E così, quattro anni dopo, LeBron torna sul luogo del misfatto. Torna dai fans che bruciavano le sue magliette (stesse scene viste a Miami ieri, peraltro) e da quel Dan Gilbert che pubblicò la famosa (famigerata?) lettera aperta ai supporters dei Cleveland Cavaliers, con la quale lanciò stoccate a James, criticandone la poca professionalità, il narcisismo e, soprattutto, l’aver abbandonato la nave per primo, durante i Playoffs del 2010.

Ora la lettera è stata definitivamente rimossa (e vorrei anche vedere…) dal sito dei Cavs, e tutti festeggiano il ritorno del LeBron Prodigo, che si è speso in abbondanti bagni d’umiltà, dichiarando di non aspettarsi il titolo, di essere legatissimo alla sua terra e di essersene reso conto solo ora, e via dicendo.

Parole un po’ stucchevoli, forse dovute, visto il ribaltone, e anche poco credibili: la free agency è iniziata il 1 luglio, le Finali sono finite il 15 giugno: per prendere una “decisione di cuore” non ci vuole un mese e soprattutto, non ha senso parlare con Pat Riley, presidente dei Miami Heat, e chiedere rinforzi, se “il cuore porta in Ohio“.

James non aveva digerito la perdita di Mike Miller (pur sostituito dagli arrivi di Michael Beasley e Greg Oden), e, dicono gli insider, si aspettava che Arazin (il proprietario della Carnival Crociere e degli Heat) facesse uno sforzo economico maggiore.

Ora, Miller raggiungerà LeBron a Cleveland, per la gioia di King James, che sarà affiancato dal suo cecchino di fiducia (forse arriverà anche Ray Allen, che però parla di ritiro).

Insomma, al di là di dietrologie o di facili sentimentalismi, quella di James è stata, come avevamo facilmente predetto, una “business decision” presa con in testa il calo fisico di Dwayne Wade e in parte anche di Chris Bosh.

Tra le squadre che hanno parlato con James quest’estate, nessuna offriva la situazione perfetta: non gli Heat, che avevano (causa pretese economiche del trio) poco margine di manovra, non i Lakers e nemmeno Bulls, Mavs o Rockets.

Rispetto a loro, Cleveland ha un nucleo giovane (Thompson, Irving, Waiters, forse Bennett e ora anche Wiggins) molto promettente, che James, vicino ai trenta, ritiene potrà crescere nel momento in cui sarà lui a calare.

Non vogliamo dire che James non sia legato all’Ohio, ma di certo Cleveland, oltre ad essere casa, è anche la situazione migliore, dal punto di vista della carriera, che James continua a pilotare con maestria e spregiudicatezza mai viste, forte di una mentalità egoista ormai imperante per la quale scegliere in base al proprio tornaconto è, a prescindere, bene.

Fa sensazione sentire certi discorsi un mese dopo che, queste stesse persone (addetti ai lavori e giornalisti), incensavano il sacrificio e la continuità di Tim, Manu e Tony a San Antonio, ma l’incongruenza non sorprende più, in un mondo abituato a bruciare le storie nel giro di qualche giorno.

Non si capisce come ci si possa lamentare dell’assenza di “bandiere”, lodando le poche rimaste (Dirk, Duncan, Bryant e, forse, Wade) per poi complimentarsi con chi va nella direzione diametralmente opposta.

Ora è probabile che la Cleveland di Blatt (che è passato in poche settimane dal Maccabi a LeBron James!) si muova per ottenere tramite gli scambi Kevin Love (che si è dichiarato “intrigato” dalla prospettiva), il lungo che chiaramente manca in un roster viceversa ricchissimo di esterni; il candidato numero uno a fare le valigie è Andrew Wiggins, e sarebbe uno scambio dal quale tutti uscirebbero vincitori: i Cavs, con un giocatore giovane ma ormai maturo, e Minnesota, che minimizza la perdita di Love, ottenendo, di fatto, la prima scelta assoluta del draft ’14.

La decisione di LeBron di firmare con i Cavaliers ha immediatamente sbloccato un mercato dei free agent che, dopo le firme di Gortat e Lawry (entrambi rimasti con le rispettive squadre) si era impantanato in attesa delle mosse del Prescelto.

