Nel corso di una off-season NBA ci si può trovare ad occupare di squadre che hanno deluso le aspettative, oppure che hanno fatto più del dovuto, oppure formazioni che rimangono un cantiere, un grande punto interrogativo.

In questo momento risultano per l’appunto di difficile collocazione i Charlotte Hornets di Michael Jordan, la “Buzz City”, che da quest’anno ritorna al “nickname” originale.

Da dove ripartirà la squadra della North Carolina? La formazione presenta nomi alquanto interessanti, un paio dei quali abbastanza altisonanti, primo fra tutti Al Jefferson.

L’ex Utah Jazz, indubbiamente il centro dalle migliori mani nella lega, si è dimostrato un più che degno leader l’anno scorso, tanto da trascinare la squadra finalmente alla post-season. I suoi quasi 22 punti di media conditi dagli oltre 10 rimbalzi a partita sono stati l’ancora della squadra, l’arma alla quale affidarsi in maniera costante e con sicurezza.

Finalmente questa formazione ha potuto godere, e godrà, della presenza di un lungo esperto con una proprietà tecnica decisamente al di sopra della media ed in grado di apportare in maniera continuativa un contributo importante, corposo e decisivo.

L’altro nome è quello di Kemba Walker. Il prodotto di UConn, chiamato con la nona assoluta al draft del 2011, sta crescendo sempre più. Anche se non è ancora un elite guard è sicuramente da annoverare tra i giocatori che sanno come incidere e dare una mano importante alla squadra. Lo testimoniano gli oltre 17 di media della scorsa stagione, con qualche sprazzo da grande campione come la gara 4 della serie poi persa contro gli Heat successivamente vice-campioni.

La presenza di Al Jefferson ha sicuramente aiutato molto il nativo del Bronx, soprattutto quando si è trattato di sfruttare i pick & roll (o pop che siano, dato che Jefferson è un centro che permette entrambe le tipologie di lettura) per generare spaziature decisamente migliori rispetto al recente passato, o comunque per permettere al rapidissimo Kemba di arrivare al ferro.

Il resto del “core” del gruppo può vantare anche giocatori come Gary Neal, che ha ampiamente dimostrato di cosa è capace in Texas, vestendo la canotta nero-argento degli Spurs, o come Cody Zeller e Gerald Henderson, ulteriori importanti pedine per la formazione guidata da Steve Clifford.

Colui che ha deluso le aspettative, visto anche in che modo è arrivato nella NBA, è Michael Kidd-Gilchrist. La chiamata numero 2 al draft del 2012 ha dimostrato di avere determinati limiti a livello offensivo, soprattutto per quanto riguarda il tiro piedi per terra.

Il suo jumper difatti ha ottenuto nel corso di queste due stagioni delle percentuali più che rivedibili e si è rivelato per Charlotte un freno importante. Inutile sottolineare che la sua vera forza in attacco siano solo l’atletismo e le lunghe leve che si ritrova, e sembra quasi scontato dire che debba migliorare questo aspetto del gioco.

La sua giovane età sicuramente gli consente ampi margini di miglioramento ed il tempo a sua disposizione è ancora molto. Si dice che la fretta sia una brutta consigliera, ma cercare di migliorare da questo punto di vista dovrà essere per forza di cose un must per l’ala di MJ, visto che è stato scelto per essere uno dei giocatori chiave del futuro.

Quello di cui il roster sentiva il maggior bisogno, a questo punto, erano due elementi: un quattro ed un due di una certa caratura. Ma procediamo per gradi.

Per quanto riguarda l’ala forte, dopo la partenza di McRoberts verso Miami, Jordan ha deciso di far arrivare Marvin Williams dagli Utah Jazz e chiamare Noah Vonleh al draft.

Williams è stato scelto in quanto considerato un veterano della lega (ormai in NBA da quasi 10 anni) e perchè ritenuto un giocatore in grado di facilitare il gioco offensivo dei compagni. Il suo principale ruolo sarà quello di occupare il posto lasciato libero da McRoberts e prendere anche dei minuti da ala piccola.

Per quanto concerne il secondo nome, cioè Vonleh, si tratta di un altro giocatore giovanissimo e con più che ampi margini di miglioramento. La sua stazza unita alla sua mobilità lo rendono un ottimo rimbalzista e non solo, ed in questa NBA non fa mai male.

Tuttavia proprio la sua giovane età lo rende un altro potenziale pericolo alla Kidd-Gilchrist in una squadra che ha così pochi veterani e che vuole puntare così spudoratamente alla post-season, merito anche di una Eastern Conference di una pasta decisamente differente rispetto all’Ovest.

