La offseason dei Rockets non è certo stata tra le più tranquille che si potessero portare a termine.

Il general manager Daryl Morey, nel perenne tentativo di agganciare ogni free agent di primo piano che si trovasse in quel momento a disposizione, aveva combinato una serie di transazioni che lo avevano visto ripiegare frettolosamente in piani secondari, questo dopo che ogni superstar libera non aveva manifestato il benché minimo interesse nel vestire l’uniforme bianco-rossa.

moreyEd ecco saltar fuori il pasticcio, puntuale e diabolico. Ma pure calcolato, nel senso che si poteva prevederlo benissimo, e Morey era ben conscio dei rischi che si stava prendendo.

Attendendo invano le decisioni positive di Carmelo Anthony e soprattutto di Chris Bosh, che da buon texano aveva appena snobbato Houston per la seconda volta in carriera (la prima risaliva a quand’era diventato free agent a Toronto), il management non aveva difatti esercitato l’opzione sul contratto di Chandler Parsons, il terzo violino di una squadra da playoffs che aveva appena concluso una stagione in netta crescita e che si sentiva parte integrante del nucleo che, nel giro di poco tempo, avrebbe avuto le potenzialità per dare l’assalto al titolo. Il resto è storia ben conosciuta, ed ora Chandler i Rockets continuerà a vederli spesso, da avversario, dato che giocherà a lungo nella medesima loro division.

Per liberare inoltre spazio salariale in modo da poter offrire cifre consone per lusingare Anthony, Bosh, o al limite forzare una sign & trade con Minnesota per Kevin Love, Morey aveva architettato dei movimenti che avevano portato Jeremy Lin a Los Angeles, ed Omer Asik, scontento sin dall’arrivo di Dwight Howard per l’imminente retrocessione a backup, a New Orleans, privandosi di due pezzi ottenuti a suo tempo tramite la restricted free agency, quando si credeva che potessero essere un pezzo di valore per il futuro della franchigia, discorso che riguardava Asik in primis, data la nota carenza di big men in grado di sconsigliare gli avversari nel cercare pericolose avventure nei pressi del ferro.

Le preoccupazioni pre-stagionali sono presto svanite nel nulla – ovvio, per il momento – davanti al filotto di risultati positivi che Houston ha ottenuto in questo frenetico avvio di campionato, dove le partite sono state tante ed il tempo per allenarsi è venuto a mancare quasi sempre.

In pochi avrebbero pronosticato un inizio così promettente per una squadra le cui sottrazioni sembravano pesare molto più delle aggiunte, fatto che avrebbe dovuto portare ad un’involuzione verso la strada per divenire una contender seria.

Tuttavia non si può negare che Morey, nonostante il suo fare confusionario in offseason, negli anni abbia sempre saputo come valorizzare il Draft ed eseguire mosse sensate sul mercato, creando i presupposti per quella che è la conformazione attuale del roster.

howardI Rockets possono contare su un giocatore tornato ad essere dominante sotto le plance come Dwight Howard, oggi lontano dalle critiche di Kobe e dai problemi alla schiena, e su un elemento chiave in fase realizzativa come James Harden, che non ha cominciato benissimo il campionato a livello di percentuali da oltre l’arco, ma che si sta dimostrando la solita macchina offensiva difficilmente fermabile in grado di segnare a ripetizione in entrata, di trovare il compagno smarcato, e forse, di difendere meglio che in passato, cercando di colmare un deficit che da sempre lo separa dai migliori giocatori NBA.

La presenza delle due superstars è più che idoneamente coadiuvata dall’importante ritorno di Trevor Ariza, forse l’acquisto più sottovalutato dai detrattori, il quale ha riportato a roster un giocatore con grande esperienza playoffs (fu campione NBA con i Lakers nel 2009), dotato di leadership vocale, un aspetto sul quale Harden e Howard spesso preferiscono soprassedere, e soprattutto in grado di fornire alla squadra una dimensione difensiva più consistente, date le sue riconosciute doti in merito, nonché di ferire con il tiro da tre punti, una delle caratteristiche imprescindibili di un sistema offensivo che sfrutta tantissimo gli scarichi sul perimetro.

Se in qualche modo il contributo offensivo di Parsons è stato bilanciato da un Ariza di poco sopra ai 14 punti a gara, numero che lo pone nei pressi del suo massimo in carriera, dal lato difensivo il fabbisogno di cercare un altro lungo in grado di reggere alle sportellate sotto canestro è stato caricato sulle spalle di Donatas Motiejunas, per il quale questo è l’anno della verità, e che ha sacrificato le percentuali offensive, sinora molto basse rispetto alle medie abituali, per meglio rendere dalla parte del campo che maggiormente richiede i suoi progressi.

