Nba Finals 2014, atto terzo. Dopo un intervallo fisiologico per metabolizzare le vicende delle prime due sfide della serie e, nel frattempo, spostarsi sui lidi di South Beach, si torna in campo per la prima sfida in programma in casa dei bi-campioni in carica.

LeBron si è divertito per l’ennesima volta a scolpire nel marmo un altro dei capitoli della sua sempre più straordinaria storia, aiutato da Bosh che ha scritto le due righe conclusive con una tripla di quelle che pesano per davvero.

Il punteggio è di perfetta parità, con gli Spurs che invece masticano amaro e probabilmente ancora ripensano ai quattro tiri liberi in fila falliti che potevano aprire le porte a un finale completamente diverso. Il tutto come cornice di un’attesa che sale di gara in gara e che sta dando vita confronto che prometto di durare molto a lungo e di decidersi per un inezia.

Il punto del pareggio toglie agli Heat la pressione di dover fare filotto di vittorie casalinghe, dando al contempo la chance di poter prendere le redini della serie con un successo che li metterebbe subito avanti nel punteggio. Gli Spurs hanno perso il fattore campo, ma nella testa degli intramontabili texani c’è la consapevolezza di potersi travestire da corsari per violare il parquet dell’American Airlines Arena.

Squadra che vince non si cambia, e allora Erik Spoelstra conferma il quintetto vittorioso in gara 2. Coach Popovich invece ha studiato il primo aggiustamento: Boris Diaw parte titolare, col preciso intento di mettere subito in ritmo un Leonard fin qui abulico in questo avvio di serie.

Le spade sono affilate, il piano tattico è stato mandato a memoria e l’American Airlines Arena scopre la buona e inusuale abitudine degli spalti già gremiti ben prima della palla a due: ora la parola passa al campo, per altri 48 minuti di fuoco.

Duncan apre il match con due punti che chiudono un ottimo attacco per battere una difesa di casa che prova a essere subito aggressiva; risponde subito Bosh con uno splendido turnaround dalla linea di fondo per avere la meglio del raddoppio, mentre Lewis batte il cambio accettato dagli Spurs e si butta dentro per i due punti del primo (e, incredibilmente, unico) vantaggio degli Heat.

I padroni di casa provano a dettare il ritmo con la difesa, che però viene battuta da un 625x527-116Leonard finalmente aggressivo che mette a referto già 7 punti attaccando il canestro e da un diabolico Green che perfeziona ben tre recuperi (due nella stessa azione sfruttando un pigro passaggio consegnato di Wade a Chalmers) che fruttano due canestri facili.

San Antonio fa un ottimo lavoro anche dall’altra parte del campo, ma è evidente come sia la brillante serata offensiva dei texani la chiave di questo inizio di gara: Green è rapido e deciso in ogni azione, Leonard non esita a sparare la tripla in transizione che lo porta già in doppia cifra e Diaw regala un precoce +10 battendo Lewis in uno contro uno e chiudendo a canestro col reverse. James prova a correre ai ripari prendendo in mano le redini dell’attacco, ma è ben contenuto da Duncan e dal grande aiuto di un Leonard che conserva il tocco magico e con un’altra tripla sigla il 25-12 Spurs quando mancano ancora cinque minuti da giocare sul cronometro del primo quarto.

Il panorama inizia a non piacere per niente al numero 6 di casa, che trovando un affollamento da ora di punta nel pitturato decise di arrangiarsi, con più che discreti dividendi, col tiro da fuori: due triple da campione vero di LBJ, che chiudono un parziale di dodici punti consecutivi firmati dall’uomo nativo di Akron, riportano prepotentemente gli Heat sotto di sole 7 lunghezze. 625x527-118

Mancano poco meno di quattro minuti da giocare, Popovich dà campo a Ginobili e Splitter (utilizzato solo come back up di Duncan, mentre tocca a Bonner sostituire Diaw) e noi tutti stiamo per essere testimoni di un break di abbacinante meraviglia cestistica: l’attacco degli Spurs è mirabolante, con una circolazione di palla vorticosa che costruisce tiri di un’efficacia imbarazzante che permette agli ospiti di alzarsi sui pedali e andare in fuga.

