Ebbene si: dopo cinque esaltanti, emozionanti ed elettrizzanti episodi queste NBA Finals sono arrivate al termine. Una serie che ha visto tanti giocatori tirare fuori la testa dal sacco, chi in maniera più prepotente, chi in maniera più pacata.

Ma tanti, troppi, parecchi sono invece stati i giocatori che nell’economia e nel contesto del gioco non sono stati pervenuti, giocando quasi come fossero dei fantasmi. Nelle fila dei Miami Heat sono parecchie le dita puntate contro i singoli, che sono costati alla formazione guidata da Pat Riley il primo three-peat della storia della franchigia di South Beach.

In quello che è risultato l’ultimo scontro della serie ancora una volta LeBron James è risultato essere troppo solo, e costretto in troppe occasioni a doversi prendere tutte le responsabilità del caso per cercare di tenere viva e far divampare la fiamma della speranza.

Proprio il Re, il Prescelto, ha deciso di ingranare da subito le marce alte ed ha, infatti, sfoderato una serie da cinque minuti a dir poco stratosferici, in grado tra le altre cose di cancellare anche nella metà campo difensiva quanto di buono aveva fatto San Antonio fino a quel momento. Gli spauracchi delle Finals dell’anno passato sono subito riaffiorati in quel dell’AT&T Center, ma la faccenda è durata poco, anche troppo poco, per i gusti di James.

Già, perchè proprio sul finire del primo quarto i texani hanno avviato il processo di rientro, che successivamente si sarebbe trasmutato in quello di sorpasso, per poi terminare in quello del sigillo finale per la vittoria del titolo.

Tuttavia va riconosciuto a Spoelstra l’aver cercato in tutti i modi di aggiustare e calibrare i dettagli della propria squadra. Già a partire dal quintetto di partenza, infatti, gli adattamenti non sono mancati: fuori Rio e dentro Ray Allen.

Il playmaker di Miami ha infatti visto pochissimo il campo, esclusivamente a conti fatti, in quelle che sono sembrate ai molti (se non a tutti) le mosse della disperazione dell’allenatore filippino.

Mosse della disperazione che hanno visto tra i giocatori entrati Michael Beasley, senza dimenticare i vari Toney Douglas, Shane Battier e Udonis Haslem. Mosse che, nonostante tutto, avrebbero potuto valere qualcosa in più, se tirate fuori qualche gara prima, soprattutto nel caso di Battier e Haslem.

L’ex Memphis Grizzlies avrebbe potuto garantire un apporto difensivo qualitativo, soprattutto negli assetti che hanno portato Popovich ad abbassare ed allargare il quintetto schierando Boris Diaw.

Piuttosto che trovarsi contro il francese con Wade a doverlo marcare, e soffrire soprattutto, Battier avrebbe potuto portare quella cattiveria vista nell’ultimo episodio con Manu Ginobili.

Stesso discorso per Udonis Haslem. Il giocatore così tanto acclamato ed adorato dai suoi tifosi avrebbe potuto aiutare nel contrastare Duncan, in una rotazione che lo avrebbe potuto vedere più da protagonista rispetto a Chris Andersen, soprattutto considerato il diverso, quasi opposto, apporto che i due lunghi porterebbero offensivamente alla causa di James e compagnia.

Come detto James è sembrato di nuovo troppo solo, in una gara che ha visto ancora una volta un Wade più che spento, quasi assente. Il numero 3 sta diventando in queste ore il principale indiziato della disfatta degli Heat, visto soprattutto il contributo che LeBron ha dato in tutta la serie.

Ancora una volta l’MVP delle Finals del 2006 ha mantenuto le sue cifre ben al di sotto delle aspettative: 11 punti con un misero 33% dal campo è troppo poco per colui che dovrebbe essere la seconda bocca da fuoco di un attacco che, in certi momenti, è sembrato vorticoso anche per gli Spurs e la difesa di un allenatore come Gregg Popovich.

Altro aspetto che molta sofferenza ha portato agli Heat è stata l’esplosività, condita dall’enorme estro, di due giocatori come Ginobili e Mills. Ancora una volta il back-court di Spoelstra ha sofferto la combo formata da questi due ragazzi.

Insomma, quasi come fosse stato di nuovo a Cleveland, è mancato quel supporting cast in grado di innalzare la pallacanestro di Miami ad un livello tale da consentirle di arrivare al terzo titolo consecutivo.

D’altra parte gli Spurs hanno goduto del sopra citato supporting cast vincente, con una differenza di rendimento a dir poco abissale anche tra le due panchine.

Adesso si prospetta un’estate molto movimentata in quel di South Beach, con un gran numero di punti interrogativi da risolvere.

Melo arriva o non arriva? I Big Three resteranno? Se si, decideranno di comune accordo di abbassarsi lo stipendio per permettere l’arrivo del numero 7 newyorkese?

Cosa farà LeBron? Rimarrà o deciderà di uscire dal contratto? E, dulcis in fundo, cosa faranno Riley, Spoesltra e gli Heat con questo Wade?

Le domande sono già tante, ed altre ancora ne spunteranno fuori. Nel frattempo per Miami non resta che far passare i prossimi giorni per schiarire la mente, dopo di che dalle loro decisioni dipenderanno i destini della franchigia nel prossimo futuro. E non solo della loro.

 

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