Sin dalla pre-season il coaching staff ha sottolineato la forte necessità di vederlo evolvere a rimbalzo e nella difesa in post, e qualcosa si comincia a vedere soprattutto in questo particolare momento, dove il lituano sta partendo in quintetto al posto dell’infortunato Terrence Jones.

CanaanInfine, Jeremy Lin. Sussistevano dubbi sulla ricerca del suo erede data la non eccessiva esperienza a disposizione del roster, ma ancora una volta Houston sembra aver trovato linfa vitale in casa propria, in questo caso attraverso un second-rounder – uno dei tanti scovati da Morey – come Isaiah Canaan, sei piedi a patto che calzi le scarpe e proveniente da Murray State, il quale ha trasformato la sua positiva stagione da rookie parzialmente trascorsa in NBDL presso i Rio Grande Valley Vipers in un anno da sophomore dove doveva assolutamente farsi trovare pronto con l’appuntamento della vita.

L’occasione è arrivata con l’infortunio che ha tenuto fuori Patrick Beverley per una manciata di partite, nelle quali Canaan ha tenuto una doppia cifra di media fornendo nel contempo una difesa più che competente.

Questo significa che la qualità delle seconde linee è aumentata rispetto alla scorsa stagione, così come il numero di alternative da cui poter attingere a seconda della situazione.

Novizi quali Tarik Black e Kostas Papanikolau – quest’ultimo può però contare sull’importante esperienza trascorsa al Barcellona – sono entrati ben presto a far parte delle rotazioni, e Jason Terry, veterano di mille battaglie dotato di mano rovente, sembra essere tornato quello pre-infortuni.

Se il veterano trentasettenne continuasse ad essere questo, Morey potrebbe essere nuovamente considerato un genio, dato che per averlo (con tanto di seconda scelta a corredo) da Sacramento aveva sacrificato Alonzo Gee e Scotty Hopson.

Il Jet sta giocando, partendo dalla panchina, minuti sia da point guard che da shooting guard, tenendo ottime percentuali dal campo (45% al tiro, 47% da tre) e permettendo quintetti differenti a seconda dell’avversario.

arizaAlla pari di questi fattori conta il differente rendimento complessivo della difesa, la vera chiave che normalmente conduce ai titoli, dato che al momento Houston è al secondo posto assoluto per punti concessi di media, nonché nelle percentuali elargite al tiro, sia complessivo che da oltre l’arco, ed è proprio in settori come questi che l’inserimento di Ariza sembra già aver portato i primi frutti.

Spesso Kevin McHale ha sottolineato il come l’argomento difensivo sia stato oggetto di allenamenti specifici durante il training camp (di conseguenza è arrivata una recente vittoria contro i Thunder nonostante una prestazione offensiva oscena, neanche il 30% dal campo…) nonché il fatto di aver notato un notevole affiatamento tra i giocatori, una componente fondamentale per qualsiasi squadra voglia puntare al titolo.

Molti errori – soprattutto i numerosi turnovers – sono dettati dal fatto che la maggior parte del roster è nuovo, ragione per cui c’è bisogno di tempo per conoscere meglio il compagno e le sue abitudini in campo, dopodichè le cose potrebbero anche andare meglio di come già vanno oggi.

Un altro problema è dato dal fatto che McHale si è già trovato a schierare sei o sette differenti quintetti titolari, a causa dei numerosi infortuni (non gravi) che hanno fatto perdere qualche partita a Howard, Jones e Beverley.

Resta il fatto di come i Rockets abbiano bisogno di non farsi prendere da facili entusiasmi e concentrarsi su un traguardo alla volta, prima di capire di che pasta sono fatti.

C’è ancora la pesante ombra incombente del tiro di Lillard che sancì un’infelice eliminazione al primo turno della scorsa stagione, e c’è la solita serrata concorrenza della Western Conference, con moltissimi test ancora da passare prima di farsi un’idea sulla consistenza finale di Houston.

I texani hanno perso contro contenders come Memphis e Golden State, sono inciampati contro i deboli Lakers, e battuto a malapena 76ers e ciò che resta dei Thunder.

Un dato che sembra tuttavia certo, è che questa squadra non è proprio così involuta come la si voleva far passare, pur considerando che un 9-3 ad inizio stagione dice tutto e niente.

 

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