La palla non sta mai per più di un paio di secondi nelle mani dei nero-argento, e dopo l’ennesima tripla di Leonard (fate 16 nel primo quarto per il prodotto di San Diego State) gli dei del basket si schierano nel frangente con i texani, premiando una tripla allo scadere di Ginobili che si appoggia ripetutamente al vetro e al ferro prima di finire sul fondo della retina. 41, avete capito bene, 41-25 San Antonio al termine dei primi dodici minuti: è il maggior numero di punti subiti dagli Heat in un quarto nel corso di questi playoff, un dato che dice molto sulla performance offensiva dei texani. Leonard si sveglia dal torpore delle prima due gare e gioca da padrone, Green è perfetto dal campo e diabolico in difesa, e gli Spurs provano a sparare molte delle cartucce a loro disposizione per piazzare un colpaccio durante il viaggio a South Beach.

Parte il secondo periodo, con la panchina di San Antonio che sarà chiamata all’ingrato compito di mantenere l’entusiasmante velocità di crociera tenuta dai titolari nel primo quarto. Cole inaugura il secondo parziale con una tripla molto importante, ma è una goccia in un oceano a tinte nero-argento: gli Spurs straripano grazie a un’intensità pazzesca sui 28 metri di campo, toccando il +25 grazie a una tripla a testa di Mills e Green e a un misterioso tiro dal palleggio dell’infuocato Leonard. 625x527-119

55-30 Spurs, e non è un’allucinazione dovuta al caldo atroce della salotto di casa: i texani tirano con un irreale 19/21 dal campo, e difendono forte sulle ali dell’entusiasmo di un attacco immaginifico.

Quando gli ospiti sbagliano ben due tiri consecutivi a South Beach si grida quasi al miracolo, e basta davvero una scintilla per accendere gli indomabili Heat: i padroni di casa sfruttano a meraviglia le rare opportunità di transizione da rimbalzo difensivo, aprendo il campo magistralmente e riportandosi addirittura sul -14 grazie a tre triple segnate da Lewis appostato nei prediletti angoli e da una bomba firmata Sugar Ray Allen.

Nel momento di difficoltà, però, i campionissimi degli Spurs rispondono da par loro: Duncan prima chiude il gioco a due con Parker, per poi prendersi uno dei primi isolamenti spalle a canestro e chiudendo con uno dei suoi appoggi al vetro trigonometrici; il franco-belga invece ci mette una spruzzata di foie gras, con una lacrima in controtempo che fa saltare sulla sedia e un canestro dal palleggio di importanza capitale per riguadagnare terreno e non arretrare di fronte al contrattacco degli Heat.

In un timeout a novanta secondi dal termine del primo tempo c’è nell’aria la sensazione che gli Spurs, in quel giro e mezzo di orologio, possano addirittura giocarsi una buona fetta dell’esito finale del match: i marpioni dell’Alamo lo sanno bene, e scollinano di nuovo oltre i venti punti di margine grazie a un corner three dell’ineffabile Diaw, imbeccato da una fucilata di Parker al termine di un’azione innescata da una strepitosa palla rubata dai tentacoli di Leonard.

James pesca Bosh tutto solo, ma Parker riesce a lucrare il fischio che vale i due liberi, stavolta a segno, che chiudono il primo tempo. Ancora una volta urge stropicciarsi gli occhi, e non certo per il sonno che non trova spazio in una nottata del genere: il punteggio di metà gara recita 71-50 in favore di San Antonio.

Un primo tempo davvero incredibile, che fa registrare il massimo vantaggio all’intervallo per la squadra in trasferta dalle lontane Nba Finals 1996, quando i Bulls comandarono proprio di 21 punti contro i Sonics.

La fotografia del primo tempo può essere racchiusa tutta in un dato: San Antonio chiude col 75,8% dal campo (e 70% dall’arco, visto che siamo a snocciolare cifre), record assoluto per un primo tempo delle Finals. I 18 punti di Leonard e i 13 di Green trascinano gli Spurs, che trovano 10 punti anche del solito Duncan.

Miami sta giocando una buona partita, al netto di qualche scelta difensiva rivedibile: i padroni di casa tirano col 56% dal campo (50% da tre), ma nonostante i 16 punti con 8 tiri presi da James (anche 4 assist per lui) e gli 11 di Lewis sono costretti a misurare il baratro che li separa dagli avversari, allargato dalla contumacia di Wade e Bosh (10 punti in due) e dalle 10 palle perse. San Antonio non vuole essere svegliata, ma attenzione a Miami che proverà il tutto per tutto nel tentativo di mettere a segno una clamorosa rimonta.