Una chiamata comunque intrigante questa, che alla lunga potrebbe rivelarsi più che interessante, ma il ragazzo deve assolutamente lavorare a livello offensivo per aiutare il gioco della squadra e volendo anche sopperire alle attuali mancanze dello stesso Kidd-Gilchrist. La presenza di Jefferson da questo punto di vista risulterà di grande aiuto.

Va ricordato però che Jordan, parecchi giorni fa, ha ribadito la volontà di migliorare in maniera decisiva il roster, cercando uno splash nel corso della free agency. Ed è proprio a questo punto che arriva il piatto forte, il nuovo numero 2 del quintetto: l’ormai ex Pacers Lance Stephenson.

Va prima di tutto sottolineato come Stephenson, nonostante sia stato uno dei principali obiettivi di mercato di “His Airness”, non sia stato cercato per primo. Jordan difatti ha prima di tutto offerto un contratto bello corposo a Gordon Hayward, rifirmato comunque dai Jazz in quanto considerato l’uomo franchigia e soprattutto in quanto era un free agent appartenente alla famiglia dei restricted.

Il quadriennale da 63 milioni non ha fatto traballare neanche lontanamente la formazione di Salt Lake City, che ha trattenuto la propria guardia/ala senza indugio alcuno. Dopo aver ricevuto la porta sbattuta in faccia dai Jazz, gli Hornets si sono mossi su quel che era rimasto sul mercato approfittando dell’offerta di contratto dei Pacers rifiutata da “Born Ready” precedentemente.

Ciò che rende questa un’ottima mossa è il fatto di mettere a roster un giocatore di forte volontà, molto talentuoso, ed a cifre appena superiori a quelle offertegli da Larry Bird.

Quello che però varia tra i due contratti è la durata: quello di Indy non avrebbe concesso a Stephenson di cercare una max deal al termine dello stesso, in quanto sarebbe arrivato leggermente troppo avanti con gli anni, a differenza delle possibilità derivanti dalla firma posta sul contratto propostogli dagli Hornets.

Appena scaturita la notizia la rete non ha neanche lontanamente indugiato, riproponendo sotto diverse luci il famoso “ear blow” su LeBron James. Una delle versioni più condivisa sui social media, per esempio, è quella che ripropone i due con le rispettive nuove casacche, ossia quella dei Cavs per il 6 e quella per l’appunto di Charlotte per Stephenson.

Ecco questo potrebbe essere uno dei limiti di questo giocatore, visto come uno sbruffone da parecchi, e considerata invece da Clifford come voglia spregiudicata ed incredibilmente poderosa di vincere.

Lo stesso head coach si è espresso sulla nuova star della squadra: “Com’era quel vecchio detto? La tua forza più grande è anche il tuo maggior punto debole. Ad essere onesti, la sua incredibile voglia di vincere è stato uno degli aspetti che ci hanno indotto a firmarlo e che abbiamo apprezzato di più. Lance – in riferimento al colloquio avuto tra il giocatore e Jordan – sa e si è reso conto che ogni tanto ha oltrepassato il limite, ma penso che per lui si tratti solo di competitività”.

Ora sta a Clifford e Stephenson rendere questa firma lo steal della free agency, concentrandosi soprattutto sulla testa e l’aspetto psicologico del giocatore. La sua forza di volontà lo ha reso uno dei giocatori più elettrizzanti della stagione passata, in grado di totalizzare il maggior numero di triple doppie dell’anno, ma in grado anche di renderlo tramite i media un soggetto rivedibile.

Tuttavia quello che si è rivelato nel corso della free agency una sorta di “piano B” potrebbe essere la pedina giusta per permettere la svolta agli Charlotte Hornets. Un piano B che diventa la seconda grossa firma della formazione della North Carolina dopo quella di Al Jefferson dell’anno scorso, e che pone la formazione della Buzz City come una seria pretendente ad una Eastern Conference sempre più in ribasso.

La possibilità per Clifford di poter schierare contemporaneamente Walker, Stephenson, Kidd-Gilchrist, Vonleh e Jefferson è qualcosa di molto interessante, a livello prettamente e puramente prospettico, per una squadra che sta cercando di rinascere e tornare ad essere una vera protagonista della NBA, dopo un periodo nero che l’ha addirittura vista come la barzelletta dell’intera lega.

2 thoughts on “Charlotte Hornets: vecchio nickname, nuove ambizioni

  1. Cosa sarebbe uno “splash”?
    Magari volevi dire uno “slasher”, riferendoti a Stephenson…

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