Chris Bosh, alla fine, ha scelto di rimanere a Miami, firmando per cinque anni e 118 milioni di dollari. La tentazione di andare a Houston, la situazione tecnicamente ideale per lui (ma economicamente meno vantaggiosa), ha avuto la peggio sulla fedeltà all’organizzazione alla quale Bosh sente di dovere tutto.

Viene da una stagione da 16.2 punti e 6.6 rimbalzi di media, e avrà maggiori responsabilità, senza più LeBron vicino. Riley e Spoelstra vorrebbero rifirmare anche Haslem e Wade (più difficile che resti Andersen, sul quale c’è mezza NBA, a partire dai Cavs), con accordi brevi, di modo da conservare flessibilità nel medio termine, quindi evitando una ricostruzione da zero.

I nomi che si fanno per la squadra di South Beach ora sono quelli di Trevor Ariza e Luol Deng, che pare sia ora interessatissimo. Certo, poteva essere un’estate diversa, ma il nostro plauso va a Riley, che, come sempre, ha pronto un piano B (ed eventualmente anche C) per ogni evenienza, e non si è perso in tirate contro James, tornando subito al lavoro per fare il possibile.

Miami ha appena perso una Finale contro San Antonio, che ha vinto con giocatori pescati ai margini della lega, e con tre stelle considerate in abbondante declino. Chissà che l’ispirazione per ricostruire non arrivi proprio da lì.

Ora i riflettori si spostano su Carmelo Anthony, l’Amleto di questa free-agency: sembrava volesse scegliere tra Lakers e Knicks, ma ora i Los Angeles Lakers non sono più considerati in corsa, sostituiti dai Chicago Bulls, dove raggiungerà Pau Gasol (che sta lavorando per concludere l’accordo dopo aver rifiutato un biennale da 10 milioni l’anno con i Lakers).

Con il ritorno di Derrick Rose (quali che siano le sue condizioni), Chicago potrebbe davvero fare un salto di qualità, ma ci sembra che, dal punto di vista tecnico, il miglior pacchetto fosse quello offerto dai Lakers, con la possibilità di avere Gasol-Randle nel verniciato e l’accoppiata Bryant-Lin (neo-acquisto arrivato dai Rockets, che volevano liberare spazio per Bosh).

Chicago non è affatto distante da quello standard (e in più, garantisce una rotazione e un allenatore di altissimo livello come Tom Thibodeau), e Carmelo potrebbe quindi diventare la prima superstar a scegliere mediante la free-agency di vestire i colori biancorossi che furono di Michael Jordan.

Chicago avrebbe proposto un contratto anche a Dwayne Wade, nativo della Windy City, che però ha appena venduto la propria casa in Illinois e non sembra granché interessato a tornarci.

I Lakers, consci di aver perso (e male) la partita, ora butteranno soldi a destra e a manca; il primo a beneficiarne è Jordan Hill, che ha messo la firma su un contratto biennale da 18 milioni di dollari.

La gestione di Jim Buss continua a rimanere sospetta, e francamente, pensiamo che se non avesse una quota della franchigia, sarebbe già stato accompagnato alla porta da tempo: non è riuscito a trattenere un free agent in quattro anni, oltre ad aver fatto scambi discutibili. I tempi di Jerry West sembrano sempre più lontani, per i fratelli poveri (fa sensazione dirlo, ma è così) dei Los Angeles Clippers.

Ora potranno forse fare un sign-and-trade con Chicago per ottenere almeno Carlos Boozer e non perdere gratis Gasol, oppure con Oklahoma City, accettando il contratto tossico (ma ormai in dirittura di conclusione) di Kendrick Perkins (e un giovane talento, come Lamb o Jones), ma, proprio come la fine della crisi economica, anche la ripresa dei Lakers continua, nelle promesse del front office, a spostarsi di anno in anno, rimanendo sempre in un futuro prossimo che mai si concretizza.

Intanto, Sacramento ha scambiato Isaiah Thomas con i Phoenix Suns in un sign-and-trade che porta Alex Oriakhi (ala) e 7 milioni di trade exception in California.

