Dopo una più che rocambolesca gara 1, fatta delle ormai solite e gloriose interviste Popovichiane, di aria condizionata malfunzionante e di un James costretto ad uscire causa crampi, gara 2 si presenta come la prima vera partita in grado di dare le prime indicazioni sul reale valore delle contendenti.

Entrambe le squadre confermano i quintetti, cosa tutto sommato prevedibile visto il finale del primo episodio della serie. Quello che cambia però è la voglia di James di riprendersi il palcoscenico come è ormai solito fare: dominare le partite, piuttosto che uscirne dolorante.

Ciò che però rimane rispetto all’avvio di gara 1 sono le palle perse: parecchi, infatti, i possessi finiti a vuoto per i Miami Heat, rei di far finire le penetrazioni di James dove la difesa di Popovich vuole.

Inoltre la formazione campione in carica finisce per soffrire l’esperienza di Tim Duncan: la capacità di posizionamento sotto canestro al rimbalzo offensivo, la maestria nel cercare e soprattutto trovare il cesto in ogni modo possibile (vedi gioco da tre punti in perfetto squilibrio di corpo verso la linea di fondo, con ormai storica tabellata annessa), le varie possibilità che offrono al numero 21 le mani e le ormai enormi capacità di passatore che possiede Thiago Splitter, in particolar modo quando si parla di effettuare il gioco alto-basso.

Già, perchè la presenza di Lewis come 4 e Bosh come 5 è ancora il piano principale dell’head coach di James e compagnia. Anche se questo può far soffrire abbastanza chiaramente la formazione ospite nel pitturato, lo stesso adattamento offre decisamente un più ampio campo di scelte offensive. Da questo punto di vista, infatti, Spoelstra ha reso la propria squadra una perfettamente oleata macchina d’attacco, in grado di riuscire sempre e comunque a trovare l’uomo giusto al posto giusto.

Il problema però sono i tiri che non entrano, anche se presi con i giusti tempi e le giuste misure ed anche se lasciati partire da tiratori più che affidabili come James Jones, anche se bisogna considerare la sua ormai lunga assenza da palcoscenici del genere. Il tutto è andato ad unirsi all’ormai solito estro di Manu Ginobili, cui Miami non riesce a porre freno. A rendere il tutto più difficile sono le scorribande di Tony Parker, unite alle grandi capacità di lettura del collega francese Boris Diaw.

Quello che si vede nettamente mancare a Miami è l’apporto dei due giocatori che compongono il back-court: Wade e Chalmers non entrano in partita e commettono parecchi errori, soprattutto nella metà campo difensiva dove Flash sembra quasi essere in vacanza. Da sottolineare inoltre per il numero 3 un paio di palle perse su rimesse tutto sommato facili da eseguire, che poco hanno a che fare con lo show che il leader della propria squadra metterà in atto nella terza frazione di gioco.

Dopo un avvio piuttosto lento del Prescelto, lo stesso decide di dare una più che netta svolta alla propria partita ed al proprio momento. Il così detto “LeBroning” ha dato una sonora svegliata al numero 6 che decide, nel momento di massima difficoltà della propria squadra, di mettersi i propri compagni sulle spalle e trascinarli in un parziale che porge loro i favori. Ben 14, infatti, sono i punti siglati in questo time-span dal Re, che si riprende nell’ambito delle Finals, in una volta sola, scettro, corona e trono.

Tuttavia Spoelstra commette qualche errore, soprattutto quando decide di lasciare ancora spazio a Chalmers, chiaramente in difficoltà, che opta per la follia: gomitata a Tony Parker e flagrant di livello 1.

San Antonio, trovatasi per giunta in bonus e con la possibilità di segnare quattro tiri consecutivi dalla lunetta grazie ad un fallo successivo su Duncan, sbaglia tutti i tentativi ed invece di trovarsi sul 91-85 a poco dalla fine, finisce per trovarsi sotto di 1 grazie alla susseguente tripla di James. Spoelstra nel decidere di lasciare le redini alla propria star finisce, fortunatamente per lui e Chalmers, per non pagare dazio sui 4 liberi.

