Forse, in questi giorni di trattative frenetiche, Pat Riley avrà trovato un attimo per riflettere sull’ironia della sorte: 4 anni dopo aver convinto LeBron James a portare i suoi talenti a South Beach, lasciando così il natio Ohio e i Cavaliers, Riley sperimenta la spiacevole sensazione di dipendere dalle scelte di King James.

Dopo quattro Finali NBA e due Larry O’Brian Trophy messi in bacheca, il venerabile presidente si trova costretto, proprio come un Danny Ferry qualsiasi, ad aspettare una parola del Prescelto; un cenno del capo, un sorriso, qualsiasi cosa, dalla quale intuire il destino di Miami.

Pat ha anche provato a far pesare l’esperienza e la Storia del gioco, ricordando a tutti (ma soprattutto a LeBron) che le dinastie sono tali perché tornano a vincere dopo le sconfitte. James ha tuttavia annunciato l’intenzione di esercitare l’Early Termination Option per esplorare la Free Agency, seguito a ruota da Dwayne Wade e Chris Bosh, le due superstar che hanno formato la spina dorsale di un club capace di raggiungere quattro Finali su quattro tentativi e di vincere due volte il campionato.

James, in particolare, ha già dettato le proprie condizioni, per bocca di Rich Paul, il suo amico e procuratore; quel che è emerso è che LeBron vorrebbe ottenere un contratto vicino al massimo (potrebbe firmare un quinquennale con gli Heat per 130 milioni).

Miami sembra essere rimasta in cima alle sue preferenze e dalle parti di South Beach ostentano calma, sottolineando che la decisione di esplorare la free agency era largamente attesa.

Sono problemi che ovviamente tutti vorrebbero avere, ma che forse, gli Heat non si aspettavano di incontrare così presto sulla strada di un gruppo che doveva fare la storia, e vincere “non uno, non due, non tre, non quattro, non cinque, non sei, non sette” titoli NBA.

Tuttavia, è subentrato un certo logorio fisico (che ha convinto Shane Battier a ritirarsi), normale per un gruppo di veterani che ha disputato, nel corso di queste quattro post-season, 87 partite, e che sembrano spremuti da uno stile di gioco tremendamente dispendioso.

Tutta la Lega continua a migliorare, di anno in anno” ha dichiarato LeBron al Miami Herald – “ovviamente, dovremmo migliorare in ogni aspetto, in ogni posizione. È così che funziona questa Lega”.

A meno di fare come i cubani di Tom Wolfe, quelli de “Yo no creo el Miami Herald”, le parole di LeBron suonano come un chiaro avviso diretto al front office: dovete migliorare il roster, oppure faccio le valigie.

Gli Heat hanno subito risposto firmando Shabazz Napier, il playmaker che aveva catturato l’interesse di James, ma difficilmente basterà la firma di un rookie per convincere l’ala di Akron che il roster è cresciuto di pari passo con gli altri top team.

Attualmente, gli Heat hanno sotto contratto solo Hamilton e Cole; dispongono cioè di 55 milioni per rifirmare i propri free agent ed eventualmente mettere sotto contratto altri giocatori.

Nei giorni scorsi era filtrato un rumor che voleva Wade e Bosh destinati a firmare contratti attorno ai 12 e 11 milioni (lasciandone così altrettanti sul piatto, da spendere per rinforzare la squadra), ma il loro agente, Henry Thomas, ha seccamente smentito.

Se le possibilità di fuga di Wade sono limitate (vuoi perché nessuno gli offrirà contratti di primo piano, vuoi perché Flash è legato a Miami), quelle di Bosh e James sono molto più concrete: Rockets, Bulls (che hanno annunciato l’intenzione di usare l’Amnesty Provision per Carlos Boozer, e che quindi hanno spazio per firmare due stelle), Lakers, Suns e Mavericks sono alla ricerca di uno o due grandi nomi e le due ali degli Heat sono in cima alla lista dei desideri di mezza NBA.

In un mondo ideale, i Tres Amigos firmerebbero a cifre più basse, liberando spazio per un giocatore di peso, ma se le intenzioni delle superstar sono quelle dichiarate, gli Heat dovranno necessariamente fare di necessità virtù, trovando giocatori disposti a giocare a cifre inferiori a quelle che potrebbero racimolare altrove. L’esca per convincerli? Facile: è la possibilità di giocare per l’anello.

Posto che alcuni free agent, come Shawn Marion, Jameer Nelson, Josh McRoberts o Vince Carter (gente capace di dare rilevanza ad una panchina che è stata un non-fattore), potrebbe accontentarsi del minimo per veterani, chi sono i giocatori verso i quali Miami ha dimostrato interesse?

