Houston vince gara 7, diventa la nona squadra nella storia NBA  a vincere una serie dopo essere stata sotto 3-1 e a 19 anni dall’ultima volta, torna in finale di conference.
Visto come si era messa la serie, i mirini della critica erano pronti a far fuoco sulla squadra di McHale; il sistema offensivo fatto solo di isolamenti e pick-and-roll,  la non-difesa , i ritmi bassi e la poca intensità, il “sopravvalutato” vice-MVP che nei Playoff non riesce ad essere decisivo, la fine di Howard e Smith e i primi commenti sulle scelte della dirigenza sarebbe stati oggi, solo alcuni degli argomenti trattati dalle testate del Web.
E invece, contro ogni pronostico, la squadra che oggi è  messa a giudizio sono i Clippers; per l’ennesima volta ad un passo dalle prime storiche finali di conference, hanno compiuto un vero e proprio suicidio.
Una delle tante “scusanti”  potrebbe essere la stanchezza, visto che i Clips negli ultimi 28 giorni hanno giocato 14 partite, coinvolgendo nelle rotazioni solo 7 giocatori. Ma aldilà di quanto visto in campo, rimane il fatto che Doc Rivers e Co tornano a confermarsi come la squadra dalla cultura perdente, incapaci in questi anni di farsi strada nei playoff e accusati di essere troppo poco “freddi” quando conta.
È giusto parlare delle colpe dei Clips, ma non è giusto basarsi sui motivi della loro disfatta per giustificare la vittoria dei Rockets. Houston, dopo il 3-1 ha dato prova di essere una squadra con la S maiuscola, mettendo in campo orgoglio e cuore, trovando la forza di rialzarsi anche quando era sotto di 19 a meno di un quarto dalla fine della partita che avrebbe potuto chiudere la loro stagione.
Si può dar credito a Harden, alla panchina e ad tanti altri fattori determinanti di questa rimonta, ma attribuirei buona parte dei meriti a coach McHale, la leggenda dei Celtics ha avuto la lucidità di cambiare faccia alla sua squadra con accorgimenti tecnici e tattici vitali per Houston.
Esempi? Ha dimostrato inanzitutto di aver personalità quando ha lasciato Harden in panchina nell’ultimo quarto di gara 6, ha risolto il problema delle palle perse inserendo Smith in quintetto base e gli ha affidato le chiavi della squadra quando il Barba era in panchina, ha cambiato il minutaggio e i campi dei suoi uomini, ha dato più spazio ad un giocatore fondamentale come Brewer e ha sempre saputo gestire i problemi di falli; tanti piccoli aggiustamenti che alla fine hanno fatto la differenza.
L’arma in più decisiva per i Rockets, che al contrario è mancata a LA,  è stato il supporting cast che ha inciso notevolmente sull’inerzia della serie. Prendiamo per esempio gara 7, Harden ha giocato un primo quarto strepitoso ed ha poi controllato la gara magistralmente, ma ha dare vita al break in favore di Houston sono stati Brewer e Prigioni che hanno messo in campo tanta energia e intensità, cambiando il ritmo alla gara e colpendo più volte in contropiede degli stanchi Clippers.
Ariza ha messo delle triple importanti, Josh Smith non ha sbagliato nessuna scelta e la coppia Howard-Jones ha controllato il pitturato.
Mentre dall’altra parte giocavano in due, un infinito Paul e il solito Griffin, il contributo degli esterni è mancato e LA ha fatto fatica a trovare il canestro nonostante l’instabile difesa di Houston; e se non ti entrano i tiri non puoi permetterti di subire 110 punti.
I Clippers chiudono la stagione con l’amaro in bocca per aver buttato via un’altra occasione, Paul-Griffin-Jordan rimandano ancora il loro appuntamento con il Larry-O’Brian Trophy.
I Rockets continuano la loro crescita e avanzano, ma adesso si trovano davanti la miglior squadra della regular season. Il test decisivo per mettere alla prova le potenzialità e il valore di questa squadra.

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