccano la sfera privata e comportamentale dell’atleta in questione.

Esiste anche una soluzione intermedia, che scontenta tutte e due le parti in causa e per questo svolge in maniera molto efficace il suo compito: il BuyOut.

Squadra e giocatore indesiderato trattano una sorta di buonuscita, terminando consensualmente il rapporto: quest’ultimo ci rimette qualche dollaro e la franchigia tiene il contratto così decurtato nel proprio monte ingaggi.

Infine, per concludere la panoramica sui contratti, un breve accenno alla Amnesty Provision. Il giocatore che subisce la amnesty viene rilasciato e il suo contratto scompare dal monte ingaggi, anche se continuerà a percepire tutti i verdoni previsti. Sembrerebbe un jolly e lo è, ma in realtà può essere utilizzato solo con i contratti preesistenti il lockout (autunno 2011), studiato per adattarsi più velocemente alle nuove regole post serrata.

Ormai i giocatori papabili sono pochini e i casi precedenti di Amnesty usata in maniera utile per ambo le parti in causa sono veramente pochini (Arenas-Magic, Scola-Rockets e Boozer-Bulls).

Il giocatore “tagliato” continuerà a guadagnare lo stesso stipendio che gli sarebbe spettato pre-waive, sia che resti senza squadra sia che ne trovi una, e in tal caso lo stipendio pagato dalla nuova andrà ad alleggerire la spesa di quella originaria.

3 thoughts on “INTRODUZIONE AL MERCATO NBA: LA FREE AGENCY E I CONTRATTI

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