Nonostante la firma del sorprendente playmaker, Phoenix rimane fermamente intenzionata a rifirmare Eric Bledsoe, autore di una stagione strepitosa e colonna portante dei Suns, che hanno dichiatato l’intenzione di pareggiare qualsiasi contratto verrà proposto a Bledsoe.

Nelle intenzioni, Thomas sarà il sesto uomo della squadra. Ora i “Soli” dell’Arizona hanno sei playmaker nel loro roster, ed è presumibile che altri scambi seguiranno, a partire da quello di Ish Smith, l’anno scorso back-up di Bledsoe.

Vince Carter ha deciso di lasciare Dallas, e ha firmato un triennale (terzo anno garantito solo in parte) a 12 milioni di dollari complessivi con i Memphis Grizzlies, che aggiungono così tiro, esperienza e un po’ di capacità di trattare la palla ad un reparto esterni che, tolto Mike Conley, stenta sempre a contribuire in attacco.

Kent Bazemore, l’ex di Warriors e Lakers, ha firmato con Atlanta (altro giocatore perso dai Los Angeles Lakers in un mercato che si sta rivelando a dir poco disastroso) a 4 milioni per due stagioni. Buona pesca per il reparto esterni degli Hawks.

A New York, sembra aver incontrato la propria fine la carriera NBA di Lamar Odom, tagliato dai Knicks per “non aver saputo tenere un comportamento professionale”. La fine del tunnel rimane lontana per la leggenda di South Ozone Park, se il suo amico Phil Jackson non ha nemmeno voluto mascherare la decisione, dichiarando chiaro e tondo che i motivi del taglio non sono cestistici, ma legati all’atteggiamento.

Chandler Parsons, che ha accettato l’accordo con Dallas, attende ora di sapere se i suoi Rockets pareggeranno l’offerta; dopo aver perso Bosh e non essere mai entrato nella competizione per Carmelo Anthony, Daryl Morey è disperato, e facilmente finirà con lo strapagare qualcuno.

Ci sono poi Jameer Nelson, Paul Pierce, Andrew Bynum e tanti altri, tutti in attesa di trovare una squadra.

Insomma, accasato King James, inizia la parte più interessante del mercato, con la quale le franchigie completeranno i loro roster e metteranno a segno gli scambi che ne decreteranno le sorti.
Stay tuned!

8 thoughts on “Il “LeBron Prodigo” e i nuovi sviluppi della Free-Agency

  1. Non sono d’accordo con il tenore del pezzo. Mi spiego: è senz’altro vero che le ragioni che hanno spinto LBJ non sono state soltanto “di cuore”. Appare evidente, infatti, che a Cleveland oggi abbiano un programma più futuribile e allettante di quello proposto da Miami (dove giocoforza, nonostante presunte riduzioni di ingaggi, comunque dovevano pagare tutti e tre i big three). Quindi ci sta che abbia maturato la decisione che già in tempi non sospetti aveva lasciato filtrare, ovvero sia di tornare in Ohio.
    Quello che non condivido è in primis l’attacco alla sua lettera aperta: preferisco di gran lunga il tentativo (posticcio? Vabbè) di trasmettere dei valori da parte di chi è comunque un simbolo sportivo, piuttosto che rivedere uno show televisivo come quello del 2010 o peggio leggere che lascia Miami perché a Cleveland certamente avrà più chance di vittoria.
    La seconda cosa che non condivido, è il discorso della coerenza e dell’essere una bandiera. LBJ nel 2010 ha firmato un contratto con Miami (all’epoca lo criticai), con opzione di uscita quest’anno. In questi 4 anni ha dato TUTTO e mi pare sia stato l’unico dei Big Three a farlo (scuso in parte Wade per gli acciacchi).
    Aveva l’opzione per uscire, l’ha esercitata nel pieno di un suo diritto e ha scelto dove andare, come detto sicuramente valutando anche aspetti extracestistici.
    Per questo non merita rispetto? Per questo è irriconoscente verso Miami?
    E soprattutto, lui irriconoscente e Bosh che firma un contratto assurdo (per il valore odierno del giocatore, vedrete senza James cosa farà) con Miami, di 30 milioni superiore a quello offertogli da Houston, Bosh, dicevo, è una bandiera simbolo di devozione e riconoscenza?
    Bosh mi pare abbia mollato a piedi Toronto, dove non aveva combinato un granché per andare a fare il terzo violino e accasarsi con gente più forte. Ora rimane a Miami forse forse per i 30 milioni che per senso di riconoscenza.
    LBJ invece torna nella squadra di cui è stato simbolo per sette anni, rinunciando a qualcosa come 40 milioni e un anno di contratto, per provare a vincere con la squadra della sua terra. Dopo aver trascinato LUI Miami ai due titolo. Non Bosh.
    Questa la mia opinione.
    Sono ben conscio che non è tutto infiorettato come l’ha fatta passare ma non credo neanche allo scenario così negativo disegnato qui.
    Ciao!

