Quest’anno la trade deadline ci ha regalato una delle giornate più infuocate dell’intera stagione NBA.

37 giocatori hanno fatto le valigie e staccato il biglietto d’aereo per accasarsi altrove, il tutto in meno di 24 ore.

Tra ritorni a “casa” più o meno romantici e pianificazioni societarie per liberare spazio salariale in vista della free agency estiva, sono state architettate anche diverse trade in grado di offrirci più di qualche spunto tecnico sul quale vale la pena perdere un po’ di tempo.

Tra le altre, ci interessa particolarmente spendere qualche parola sullo scambio avvenuto lungo l’asse Phoenix-Milwaukee-Philadelphia, che ha portato il talento di Brandon Knight in Arizona in cambio del terzetto formato da Michael Carter Williams, Miles Plumlee e Tyler Ennis.

Innanzitutto va fatta una premessa fondamentale. Questa analisi ha la pretesa di entrare nel profondo della questione, non fermandosi alla mera facciata da bar dello sport. E per farlo, deve logicamente trarre spunto da quelle che sono le reali motivazioni che si celano dietro una mossa di mercato tanto imprevedibile.

Spesso si sente utilizzare l’espressione “It’s a business” quando un giocatore è costretto a lasciare la propria squadra di appartenenza all’interno di uno scambio del tutto inaspettato o apparentemente incoerente sul piano tecnico. In fin dei conti, la NBA ha le sue ovvie logiche dollaro-centriche, e con essa le aziende-franchigie che la compongono.

Ecco spiegato perché allora i Milwaukee Bucks abbiano deciso di liberarsi del proprio trascinatore e di una PG border line con la convocazione per l’All Star Game appena disputato per accaparrarsi, in cambio, un sophomore della stessa età (23 anni) e proveniente dalla peggior squadra della lega più due pedine di contorno.

Quelle che prima abbiamo tenuto a definire come le motivazioni nascoste, dunque altro non sono che giustificazioni economiche prima ancora che tecniche.

Dopo aver proposto un’estensione contrattuale da 36 milioni in 4 anni a Knight celermente rispedita al mittente, i vertici dirigenziali dei Bucks hanno pensato di capovolgere una situazione di svantaggio per la franchigia in una congiuntura potenzialmente favorevole.

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Il payroll dei Milwaukee Bucks dopo la trade. In evidenza i contratti di MCW e Middleton

Come lo hanno fatto? Lasciando partire i quasi 18 punti di media del prodotto di Kentucky per ricevere come pedine di scambio tre giocatori ancora nel proprio contratto da rookie.

In soldoni questo significa: aver ceduto un restricted free agent a fine anno il cui valore si è esponenzialmente alzato – Nate Duncan di basketballinsiders.com stima il prossimo contratto firmato da Knight tra i 13 e i 15.9 milioni di dollari a stagione – per sostituirlo con i tre contratti di cui sopra – MCW ha l’accordo fino al 2017, Plumlee ha un’altra stagione da matricola ed Ennis andrà in scadenza nel 2018 – lasciandosi lo spazio nel cap per poter rinnovare la seconda bocca da fuoco della squadra, leggasi Khris Middleton – in scadenza anche lui a luglio – il tutto con la prospettiva di avanzare 17 milioni di dollari da reinvestire in un free agent.

Evidentemente, nel Wisconsin hanno preferito rinunciare ad un talento che non li convinceva al 100% e che avrebbe avuto un impatto notevole sul libro paga nel lungo periodo, preferendogli un prospetto altrettanto valido come Carter Williams – con le dovute differenze tecniche di cui parleremo tra qualche riga – e decidendo di dare una fisionomia più che chiara all’estate di mercato che verrà: con MCW, Middleton, Antetokounmpo e Parker i Bucks sono coperti nelle prime 4 posizioni da qui a diversi anni a venire.

Per questo i 17 milioni di cui sopra potranno tornare utili in free agency per tentare l’assalto ad un big man d’area come Brook Lopez, Al Jefferson, Roy Hibbert, Nikola Vucevic o Omer Asik.

Ma quali sono invece nell’immediato gli scenari che si aprono ai Bucks dal punto di vista tecnico? Come cambia la fisionomia della squadra di Kidd dopo la trade? Molto si è discusso di quanto potesse risultare controproducente sotto l’aspetto del gioco il rinunciare dopo 52 partite al proprio miglior giocatore.

Brandon Knight sembrava aver trovato la sua dimensione ideale a Milwaukee, in questa stagione aveva addirittura sfiorato la chiamata all’All Star Game. I suoi numeri mai avrebbero fatto pensare ad un possibile addio a metà stagione – 17.8 punti di media con il 43% dal campo e il 40% da tre punti, accompagnati da più di 5 assist e 4 rimbalzi a gara.

