Come da copione. Il Toyota Center inneggia la cantilena “MVP” e i Rockets passano la serata con gli occhi di tigre, al contrario di quelli timorosi visti un paio di giorni prima in quel di Dallas.

Ma i festeggiamenti, quelli dei giocatori, non ci sono perché il messaggio che Houston vuol dare è chiaro e minaccioso: non ci interessa superare il primo turno.

“Noi abbiamo obiettivi più alti di questo”, sintetizza la sua superstar nell’immediato post partita. La serie non è stata semplice, come si premurano di ripetere un po’ tutti i vincitori dopo averla chiusa, un po’ per cortesia un po’ perché è la verità, ma ad essere sinceri non si è trattato nemmeno di una serie tremenda, di quelle che lasciano il segno per le partite a venire.

È stata un po’ come gara 5, che Houston ha preso in mano dopo qualche minuto grazie ai soliti temi: il talento di James Harden, le spalle larghe di Dwight Howard, l’energia di Josh Smith e la voglia di un gruppo di giocatori con qualche qualità e, in diversi casi (Trevor Ariza e Jason Terry, ad esempio), anche con esperienza di playoffs, cosa che non fa certo male.

E così dalla metà del primo quarto Dallas si ritrova a rincorrere, e lo farà per il resto della partita anche se il ritardo non diventerà mai incolmabile (il massimo vantaggio, nel terzo quarto, sarà di +14).

I Mavericks fanno l’ormai usuale gara tutta cuore, l’unica che possono fare, ma questa volta gli manca un po’ troppa sostanza per fare davvero paura ai padroni di casa.

Le statistiche alla fine diranno solo cinque triple a segno su 26 tentativi, con un Dirk Nowitzki che entra offensivamente nel match un po’ troppo tardi, e cioè dopo un pessimo due su undici nel primo tempo, e un Monta Ellis che questa volta non riesce ad essere un fattore (e si fa pure male nel finale).

Anche quando Rick Carlisle usa i falli intenzionali su Smith e Howard (che ci mettono del suo per dare una mano ai Mavs, tirando dalla lunetta con rispettivamente il 40% e il 50%), i suoi non riescono a dare davvero l’impressione di poter rientrare.

Eppure, nonostante tutto, Dallas si ritrova a -5 a tre minuti dalla fine, prima che Harden la ricacci definitivamente indietro con la quarta tripla della sua serata.

E così alla fine si contano i 28 punti del Barba, i 18 di Howard (con 19 rimbalzi), i 20 di un ritrovato Smith e i 15 di un Terrence Jones, per una squadra che si affaccia al momento decisivo della stagione con tutti gli uomini al posto giusto, ad eccezione forse di Jason Terry, in questa serie non all’altezza dei suoi compagni.

Dopo il match Kevin McHale si è fatto una gran risata e si è detto soddisfatto di poter starsene seduto davanti alla tv a vedere San Antonio e i Clippers che si scannano nella loro serie di primo turno, magari fino a gara 7.

Certo non possiamo dargli torto, uscire da una serie complessa e dura, chiunque tu sia, limita le forze che puoi mettere in campo in quella successiva. Eppure, a dispetto di tutti i proclami, l’ex ala grande dei Celtics non dovrebbe dormire sonni tranquilli.

Si trova nella zona peggiore del tabellone, e al prossimo turno potrebbe trovare la stessa squadra (gli Spurs) che l’ha battuta due volte nel finale di stagione regolare, compresa una a domicilio, dando la netta impressione di poter limitare le armi offensive di Harden e compagni. E quella squadra sono i campioni in carica.

Insomma, fino ad ora i Rockets sono riusciti ad ottenere tutto quello che volevano, una grande stagione regolare, una superstar da MVP, un gruppo motivato e sufficientemente esperto, un primo turno superato senza patemi. Il bello, però, arriva adesso.

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