Quando la penna di Carl Barks e la mente geniale di Walt Disney idearono il personaggio di Gastone, il cugino fortunato e vincente di Donald Duck, il nostro Paperino,  i Lakers erano di stanza a Minneapolis, mentre i Clippers erano ben lontani dal nascere.

A Burbank, città della periferia nord di Los Angeles, sede degli Studios Disney, non pensavano certamente che un giorno, il rapporto tra i due paperi sarebbe stato molto simile a quello delle due squadre della città degli angeli.

Infatti, mentre i Lakers conquistavano titoli su titoli, i Clippers, dal 1984 a Los Angeles,  subivano umiliazioni su umiliazioni dai cugini spavaldi e vincenti, conditi da record negativi come il poco edificante 12-70 della stagione 1986-1987.

Il proprietario della franchigia, dal 1981, è Donald Sterling, stesso nome di battesimo del personaggio creato da Walt Disney.

Sterling, avvocato ebreo diventato ricco grazie ad ambigui affari sul mercato immobiliare, dopo aver aiutato  Jerry Buss a prendersi i Lakers nel 1979,  fiutò l’affare e decise di compiere il medesimo percorso dell’amico,  acquistando i San Diego Clippers per 12.5 milioni di Dollari.

L’anno successivo ecco i primi guai: fu, infatti, registrato mentre intimava ai propri giocatori di perdere volutamente per ottenere una posizione più alta al Draft, così da poter scegliere il forte centro dell’Università di Houston, Ralph Sampson, che finirà, tra l’altro, proprio agli Houston Rockets.

I proprietari NBA non la presero molto bene e intimarono la lega di far cedere la franchigia ad altro proprietario. Passato il furore iniziale, però,  Sterling non subì alcuna sanzione, rimanendo sul ponte di comando dei Los Angeles Clippers, perché nel frattempo, complice un pubblico poco partecipe a San Diego, l’avvocato ebreo spostò la squadra nella città degli angeli.

Ma i risultati ancora stentarono ad arrivare, anche perché “Il Capo” era completamente disinteressato all’andamento sportivo, quanto piuttosto a quello finanziario, meglio se volto ad arricchire il proprio patrimonio personale.

Gli errori al Draft, inoltre, aiutarono parecchio: scegliere Lancaster Gordon nel 1984 lasciando ai Kings il futuro All-Star Otis Thorpe o ancora peggio John Stockton ai Jazz, scegliere Benoit Benjamin alla numero 3 l’anno successivo oppure Michael Olowokandi, centro nigeriano scelto alla 1 nel 1998 e considerato una delle peggiori prime chiamate della storia del gioco, sicuramente non aiuta a creare una mentalità vincente.

Quando la dirigenza Clippers ha la fortuna, o la bravura, di scegliere bene, però, subentra la taccagneria di Sterling, che puntualmente si libera del giovane per non firmare un contratto troppo oneroso.

Negli ultimi anni pareva che la storia fosse cambiata: con la vecchiaia che avanzava Sterling aveva cominciato ad aprire il portafoglio, regalando alla LA storicamente perdente una squadra da titolo, forse per la prima volta nella storia, con Chris Paul e Blake Griffin come punte di diamante. Titoli divisionali e derby vinti, strapazzando gli odiati cugini gialloviola.

Quando tutto stava procedendo con una strana calma ecco che arriva la tempesta. La storia è ormai nota: il sito TMZ ha pubblicato una registrazione telefonica (errare è umano, perseverare è diabolico caro Donald) in cui il proprietario dei Clips intimava alla giovane fidanzata di non farsi fotografare con uomini di colore, né tanto meno di portarli alle partite, con chiaro riferimento a Magic Johnson.

Negli Stati Uniti, paese molto sensibile alle discriminazioni razziali, è scoppiata un’ ondata d’indignazione nei confronti del proprietario dei Clippers.

Le parole più interessanti sono state pronunciate da Kareem Abdul-Jabaar che è stato pure vice allenatore della squadra californiana per un breve periodo nel 2000. Il miglior marcatore ogni epoca della NBA ha parlato dell’accaduto, dichiarando che in 33 anni di attività nella lega, Sterling aveva più volte dimostrato il suo status di razzista.

Nel 2006, infatti, fu accusato dalla Corte di Giustizia di Los Angeles di non affittare appartamenti agli afroamericani: la vicenda si concluse con un patteggiamento da 2,73 milioni di dollari.

Insomma, la NBA ha agito utilizzando le maniere forti per togliere da questa situazione d’imbarazzo pure la lega stessa. Certamente, però, poteva intervenire già otto anni fa quando era in corso addirittura un processo per gli avvenimenti sopracitati e che dimostravano chiaramente la natura razzista dell’individuo.

 

One thought on “Breve storia di Donald Sterling

  1. Perché insisti nel definirlo “L’avvocato ebreo”? Hai forse qualche pregiudizio anhe tu?

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