Per questo per capire bene cosa abbia spinto i Bucks verso questo tipo di scelta, dobbiamo slittare la nostra attenzione sull’altro lato della medaglia, osservando lo scambio non più come una “rinuncia a qualcosa” ma  piuttosto come un’ “acquisizione di qualcosa”. Perché la logica sottesa è stata quella di voler cambiare rotta in cabina di regia, una volta che ci si è resi conto della limitatezza del pacchetto di skills di playmaking offerto da Knight alla causa.

Con questo nulla voglio togliere al talento spropositato dell’ex-Pistons, capace di affermarsi come una delle point guard d’élite di questa Eastern Conference. Piuttosto voglio sottolineare come lo stile di gioco da combo-guard realizzatrice di Knight non collimasse a pieno con la visione d’insieme di un ex-playmaker visionario come Jason Kidd. Ed è per questo che la scelta di ripiegare su un MCW assume un senso a 360° gradi, adesso non più solo dal punto di vista economico ma anche pratico.

Il Carter Williams che abbiamo imparato ad ammirare a Philadelphia è un unicum nel panorama NBA. Lo è perché è riuscito a vincere il trofeo di Rookie of the Year l’anno passato sebbene competesse in una lega al cui interno le squadre hanno bisogno di una PG dal range di tiro ampio e che si carichi sulle spalle molti degli oneri realizzativi nell’arco dei 48 minuti.

Il nostro è 79° su 79 nella classifica dell’Offensive Real Plus-Minus (ORPM) per quanto riguarda i playmaker della NBA, con un deprimente -3,81 che palesa una difficoltà non indifferente ad avere un impatto nella metà campo d’attacco.

Tira con il 38% complessivo dal campo e un misero 25% da oltre l’arco, e quando è sul parquet l’attacco di Milwaukee gira peggio di quando siede in panchina – l’Offensive Rating di squadra sale da 95.7 a 103.8 punti ogni 100 possessi.

Dove sta allora la convenienza? Il “coniglio dal cappello” salta fuori quando andiamo a leggere gli altri numeri offensivi di MCW, ma soprattutto quelli difensivi, che delineano una realtà di ben più ampio raggio e che spiegano abbondantemente la scelta di Milwaukee.

Prendendo in considerazione il quintetto formato da MCW, Middleton, Parker, Antetokounmpo ed Henson, i Bucks nel 2015/16 avranno certamente a disposizione una delle squadre più “lunghe” e “ampie” – nel senso fisico dei termini – di tutta la NBA.

Questo comporta un vantaggio più che discreto nella metà campo difensiva, dove i Bucks sono già la seconda miglior squadra della lega numeri alla mano – 98.8 punti concessi ogni 100 possessi, secondi solo ai Warriors in cima alla NBA.

Percentuali di tiro. Media NBA e media contro MCW

Percentuali di tiro. Media NBA e media contro MCW

Carter Williams è quarto tra le point guards per Defensive Real Plus-Minus (DRPM), e riesce a tenere i propri avversari al di sotto della percentuale media NBA in ogni categoria di tiro (come mostra il grafico a fianco).

Non solo, con MCW in campo i Bucks hanno spesso un quintetto che va dai 198cm ai 210cm di Antetokounmpo, il che gli permette di cambiare su ogni blocco senza problemi di miss match. Questo è di fondamentale importanza per una squadra che fa dell’aggressività sui pick-and-roll il proprio mantra difensivo.

In più, l’ex-76ers porta in casa Bucks una capacità di lettura del gioco e di passaggio di cui la squadra di Kidd aveva assoluto bisogno in regia. Knight infatti aveva una percentuale di assist nel complesso della squadra del 28.5%, non benissimo per il play titolare di una franchigia NBA. MCW, in cambio, a Philly firmava il 41.7% degli assist di squadra e anche se l’impatto non sarà sicuramente lo stesso, apporterà comunque un miglioramento complessivo.

Questo a dimostrazione di come sia Kidd, che lo staff, che la dirigenza dei Bucks abbiano deciso di intraprendere con questa trade una strada che è quella dell’omogeneità negli equilibri e nelle ripartizioni dei possessi in attacco, in favore di una maggiore interscambiabilità nella fase difensiva. Non lasciando nulla al caso, e guadagnandoci sia in termini finanziari, che tecnici nel lungo periodo.

Con buona pace dei tifosi del Bradley Center, chiaramente spiazzati dall’addio del proprio uomo franchigia ma di cui potranno assorbire le conseguenze – con gli interessi! – solo gettando lo sguardo oltre la siepe. Dove la luce c’è, veste la maglia numero 5 e ha tanta voglia di spaccare il mondo.

One thought on “Carter-Williams, i Bucks e la luce oltre la siepe

  1. Ciao Emiliano, secondo te quali di questi talenti potrebbero giocare in NBA? Rochestie, Maryanovic, Teodosic, Seems o Seems?

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