L’inizio di ripresa degli Heat è quello di una squadra in missione: un gioco da tre punti circense di Wade e una tripla in transizione di Bosh con chilometri di spazio consigliano a coach Popovich di spendere il primo timeout dopo appena 46 secondi di gioco.

Gli Spurs ritrovano subito la via del canestro grazie a un grande Leonard che chiude in fade away dopo che James era quasi riuscito a cacciare vittoriosamente il pallone nelle mani di Duncan, ma perdono Green che commette il quarto fallo personale con una sciocchezza in attacco.

La partita diventa una tonnara, con una serie di recuperi e contro recuperi su una miriade di palloni vaganti che portano addirittura a tre jump ball nel giro di pochi possessi. James prova a essere aggressivo e porta a casa il fischio che coincide col terzo fallo personale di Leonard, prima di andare a schiacciare il contropiede del -13 che alimenta il fuoco dei padroni di casa.

Si gioca in una bolgia, ma gli Spurs riescono a mantenere i nervi saldi (al contrario di Chalmers che continua a bere dall’idrante e va a commettere il quarto fallo della sua anonima se non deleteria partita) tornando ad allungare grazie a un positivo Mills e a una delle invenzioni di Ginobili, che conclude in precario equilibrio una penetrazione folle che vale il nuovo +17.

Belinelli vede il campo per la prima volta, mentre gli Heat adesso vengono trascinati da Wade, con James che ricarica le pile progettando un quarto periodo da dominatore: Mr.Heat è immenso su entrambi i lati del campo, tra recuperi difensivi e giocate da campione che fanno volare gli Heat. In un amen è 10-0 Miami, che grazie al bonus che li manda spesso e volentieri in lunetta e a una magia in reverse di Cole vanno a meno 7 nell’inferno bianco della Triple A. I tiri di San Antonio sembrano non voler più entrare per una sorta di contrappasso dantesco in seguito a un primo tempo da favola, la Triple A ruggisce e chiede la testa del nemico.

Ma attenzione signori, perché a South Beach stanno per scoprire che Italians do it better: Belinelli, dopo aver fallito una non difficile conclusione a centro area, riceve palla coi piedi oltre l’arco. Il Beli controlla e non ci pensa due volta: si alza, lascia andare la palla. Ciuff. Si muove la retina, ma sarebbe più corretto dire che si gonfia la rete: Marco da San Giovanni in Persiceto segna un vero e proprio gol, che restituisce ossigeno e doppia cifra di vantaggio a degli Spurs che apparivano quasi cianotici per colpa del nodo alla gola dovuto alla pressione degli Heat.

In chiusura di quarto ci pensa il principe franco-senegalese a regalare una delle sue pennellate d’autore, col turnaround che vale il+11 a dodici minuti dal termine. 86-75 Spurs: gli Heat sono terribili e crudeli, e danno la tangibile impressione che il vantaggio ospite non possa mai essere al sicuro. I texani però si aggrappano, e non è retorica o bieco orgoglio patriottico, a una tripla di Belinelli che ferma la valanga di casa e permette agli uomini di Popovich di riacquistare il proverbiale self control, in vista di un quarto periodo dell’esito ormai impronosticabile.

Torna Danny Green e si rende subito protagonista: l’attacco degli Spurs non ingrana, ma il numero 4 si inventa un canestro di mano mancina subendo anche il contatto di James (non riuscendo però a concretizzare il gioco da tre punti).

LeBron mette su la faccia cattiva ed è fresco dopo una buona fetta di terzo quarto spesa in panchina a ricaricare le batterie: l’aiuto sul pick and roll è eccessivo, e il Re può appoggiare il ventesimo punto della sua serata. Il match adesso diventa spezzettato; la tensione si fa sentire anche nella testa e nelle gambe dei campioni che calcano il massimo palcoscenico cestistico del globo, e regala una serie di possessi non esattamente indimenticabili.

James difende alla grande su Duncan, dando il là al contropiede di Cole che però viene stoppato in recupero da Green; la guardia degli Spurs (e pensare che a Lubiana lo cercano ancora e gli automobilisti si augurano di incontrarlo mentre attraversa la strada) confeziona a stretto giro di posta un’altra ottima giocata difensiva, tenendo l’accoppiamento con LeBron e costringendolo all’infrazione di passi. Infrazione probabilmente commessa anche da Leonard, ma in questo caso i fischietti chiudono un occhio e convalidano il secondo canestro segnato nella ripresa dal giovane talento degli Spurs. 625x527-120

James non esita a prendersi le iniziative che si confanno al miglior giocatore del pianeta, ma sente troppo la responsabilità e accede nella gestione del pallone: Leonard lo marca divinamente e lo chiude sulla linea di fondo, lo scarico è pressoché obbligato e Green lo legge alla perfezione, rubando l’ennesimo pallone della sua eccellente serata.

