Mentre sulla costa del Pacifico la corsa al posto al sole dei play-off sembra essere ristretta a sole tre squadre, sul versante orientale il quadro appare decisamente più fluido: se infatti le sei squadre attualmente in vetta al ranking non dovrebbero avere problemi a guadagnarsi i loro pass per la post-season (addirittura gli Hawks sono già sicuri della qualificazione), le squadre che stazionano dal settimo all’undicesimo posto della graduatoria (in rigoroso ordine alfabetico: Celtics, Heat ,Hornets, Nets e Pacers; escludiamo i Pistons, che sembrano aver mollato la presa), al momento racchiuse nel giro di una manciata di partite, avrebbero ognuna delle ragioni sufficienti per reclamare uno dei due residui spot disponibili per la parte decisiva della stagione.

Considerati i grandi sconvolgimenti determinati da una delle trade deadline più pazze di sempre, gli infortuni più o meno gravi che hanno colpito qualcuna di queste franchigie e un calendario che sembra, in una maniera anche più ossessiva di quanto tradizionalmente accade nel finale di regular season, divertirsi a far incrociare le cinque avversarie,  il tentativo di prevedere ciò che potrà succedere nel prossimo mese può sembrare del tutto avventato .

D’altra parte, come Tranquillo insegna, non possiamo esimerci in questa sede dall’ azzardare un pronostico, sulla base di quanto fin qui (di)mostrato dalle candidate durante l’anno e, in particolare, nell’ultimo periodo.

In questa prima parte della nostra analisi, ci soffermeremo sulle due squadre al momento più staccate (per modo di dire) in classifica e che, per motivi differenti, sembrano avere le minori possibilità di far loro una casella del tabellone dei play-off: i Boston Celtics e i Brooklyn Nets.

BOSTON CELTICS

Il processo di ricostruzione della franchigia più vincente della storia del basket a stelle e strisce, partito ufficialmente in Dicembre con la cessione di Rajon Rondo ai Dallas Mavericks e proseguito durante il mese di Gennaio con il trasferimento di Jeff Green ai Memphis Grizzlies, ha subito un ulteriore sviluppo a Febbraio, con la partenza di Tayshaun Prince (per un romantico homecoming in quel di Detroit) e gli arrivi di Isaiah Thomas, dell’ala svedese ex Biella Jonas Jerebko e del nostro Gigi Datome (questi ultimi due rispettivamente UFA e RFA il prossimo Luglio,tanto per chiarirci subito).

Tenendo presente che il progetto di Danny Ainge non prevederebbe l’immediata partecipazione ai play-off, soprattutto se consideriamo l’ elevato numero di scelte al draft di cui i bianco-verdi disporranno nei prossimi anni (solo nei primi giri dei prossimi due draft, i C’s potranno scegliere da un minimo di quattro ad un massimo di sei volte) , è evidente che farsi sfiorare dalla tentazione del tanking sfrenato (nella quale, per inciso, molte squadre dell’ Est sono già cadute da tempo) potrebbe a conti fatti essere una scelta più che condivisibile.

D’altra parte, è pur vero che esistono tutta una serie di elementi sufficienti a lasciar pensare che i Celtics, un po’ come novelli spartani, proveranno fino all’ultimo a vendere cara la pelle: la voglia di emergere o di rivalsa di alcuni membri del roster (pensiamo ad Evan Turner, a Marcus Smart, ma pure allo stesso Thomas) , l’ ambizione di Coach Stevens di dimostrarsi un vincente anche tra i pro, il livellamento verso il basso di una Eastern Conference che lascia, quasi in maniera democratica, spazio per sognare a chiunque voglia provarci e, last but non least, l’impossibilità di accettare e far propria la cultura della sconfitta dalle parti del Garden.

Tutto questo trascurando che un viaggio in post-season, dovesse durare anche solo per quattro partite, sarebbe in ogni caso propedeutico per il futuro sviluppo di questo gruppo, che potrebbe assaggiare le atmosfere di un palcoscenico dove i Celtics hanno il diritto e il dovere di recitare qualcosa di più che un ruolo di semplici comparse.

Anche a fronte di tali considerazioni, è evidente come Boston abbia, rispetto alle sue avversarie, minori possibilità (e forse minor necessità) di finire la propria stagione con lo scudo; ma sarebbe davvero una sorpresa se il destino ultimo stagionale della franchigia 17 volte campione NBA non fosse quello di finire su di esso?

BROOKLYN NETS

A differenza di quanto successo sin dal trasferimento in Atlantic Avenue, la stagione dei Nets non era iniziata nè con proclami bellicosi, nè con la luce dei riflettori puntata addosso, ma con un più “semplice”  avvicendamento in panchina (con l’ ex Memphis Lionel Hollins al posto del giovane Jason Kidd) e soprattutto con la sostanziale conferma della line-up dell’anno precedente, escludendo solo (perdonate l’uso improprio del termine) la partenza verso la capitale di Paul Pierce.

Ovviamente, se da un lato questo poteva essere un vantaggio in termini di amalgama di squadra (al netto di tutto quello che un cambio alla guida tecnica può comportare), di contro l’età avanzata e la conseguente usura fisica del roster non permettevano di sperare in un significativo miglioramento del risultato dell’anno scorso: infatti, come ampiamente pronosticabile ad inizio stagione, è altamente improbabile che i Nets ritornino in quella semifinale di Conference raggiunta non più di 10 mesi fa.

Attualmente, però, la situazione risulta addirittura più critica di quanto ci si potesse attendere, dal momento che la stessa partecipazione ai play-off di una squadra che ha fatto della discontinuità il suo tratto distintivo (nelle ultime partite sono arrivate, tra le altre, una vittoria contro Golden State e una sconfitta contro Utah) risulta fortemente a rischio.

La ricerca dei motivi di questa discontinuità porta a diverse soluzioni: prima di tutto, bisogna considerare le altalenanti prestazioni di un Deron Williams la cui produzione offensiva è ai minimi storici (con cifre in alcuni casi superiori solo a quelle della sua stagione da rookie) ed il cui ruolo di point guard titolare è messo a repentaglio dalla concorrenza (tra l’altro non certo irresistibile) di Jarrett Jack .

In seconda battuta, è necessario notare che il roster, specialmente in alcuni ruoli, non è all’altezza delle ambizioni da titolo mai nascoste dal magnate Prokhorov, con una sinistra alternanza di spot nei quali la concorrenza per una maglia è selvaggia (ad esempio nel ruolo di pivot) e di spot nei quali persino i titolari o presunti tali risultano inadeguati (Alan Anderson o il pur generoso Thad Young).

Infine, come elementi di contorno in una situazione piuttosto delicata non è possibile non citare il solito paio di infortuni eccellenti (come nel caso di Teletovic) e il fatto che, dopo l’ addio di Garnett, non sembra esserci un vero leader in campo, figura di cui una squadra apparentemente allo sbando avrebbe bisogno: Joe Johnson è sicuramente un go-to-guy, ma probabilmente non sarà mai un riferimento emotivo.

Ad ogni modo, non vogliamo cadere nell’errore di vendere la pelle dell’ orso prima della sua morte: in una Conference nella quale basta una minima striscia positiva per rientare nel discorso play-off, ma soprattutto in una Division nella quale tre quarti delle avversarie rimangono alla portata, i Nets hanno comunque le risorse tecniche per uscire fuori da questa situazione di stallo, anche se il tempo effettivamente disponibile per ritrovare la giusta rotta potrebbe essere minore di quello necessario.

One thought on “La corsa ai Playoff ad Est (Part.1)

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