La perfetta tecnica a rimbalzo e tagliafuori di Kevin Love

La perfetta tecnica a rimbalzo e tagliafuori di Kevin Love

Se non sbaglio avevamo già menzionato il fatto che la storia di Unseld sarebbe tornata di attualità. Ebbene, un piccolo particolare che finora è stato taciuto: all’anagrafe il 42 dei T’wolves risulta per intero come Kevin Wesley Love, dove il secondo nome rappresenta un richiamo esplicito a quel blocco di granito che sulla fine degli anni ’60 e per tutti i ’70 (e oltre) indossava la canotta numero 41 a righe alternate bianche e rosse su sfondo blu e disinfestava il pitturato dagli avversari per conto dei Bullets, che avevano sede prima a Baltimora e poi a Washington.

L’influenza del padre nella formazione cestistica di Love è piuttosto evidente: con tutto il rispetto per Wes Unseld, quale ragazzino lo eleggerebbe mai come idolo assoluto? Sarebbe come se alla classica domanda posta a un bambino in età pre-scolare su cosa gli piacerebbe fare da grande, questi invece che l’astronauta rispondesse l’operaio dell’azienda che produce tute spaziali.

A parte gli scherzi, è evidente che non è così: Unseld è pur sempre uno dei migliori 50 della Storia. Resta singolare però il fatto che disponendo di modelli molto più spettacolari del calibro di Hayes, Monroe o West, fra i compagni di squadra del padre, Kevin sia rimasto colpito proprio dal centro dei Bullets.

Ma il piccolo Wesley Love è differente. Come racconta Stan, a 6-7 anni, mentre gli altri bambini impazzivano per Big Bird (Bibo), il gigantesco pupazzo con le fattezze di un canarino giallo dello show Sesame Street, Kevin guardava i video di un altro Bird, Larry Legend.

Fin da piccolo infatti, il futuro All-Star è avvezzo a macinare un’enorme quantità di tape di giocatori NBA: Olajuwon, Barkley, Magic, Isiah Thomas, Jordan, Maravich. I suoi preferiti sono Boston Outlet Drills con Danny Ainge e Bill Walton e Big Man Moves di Pete Newell. Li divora smaniosamente, fino a consumarne i nastri.

Poi prima di andare a letto prova a riprodurre i movimenti scrupolosamente osservati. Durante tutta la sua infanzia e la prima parte dell’adolescenza in riva al lago Oswego il nostro impiegò ogni singolo momento libero per allenare le proprie abilità, ripercorrendo pedissequamente i passi mossi dai grandi del gioco, rubati nei frame dei filmati.

Non usciva mai, o quasi, di casa senza la palla a spicchi. Andava a giocare anche sotto la pioggia. Palleggiava fuori dal finestrino dell’automobile del padre lanciata a 10 miglia orarie. Come Maravich.

A 6 anni era salito sul palco con lo zio Mike davanti a migliaia di persone ma era rimasto in silenzio sopra al microfono finché non lo avevano fatto scendere. Il palcoscenico sul quale aveva deciso di spopolare era evidentemente un altro. Non gli interessavano il basso, la chitarra o il tamburello, aveva in mente i rimbalzi.

All’età di 8 anni, dopo averlo visto in video, chiama l’amico di famiglia e Sport P.R. Executive Bill Feinberg perché gli faccia avere dei filmati di Paul Arizin, inarrestabile cannoniere dei Philadelphia Warriors degli albori. Love è rimasto abbacinato dalla sua tecnica a rimbalzo.

Sempre al solito Feinberg più tardi dirà: «Voglio essere un rimbalzista alla Rodman. Voglio impadronirmi di ogni rimbalzo e dominare sotto le plance.» Quando, dopo alcuni anni fra high school e college, è ormai chiaro ai più che il ragazzo ci dà dentro a rimbalzo, lo stesso Kevin spiega: «Quando parte un tiro non so di preciso cosa mi succede. È come se d’un tratto mi trasformassi in Colossus (il supereroe della Marvel – ndr). Sono pronto a far rotolare delle teste, mi scaglio contro gli avversari. Lancio il mio corpo verso il ferro.»

Spesso e volentieri, guardando le partite di Minnesota, è possibile ammirare la tipica danza che compie Love sul parquet. Punta verso il lato debole, sfrutta il blocco di compagni ed avversari, gira la testa a controllare la traiettoria del tiro e… giusto il tempo di sbattere le ciglia… la palla si trova magicamente, oltre che saldamente, fra le sue mani.

Lo specifico atto di gioco chiamato comunemente rimbalzo, che tanto piace al nativo di Santa Monica, può essere considerato a buon diritto per metà disciplina di combattimento con spargimento di sangue (come un tipico combattimento fra galli per esempio) e per metà scienza.

Sempre il nostro eroe confida: «Quando la palla è in aria so dove andrà a sbattere e dove rimbalzerà con buona probabilità. Gioco sulle percentuali ma non è un banale indovinello. Il più delle volte ho ragione.»

Proprio come un portiere di calcio è solito studiare il modo in cui i rigoristi delle squadre che si troverà ad incontrare calciano usualmente il pallone, dietro la preparazione di Love c’è un attento studio delle tendenze e abitudini di tiro dei maggiori attaccanti avversari.