Allen si alza dall’arco, ineluttabile come sempre, per riportare i suoi a -10, e con nove minuti da giocare (un’eternità in un quarto periodo che sembra procedere al rallentatore) i suoi Spoelstra si gioca la carta del quintetto piccolissimo (Andersen da 5 e quattro esterni). Popovich si adegua e risponde con la stessa moneta, ma ancora una volta in questa serata di grazie l’X factor ha le treccine e la maschera senza emozioni di Kahwi Leonard: la Piovra vede uno spiraglio lungo la linea di fondo, un attimo che viene colto al volo e che basta per liberarlo alla roboante schiacciata con la quale batte il tardivo recupero di Andersen.

Non è finita qua, perché nel possesso successivo Kahwi ingabbia ancora James propiziando il recupero e la ripartenza chiusa da due suoi liberi a bersaglio che gli valgono il ventiseiesimo punto del match, massimo in carriera nei playoff.

Gli Heat ci provano in ogni modo, proponendo un’altra variante di un quintetto senza playmaker (Wade, Allen, James, Lewis, Bosh); gli Spurs però vedono il traguardo e riescono addirittura a crescere ulteriormente alla distanza, con Ginobil che va a schiacciare in contropiede (dopo un doppio tocco in tuffo miracoloso di Mills a rimbalzo difensivo) che mette una serie ipoteca sul match.

Lewis ne ha ancora per provare il colpo di coda, ma Leonard è cerebralmente dominante e presente un attimo prima degli altri su tutti i 28 metri di campo. Per gli Heat non c’è scampo, la Triple A è ammutolita e inizia a svuotarsi molto prima del previsto: San Antonio ha centrato il bersaglio, one shot one kill che vale il 111-92 dopo il garbage time finale e, soprattutto, il punto del 2-1.625x527-117

Fantastica vittoria degli Spurs, che dopo il bruciante K.O. casalingo di gara 2 si riprendono subito il fattore campo con un successo da campionissimi. Il primo tempo da fantascienza è stato il viatico perfetto e, per forza di cose, andrà tarato in vista dei prossimi capitoli della serie: rimane però il fatto che i veterani dell’Alamo si sono presentati a South Beach con la faccia chi sa forse di avere un’opportunità, ma è altrettanto consapevole di avere tutto ciò che serve per sfruttarla al massimo.

Stanotte, però, può essere quella nella quale un giovane uomo ha fatto sua una delle squadre più storiche degli ultimi quindici anni: Kahwi Leonard sboccia come una gemma a primavera, scegliendo la notte perfetta per prendersi la copertina delle Finals, co 29 punti frutto di un incredibile 10/13 dal campo, massimo in carriera nei playoff.

Una presenza da veterano in ogni singolo minuto speso sul parquet, una prestazione offensiva fulgida e una cosetta da niente che non figura sui box score ma che ha cambiato il corso degli eventi: è lui che mette la museruola a James, impedendogli di incidere nel secondo tempo e in particolare in quarto quarto frustrante per il numero 6 degli Heat.

Il lavoro difensivo sul più forte giocatore del pianeta nobilita ancor di più la fulgida prestazione offensiva di Leonard, che stasera si merita sicuramente il nobile appellativo di Da Vinci. Insieme a lui, un altro dei segreti degli Spurs è un Danny Green tutto da scoprire: 15 punti con 7/8 al tiro sono lo specchio di una ottima prova offensiva, ma stavolta il numero 4 texano non spacca la partita con le triple e con la sua capacità di allargare il campo.

Il suo apporto è straordinario grazie a insospettate abilità difensive, con 5 rubate e una stoppata e mercature competenti che lo hanno visto accoppiato, con discreto successo, anche a James. Detto dei due eroi della serata nero-argento, è inevitabile spostare i riflettori sui grandi vecchi nei quali gli Spurs, anche stanotte, vivono e muoiono: Parker (15 punti e 4 assist), Duncan (14 e 6 rimbalzi) e Ginobili (11) non vivono una serata dominante, ma hanno un peso specifico determinante per le sorti dell’incontro.

