“Ibaka effect: Spurs average FG attempt with Serge Ibaka on court: 16,4 feet (5 metri n.d.a.); off court: 7,8 feet (2,3 metri n.d.a.)”, via @Espn Stats and Info. Ecco come, con un tweet, si può andare a riassumere buona parte di quello che è successo in gara 3 tra Oklahoma City Thunder e San Antonio Spurs. I padroni di casa, spersi e, in apparenza, pronti ad alzare bandiera bianca dopo le prime due disastrose partite, sono tornati a casa e si sono trovati un regalo inaspettato: Serge Ibaka in quintetto base, alla fine di un mistero medico sul quale, come spesso accade in questi casi, sarà difficile avere pareri univoci da qui all’eternità.

La prima diagnosi (stagione finita) sul polpaccio del congolese era troppo catastrofica, o i medici dei Thunder hanno realmente fatto un miracolo rimandando in campo nel giro di una settimana un giocatore che, sulla carta, sarebbe dovuto essere in infermeria a curarsi?

La risposta, come detto, non la conosciamo, ma ci sono i dati della partita di stanotte che parlano chiaro: 15 punti, 6/7 al tiro, 7 rimbalzi e 4 stoppate. Poi, Spurs a 17/37 nella restricted area (contro il 65% tenuto in gara 2) e sconfitti per punti in area 46-40 dopo aver letteralmente banchettato per due partite. Poi, Chesapeake Energy Arena caricata a molla. Poi, tutta la squadra energizzata come per magia. E, di conseguenza, orizzonti della serie improvvisamente cambiati.

Ma come, bastava semplicemente rimettere in campo Ibaka per ridare equilibrio alla sfida tra Thunder e Spurs? Anche, ma non solo. Sul 106-97 finale, come è normale che sia, hanno pesato tanti fattori, a cominciare sì dal rientro in quintetto e dall’impatto sulla partita del lungo di passaporto spagnolo, ma senza dimenticare l’inserimento in quintetto anche di Reggie Jackson (molto positivo con 15 punti) e i cambi nelle rotazioni (finalmente!) di Scott Brooks che per il sopracitato Jackson ha tenuto in panchina 48’ l’invisibile Sefolosha, che, nonostante il rientro di Ibaka, ha continuato a dare fiducia a Steven Adams, venendo ripagato con un’altra prestazione solida (7 punti, 9 rimbalzi e 4 stoppate), e che, infine, ha dato minuti importanti a Jeremy Lamb, al posto di Caron Butler. Era ora, Scott.

Mettete tutto questo insieme e le partite buone ma non eccelse (51 punti in coppia ma con 16/38 al tiro e 9 palle perse complessive) di Durant e Westbrook sono state un problema contenibile. Anche perché, dall’altra parte del campo, c’erano degli Spurs che, come spesso gli capita, sono stati vittima dell’effetto Oklahoma City. Arrivati nella casa dell’MVP gli uomini di Popovich sono sembrati perdere improvvisamente la poesia cestistica che gli aveva fatto giocare due gare d’esordio nella serie al limite della perfezione. Parker fermo a 9 punti con 13 tiri, Duncan senza ispirazione in attacco (16 punti con 17 tiri), Leonard e Green scentrati da tre punti (2/9 in coppia), panchina poco efficiente e il solo Ginobili (23 punti con 6 triple) a tirare la carretta in solitudine.

La difesa, anche, non è stata la solita. Ibaka ha punito col suo tiro da media (4/4 alla fine del primo quarto, inclusi i primi due punti della gara che hanno fatto esplodere il pubblico) creando un nuovo scenario che fino a questo punto San Antonio non aveva dovuto considerare, concedendosi approcci difensivi più aggressivi. Jackson, dal canto suo, ha continuato a confermarsi giocatore enigmatico per i nero argento che, tra l’altro, con il suo ingresso in quintetto, hanno potuto permettersi meno “battezzi” sul perimetro per forzare raddoppi sugli altri giocatori.

Poi ci sono stati tanti anticipi tentati e mancati che hanno portato a penetrazioni facili concesse e a falli extra spesi con un peso cruciale nell’economia dell’incontro. Il terzo quarto, infatti, ha visto gli ospiti andare in bonus dopo una manciata di minuti, così che i Thunder, nel momento in cui il tiro ha smesso di entrare (2/11 negli ultimi 6’ di terzo periodo), si sono affidati all’attacco del ferro per guadagnare conclusioni dalla lunetta e contenere il tentativo di rientro Spurs, che, al contrario, in attacco sembravano aver trovato la quadratura. Il dato del terzo quarto ha recitato un impietoso 22-0 nei tentativi della linea della carità in favore dei Thunder, che ha fatto storcere più di un sopracciglio in casa San Antonio, ma che, a ben vedere, non può essere imputato a un cattivo arbitraggio.

Non è sembrato, infatti, che la terna sia stata condizionata particolarmente dal clima creato dal pubblico o da altro, ma semplicemente è stata una differenza generata dalla diversa intensità mostrata nell’occasione dalle due squadre.

Questo passaggio della gara, così, si è rivelato cruciale per l’esito finale. I Thunder sono riusciti a rimanere in sella alla gara con un buon margine di vantaggio, utile nel momento in cui Ginobili e compagni hanno prodotto un ultimo sforzo in apertura di quarto periodo. Arrivati a -9, i texani hanno costruito il tiro dall’angolo per il -6 per Patty Mills, che però, sull’esecuzione, è stato punito con un fallo in attacco per aver “scalciato” durante il movimento di tiro.

Fischio dubbio, come spesso accade in questi casi, ma che ha indirizzato definitivamente la gara. Da lì, infatti, è partito un 10-2 di parziale OKC che ha chiuso i conti, estendendo il vantaggio della truppa di Brooks fino al +17.

E ora come cambia la serie? Difficile da dirsi. Gara 3 è stata il risultato di un insieme di tanti fattori. Come prima cosa ci sarà da valutare se Ibaka potrà riproporsi ai livelli di questa notte. Resta pur sempre un giocatore menomato fisicamente in maniera significativa e che, al rientro a sorpresa, potrebbe aver avuto una dose extra di adrenalina che gli ha concesso di giocare nella maniera in cui abbiamo visto. Altro fattore da considerare è come Popovich, che in questo è maestro, si adatterà in corsa ai nuovi assetti adottati da Brooks, che invece è più bravo a cambiare di gara in gara mentre a partita in corso fatica di più a uscire dai piani prestabiliti.

Infine, c’è da aspettarsi una gara 4 importante di Parker e Duncan che hanno steccato in maniera palese la partita oggi. Se può starci che le seconde linee e i role players con la pressione della Cheaspeake Arena vedano il proprio rendimento incrinarsi, se lo stesso capita all’asse play-pivot gli Spurs hanno ben poche speranze di portare a casa il successo.

Insomma, le carte in tavola sono sistemate per vedere un gara 4 davvero bellissima. Vincere è un imperativo per entrambe. Per OKC significa non andare sotto 1-3 e abbandonare definitivamente i sogni di una seconda finale NBA, per San Antonio non sprecare tutto il prezioso lavoro, anche psicologico, fatto nei primi due episodi.

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