Si va dai lunghi, come Gortat (casella da barrare, visto che Marcin ha trovato l’accordo con Washington) e come Pau Gasol, che, sebbene non sia più integro fisicamente e nemmeno giovanissimo (fanno 34 primavere) è però un elemento tecnicamente ideale per completare la frontline degli Heat, che manca di presenza in post basso, rimbalzi e di passatori di alto livello. Gasol ha già parlato con Riley per telefono, e l’accordo pare lontano (il catalano parla di 10, 12 milioni a stagione) ma non impossibile.

L’altro lungo potenzialmente interessante ma dotato di caratteristiche molto diverse, è Spencer Hawes, che non sarà un difensore ma in compenso è il genere di tiratore che potrebbe far festa con i passaggi di LBJ.

Se verrà effettivamente tagliato da Chicago, gli Heat potranno pensare di contattare Carlos Boozer, ma si tratterebbe di una soluzione di compromesso.

Cambiando zona del campo, Kyle Lowry, reduce da una grande annata a Toronto, sarebbe il playmaker capace di supplire alle numerose e documentate carenze di Mario Chalmers. Tuttavia, ci fa sapere Ben Golliver di Sports Illustrated, Lowry ha rifirmato con i Raptors, preferendo dare continuità al progetto che lo ha definitivamente lanciato piuttosto che usarlo come rampa di lancio per mete più succulente. Va notato che le cifre alle quali a firmato (48 milioni in 4 anni) sarebbero state alla portata di Miami solo riducendo gli ingaggi delle tre stelle.

L’abbiamo lasciato per ultimo, ma è ovviamente il giocatore che, più di tutti, rimetterebbe gli Heat in cima ai power rankings estivi: Carmelo Anthony, apparentemente sempre più lontano dai Knicks e tentato da Chicago e Houston, non è insensibile al fascino di giocare con LeBron.

Anthony da 3 e LBJ da 4 costituirebbero un duo inedito e intrigante, molto difficile da difendere, con talento e punti nelle mani. Gli Heat hanno tutto per interessarlo, dalla città al contesto vincente. Resta da capire la disponibilità di Melo ad aggiungersi ad un nucleo già rodato, accettando meno soldi che altrove e accettando un ruolo da co-protagonista.

Tolti questi nomi, esiste una serie di buoni giocatori che però difficilmente faranno fare i salti di gioia ai Big Three, ma che potrebero ugualmente avere un senso cestistico: Trevor Ariza, Luol Deng (che non pare nemmeno interessatissimo) sono nomi validi, ma non sono abbastanza per giustificare, agli occhi delle stelle, un taglio dello stipendio.

Ariza è già stato un affidabile giocatore di ruolo con i Lakers non sarebbe una cattiva pesca, perché ha atletismo, difesa e tiro (non è ovviamente Ray Allen). Deng sarebbe anche meglio, ma troverà più soldi e forse anche più spazio lontano dalla Florida.

Tornando al presente, gli Heat avranno, dopo aver rifirmato i loro free agent, una cifra da investire inferiore ai 12 milioni (realisticamente si tratterà di qualcosa come 8-10 milioni al massimo) oltre alla mid-level exception da 5.5 milioni.

Difficilmente Anthony si accontenterà di così poco, ma la speranza di Riley è che Wade, James e Bosh facciano come quattro anni fa, quando decisero di comune accordo di rinunciare ai soldi pur di giocare insieme, coinvolgendo Anthony in un nuovo patto per l’anello.

In alternativa, gli Heat potrebbero virare su Gasol, per poi spendere la mid-level sul miglior free agent (abbordabile a quelle cifre) rimasto. Il rischio è che, in un’estate in cui ci sono pochi grandi nomi e molti soldi da spendere, Miami si trovi ad offrire cifre modeste mentre altre squadre proporranno contratti faraonici, vedendosi così sfuggire i principali candidati a colmare le lacune di Chalmers e soci.

Tutto questo, con la consapevolezza che, alla fine, il giudice delle loro operazioni di mercato sarà LeBron James: sappiamo che il Prescelto non è un giocatore particolarmente sentimentale quando si tratta di prendere una di quelle che lui reputa “business decisions”; ha lasciato Cleveland in diretta tv senza avvisare compagni e dirigenti, quindi Riley e Eric Spoelstra sanno bene che un suo addio non è da escludere, ma Miami ha ottime carte da giocare e se dovesse perdere James, ha flessibilità salariale per ripiegare su un piano B (Melo al posto di James?) perlomeno affascinante.

 

2 thoughts on “La lunga estate calda di Miami

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