    P.S. per Piero Gabriele: non liquidare la questione dicendo che “siamo prevenuti” o che l’articolo è “fazioso”. Faccio parte anche io della redazione, rispetto Francesco e il suo impegno e per questo ho voluto chiarire la mia diversa opinione, senza però accusare lui e le sue idee di alcunché. Il bello del mondo è proprio che ognuno, se informato correttamente, può farsi le opinioni che desidera.

  2. Grazie della segnalazione, Emanuele, provvediamo al più presto a correggere la svista!

  3. no scusa, BOSH secondo te ha accettato perchè deve tutto all’organizzazione degli Heat e non per il fatto che andrà prendere 118mln in 3 anni che per un giocatore come lui sono un vero scandalo.

    • Sono in 5 anni ma comunque sono veramente tanti, forse troppi soldi. Però Miami non aveva scelta: se avesse perso anche Bosh dopo Lebron avrebbe dovuto rifondare passando anni in Lottery. Tenendo Bosh e Wade e magari aggiungendo un Deng o un Ariza, i playoffs a Est li possono fare comunque, anche se magari è un contratto che non è il massimo per il futuro della franchigia. E’ vero anche che da prima opzione offensiva Bosh può produrre di più di 16 punti a partita come l’anno scorso…

  4. Grazie per le informazioni, ma articolo in odore di Lebron hater….
    Ognuno ha le sue opinioni, ci mancherebbe…Però poi leggo di Bosh che rimane per fedeltà, suvvia dai! Aveva le valigie in mano, molto probabilmente direzione Texas, gli è stato offerto il massimo ed ovviamente “forte di una mentalità egoista ormai imperante per la quale scegliere in base al proprio tornaconto è, a prescindere, bene”, è rimasto a Miami.
    Dico una bestiata: non rinuncerei a Wiggins per Love, proprio non ci riuscirei; certo ha senso sotto tutti i punti di vista, ma io una prima scelta come lui non la cedo.
    Bulls che sono a un passo dal metter su una gran bel quintetto, fisico di Rose permettendo.

  5. Intervengo solo per precisare a proposito di Chris Bosh:
    L’ala degli Heat ha dichiarato in più occasioni di voler rimanere a Miami (ad esempio prima di Gara 5 contro Indiana, e durante lo show radiofonico di Dan Le Batard) ed è quello che ha fatto.
    Sicuramente ha accettato un contrattone, ma dei tre era forse quello che occorreva convincere di meno e che ha sempre espresso l’intenzione di chiudere la carriera a Miami.
    Più dei soldi, penso che la possibilità di avere un ruolo maggiore possa aver giocato un ruolo nel farlo rimanere; fosse andato ai Rockets, sarebbe stato la quarta opzione offensiva.

    Il contratto che gli hanno dato è con ogni probabilità eccessivo (guadagnerà più di Ginobili, Duncan e Leonard messi assieme!), ma sono gli Heat ad averglielo offerto, ricordiamolo. Non risultano giocatori che abbiano mai detto “no, datemi MENO soldi”.

    Non aggiungo nulla sulla scelta di LeBron (tutti hanno diritto ad un’opinione..anche i redattori!!) ma consiglio un articolo di Kareem Abdul-Jabbar comparso su Times poche ore dopo la pubblicazione del pezzo di qui sopra: http://time.com/2977353/lebron-james-cleveland-cavaliers/

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