Non stupisce quindi che anche in questa stagione sia secondo per rimbalzi totali catturati con 13.3 a sera, terzo per punti da seconda chance (4.8) e soprattutto primo secondo la nuova statistica di stats.nba.com nelle cosiddette chance di rimbalzo (20.2), ovvero il numero di volte che un giocatore si trova durante una partita nelle vicinanze di un rimbalzo, entro i 3,5 piedi.

Trattasi evidentemente di creatura estinta, la cui provenienza è situabile in un’epoca imprecisata del passato. Per dirla come farebbero i Beach Boys: I just wasn’t made for these times.

Quale sia il tempo a cui appartiene non è facile da stabilire visto che oltre ai rimbalzi, Love mette assieme cifre ragguardevoli anche per punti (25.6) e doppie-doppie: primo in stagione con 42 in 48 partite giocate. È inoltre quarto, dietro a Durant, James e Paul, per player impact estimate (la percentuale degli eventi di gioco della squadra di cui il giocatore è in qualche modo responsabile) col 19.1%.

Ciò che più sorprende però, se unito alle cifre appena snocciolate, sono la percentuale nel tiro da tre del 36.8% su 6.1 tentativi a sera e il dato degli assist: 4 assistenze in media per ogni partita. Irreale. Nessuno come lui porta a casa ogni notte almeno 12 punti, 8 rimbalzi e 4 assist. E Kevin quasi le raddoppia queste cifre.

Sempre a detta del giocatore, al quale evidentemente piace raccontare il suo gioco in prima persona (nell’estate del lockout ha collaborato con Grantland): «Alcuni passaggi sono dettati solo dall’istinto. Altri sono frutto del lavoro di piedi fatto con mio padre e dei video istruttivi che ho studiato.»

Inutile che mi dilunghi troppo su quello che ormai è diventato un suo marchio di fabbrica, l’outlet pass, del quale ha parlato dettagliatamente Fraccu in un precedente articolo. Persino coach Wooden in passato si è espresso favorevolmente sulla terrificante giocata presente nell’arsenale cestistico di Kevin, dicendo che il ragazzo ha la forza e la tecnica necessarie per recapitare questi lanci ai compagni in fuga da grande distanza e con estrema accuratezza.

Ancora una volta c’è lo zampino di Wes Unseld, che, negli anni dei Bullets, dispensò tali passaggi a decine di ricevitori. Dei suoi lanci dice oggi l'”allievo” Love: «Ho studiato le sue giocate ed ho mostrato ai miei compagni i video di ciò che faceva […] Adesso sanno che non appena ho afferrato la palla nei pressi del nostro canestro, o sembra che lo farò, qualcuno deve cominciare a correre lungo tutto il campo.»

La sua tecnica di passaggio a due mani dal petto è stata affinata negli anni attraverso allenamenti specifici. Pare che utilizzi un esercizio caro a Unseld: dopo aver sbattuto la palla su un tabellone, prende il rimbalzo girandosi a mezz’aria ancor prima di atterrare, per poi lanciare all’altro tabellone.

Ai tempi dei Bruins, il 19 aprile 2008, è stato visto allo shoot around all’Honda Center di Anaheim infilare nel canestro il passaggio-tiro a due mani prima da metà campo, poi da 3/4 di campo, quindi dalla linea di fondo. Con tanto di inchino finale, ché siamo sempre di famiglia che di fronte alla platea sa cosa fare.

Nonostante il sangue blu tuttavia, che copioso scorre nelle sue vene, come sostiene il vecchio compagno di squadra a UCLA Westbrook “Kevin non sa cantare per niente”. Però in spogliatoio è un compagnone, uno sempre pronto a scherzare e a ravvivare la situazione.

Ha un senso dell’umorismo tutto suo, quasi all’inglese si potrebbe dire. D’altra parte va matto per lo sketch comico di Zach Galifianakis (il ciccione maldestro di “Una notte da leoni”) intitolato Tough Crowd della serie “Funny or Die”.

In questo spettacolo l’umorismo asciutto e irriverente di un comico moderno non viene apprezzato dal pubblico costituito interamente da coloni americani dell’800, i quali probabilmente hanno altro a cui pensare rispetto alle tresche amorose fra uno studente e la sua insegnante oppure circa i commenti sull’ultimo film di Garfield che è uscito al cinema.

E così, parlando di fatti e persone apparentemente solo marginali, siamo giunti alla fine di questo raccontino su Love & dintorni. La scelta di trattare di un giocatore professionista in questi termini, oltre che derivare dall’assoluto interesse che rivestono le storie dei personaggi a lui collegati, ben si sposa con l’attenzione che da sempre Love ha riservato all’approfondimento delle storie di vita che stanno dietro al successo delle carriere di sportivi affermati.

Presto l’ala forte dei T’wolves potrebbe trasferirsi a Los Angeles ed allora la sua vita sarà costantemente (e nuovamente) proiettata sotto i riflettori. Non ce ne voglia quindi il nipote di Mike Love se oggi ci siamo concentrati su un po’ di fatti suoi.

God only knows what I’d be without you… Solo gli dei del basket sanno cosa ne sarebbe dei Minnesota Timberwolves qualora Kevin Wesley Love se ne andasse a giocare per i Lakers dal 2015…

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