Duncan e Parker segnano i punti decisivi al tramonto del primo tempo, quando gli Heat provano a riscuotersi dopo i chiari di luna dei primi minuti; Manu si inventa un paio di canestri dei suoi e, nella ripresa, è lui il regista non troppo occulto delle trame degli Spurs.

Diaw recita ancora da gran protagonista (9 punti, 5 rimbalzi, 3 assist e il solito repertorio accademia cestistica da leccarsi i baffi), mentre la panchina si rivela nuovamente decisiva nelle piccole cose che indirizzano il match: Mills gioca 15 minuti tutto cuore (5 punti, 4 assist e il recupero in tuffo che forse mette il sigillo finale al match), Splitter mette 6 punti e 4 rimbalzi insieme a un’energia importantissima nel quarto periodo.

E poi c’è lui, Marco Belinelli, che scrive un saggio breve su come diventare decisivo per vincere una gara tre di finale in trasferta stando in campo solo sei minuti: la sua tripla, unico canestro della serata, che ferma l’ondata degli Heat e riporta i suoi sul +10 al tramonto del terzo quarto rappresenta forse il momento nel quale il match ha definitivamente preso la direzione del Texas. Un canestro da giocatore vero, il segnale che Marco c’è e che queste Finals le vivrà fino in fondo da protagonista.

Miami spreca in maniera inusuale il precoce vantaggio ottenuto grazie al successo corsaro in gara 2, perdendo tra le mura amiche uno di quei crocevia che gli Heat delle ultime stagioni erano sempre riusciti a portare dalla loro parte.

Miami ha il demerito di giocare un match ordinario, contrapposto alla serata strepitosa degli Spurs: le 20 palle perse fruttano 23 punti agli avversari, un dato che stano ancor di più al cospetto dei soli 6 punti lucrati dai 13 palloni persi dagli ospiti. Prepariamoci a due giorni chiacchierati, nei quali LeBron James finirà nuovamente sul banco degli imputati: 22 punti con 9/14 dal campo, 7 assist, 5 rimbalzi e altrettante rubate sono uno score inarrivabile per molti dei più illustri colleghi, ma sulla sua partita pesano anche i 7 palloni persi e i soli 8 punti segnati dal secondo al terzo quarto (dopo i 14 dei dodici minuti iniziali).

Una performance in netta controtendenza con quella monstre di gara 2, in un secondo tempo nel quale il Re ha sofferto tantissimo la marcatura asfissiante di Leonard.

Wade ha provato a fare le veci del compagno, con 22 punti totali e un terzo quarto da trascinatore; anche lui, però, è mancato nel momento clou del match, macchiandosi anche di 5 sanguinose palle perse.

Bosh è rimasto ai margini, condizionato non tanto dai problemi di falli quanto di un mix di scarso spirito di iniziativa e di poco coinvolgimento da parte dei compagni.Il suo 4/4 dal campo grida sicuramente vendetta, per 9 punti che vengono oscurati dall’ennesima ottima prova di Rashard Lewis: da arma difensiva contro i Pacers, Lewis è tornato ad essere il tiratore mortifero ammirato con le maglie dei Sonics e dei Magic, per una serata da 14 punti (4/5 dall’arco) e 4 rimbalzi.

Doppia cifra anche per Allen (11 punti), mentre Cole ha vissuto di fiammate nel terzo periodo e Chalmers si è rivelato una volta di più deleterio, segnando due soli punti in 22 minuti di utilizzo conditi ancora una volta da cinque falli a carico.

Dopo tre partite della serie ci avviciniamo a metà di un confronto splendido nel quale se ne sono già viste di tutti i colori: gli ineffabili Spurs hanno confezionato l’ennesimo capolavoro, violando subito la Triple A con una prova di forza che permette loro di riconquistare il fattore campo.

Gli Heat, che pensavano di poter prendere il toro per le corna, si ritrovano a dover inseguire ancora, e per farlo saranno obbligati a vincere tra le mura amiche in gara 4, garantendosi la chance di tornare all’Alamo in perfetta parità.

La serie sta diventando cerebrale, i due coach giocano a scacchi e studiano la prossima mossa; ricarichiamo le pile anche noi, perché giovedì notte ci aspetta una sfida che si annuncia epocale.

 

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