Le rotazioni di Wade, però, continuano a mancare ed il tutto si ripercuote sulle sue prestazioni generali, ma la chiamata per Chris Bosh all’ultimo minuto è il marchio del lavoro dell’allenatore filippino. L’ex Toronto Raptors piazza infatti la tripla decisiva che, unita all’assist arrivato poco dopo, pone Miami abbastanza avanti da tagliare il traguardo per prima.

Parecchi sono stati gli aggiustamenti di Spoelstra dopo gara 1: si parta dal mantenere il quintetto base. Lewis è molto più dentro il gioco degli Heat, tanto da consentirgli di piazzare tre triple che nel contesto di gioco di Miami sono più che oro colato, soprattutto in merito della gara da fantasma di Wade e delle follie commesse da Chalmers, per non dimenticare la comparsata Jones. Proprio Wade cerca di riagguantare la partita, ma vedendosi sputare parecchi tiri dal ferro lascia fare a James, nettamente più in serata.

Anche il dare un numero più consistente di minuti ad Andersen ha aiutato in qualche modo Miami: l’ex Nuggets ha contribuito nel porre un freno a Duncan nel secondo tempo. Il caraibico infatti difficilmente trova la via del canestro nella seconda parte della gara, merito anche della difesa messagli di fronte dalla scelta dell’allenatore allievo di Pat Riley.

Dopo la partita il giocatore che ha posto il sigillo chiave della gara, ossia Chris Bosh, ha potuto lodare la libertà di scelta concessagli da Spoelstra e garantirgli in questo modo la possibilità di riuscire finalmente ad incidere pesantemente a questi livelli: “Alle volte, in questo attacco, i coaches mi danno libertà per essere aggressivo e fare le giuste giocate. Spoelstra ha detto che gli piace la mia aggressività e di continuare ad essere tale. La mia risposta? Semplicemente OK. Le cose basta che mi vengano dette una volta sola, non c’è bisogno neanche di una seconda”.

Anche James, nella sua grande partita, ha lodato il lavoro di Bosh nel finale: “Abbiamo potuto vedere anche due schiacciate da parte sua che non vedevamo da tempo. Quando ha quel mind set difficilmente lo puoi fermare. Spesso è il talento dimenticato della squadra, che non dovrebbe essere. Ovviamente stasera, senza la sua aggressività, non avremmo vinto. Abbiamo avuto bisogno di lui, e ne avremo ancora bisogno per il resto della serie, e sono anche convinto che riceveremo le giuste risposte da lui”.

Un’importantissima vittoria quindi per Miami. In caso di sconfitta, infatti, arrivare a giocare alla Triple-A sul 2-0, e rischiare di perderne anche una sola, sarebbe stato gravissimo in vista del possibile quinto episodio di stampo texano.

Ora, invece, si torna in Florida per due intensissime gare, con un viaggio dal sapore decisamente più dolce per Bosh, che ha inciso profondamente nell’economia della gara, e per James che si è ripreso di prepotenza il palcoscenico che gli spetta in questo momento della sua carriera.

Decisamente più amaro, invece, il viaggio di ritorno per Wade e Chalmers, che come il pane serviranno prima di tutto alla difesa di Spoelstra, ancor prima che in attacco, soprattutto per quanto riguarda colui che veste la canotta numero 3.

Vedremo, inoltre, se ci sarà il ritorno sul parquet di Shane Battier in quel di Miami, che magari sarebbe potuto risultare molto utile nell’ambito della partita, soprattutto difensivamente su Diaw.

 

3 thoughts on “Gara 2: Il ritorno del Re

  1. Chiedo scusa ma, così come per gara1, perché l’articolo si focalizza esclusivamente su Miami? Gli heat vincono, gli heat perdono, dominano, subiscono, la fanno da padrone, sbagliano, james e wade giocano bene o giocano male, spoelstra azzecca o sbaglia ma ruota tutto intorno a loro. C’è anche un’altra squadra di la, eh

  2. Ok ho capito. In effetti mi piace più la formula “qui miami/ qui san antonio” usata per gara 3

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