Nel mondo delle signature moves, le “mosse” caratterizzanti un giocatore, Love ha ormai consolidato l’”apertura a tutto campo” come proprio marchio di fabbrica: dopo l’ennesimo rimbalzo non è raro vedere Love cercare l’outlet lungo, direttamente dentro l’arco della metĂ  campo avversaria, con assist dotati di rapiditĂ  e precisione che nulla hanno da invidiare agli highlight dei migliori playmaker.

Ma non si tratta solo di una giocata spettacolare ed efficiente come un contropiede, l’aspetto portante è l’efficacia tecnica: Kevin non esegue infatti un “passaggio baseball (con una mano da dietro la testa), nĂ© la classica apertura a due mani sopra la testa (alla Wes Unseld), bensì un passaggio che è un proseguimento del movimento per il rimbalzo, continuando a tenere la palla con due mani, con un’esecuzione che parte dal petto e termina con la “frustata” del polso, dalla traiettoria bassa e tesa, per cui molto veloce nel sorvolare le teste dei difensori in affannoso e tardivo recupero.

Come ha dichiarato Brewer, ricevitore frequentissimo delle aperture lunghe di Love, si tratta di andare a ricevere il pallone in determinati spot, solitamente nei pressi dei gomiti della lunetta opposta: Love destina il passaggio a quello spot e Brewer (o chi per lui) cerca di farcisi trovare puntuale. Come?

Anticipando la partenza per la ricezione: talvolta persino prima che Love abbia pieno possesso della palla, il giocatore che ha difeso sul tiratore (che solitamente resta in contemplazione statica del proprio tiro, attendendone l’esito), parte verso l’altro canestro eseguendo il cosiddetto cherry picking, volto a garantirgli un buon vantaggio di spazio e tempo nei confronti degli avversari. Una volta preso il rimbalzo, tocca a Love lanciare un “lead pass”, passaggio che guida il ricevitore in movimento verso un posto favorevole per la ricezione profonda.

Un po’ come il passaggio lob e la schiacciata convergono nell’alley oop in un’alchimia rischiosa ma difficilmente contenibile per la difesa, così l’outlet lungo ed il cherry picking, se ben eseguiti, costituiscono una conclusione decisamente ostica da arginare.

Vediamo alcuni esempi da questa stagione per scoprire i “trucchi del mestiere” degli outlet assist di Love: 

 

Come non esporsi a questi “touchdown” pass? La soluzione più attendibile non è contrastare la ricezione, sprintando subito in difesa, poiché quel tipo di passaggio viaggia più velocemente di qualunque difensore, quanto piuttosto “agire sulla causa” (come direbbero i taoisti): se il difensore diretto di Love, una volta persa la sfida del rimbalzo, gli restasse vicino senza ripartire in difesa, Love non potrebbe eseguire il suo fidato passaggio dal petto, e dovrebbe quindi optare per parabole più alte e più lente, dunque un po’ più facilmente intercettabili, o almeno “recuperabili”, dagli altri difensori.

Riguardando il filmato noterete come in nessun caso il difensore diretto di Love sia rimasto a pressare il pallone, preferendo istintivamente riavviarsi verso la propria metà campo, lasciando fatalmente scoperta la traiettoria bassa e veloce. Va comunque notato come Love abbia sviluppato una così elevata rapidità d’esecuzione che talvolta sarebbe praticamente impossibile persino disturbare il passaggio: nel caso di Love, l’apertura diventa spesso non un semplice passaggio di routine, ma un vero capolavoro balistico di tempismo ed accuratezza.

12 thoughts on “Focus: gli “outlet assist” di Kevin Love

    • Grazie… Tranquillo, per quello che ho visto on line, è pur sempre una “boccata d’ossigeno italiano” per gli appassionati di tecnica/tattica, è comunque importante che almeno qualcuno ne parli…

  1. Tranquillo è preparato e conosce tutto del nostro sport. Ha anche un’etĂ  che gli consente di aver seguito bene o male tutto quello che è successo nel mondo della pallacanestro. Ha solo un grande difetto: è maledettamente simile a un professore che spiega la lezione, oserei dire cattedratico, esasperando l’approccio statistico al basket, che è sempre piĂą dilagante anche nella NBA. Numeri numeri e ancora numeri…un po’ ipertecnici per divulgarli in tv. Generalmente sminuisce anche le domande che gli fa il Mamoli di turno o lo spettatore via Internet…dicendo SEMPRE che nella NBA bisogna analizzare 1000 fattori per anche solo poter dare un giudizio…su una trade per esempio. O non è fisica quantistica il basket eh…

  2. Articolo molto ben scritto davvero comunque, bell’analisi di un giocatore praticamente dalla capacitĂ  illimitate, sa fare tutto, e lo fa maledettamente bene. Dopo un po’ però potrebbero anche svegliarsi i coach avversari quando lo incontrano

    • Grazie. Love resta un po’ carente in alcuni “intangibles”, soprattutto in difesa, ma è sicuramente un titano e non solo nel suo ruolo.

      • Difensore piĂą che sospetto infatti..non vedendolo mai impiegato nei playoff non ho un’idea chiara su questo aspetto. Secondo me si riposa parecchio in difesa.
        So che non centra nulla, ma anche quest’anno male Minnesota, insomma sotto le aspettative. Il problema grosso di Minnie secondo me è Rubio, detto fuori dai denti…difensore nullo, leggerino, in attacco tira col 30% da due e da tre pure peggio…battezzabilissimo. Cerca sempre i passaggi e gli assist spettacolari perchè altro non riesce a fare nella NBA, è evidente.

        • Ho visto solamente una partita dei Wolves con la dovuta attenzione, ma a me è sembrato pure a volte pigro e prevedibile nei passaggi “normali”.

  3. Mi correggo, Rubio questa stagione sta tirando con il 24.2% da 2 e con il 35%. Secondo una classifica dei giocatori con almeno mille tiri tentati, con il 35.6% dal campo in carriera Rubio è il secondo peggior tiratore della storia Nba dietro Bobby Hurley.
    Ok gli assist, ok i tanti rimbalzi per una PG, ma per il ruolo che occupa in campo è troppo poco pericoloso in attacco, al tiro da fuori soprattutto.

    • Come puoi vedere nell’articolo seguente
      http://www.playitusa.com/nba/2014/01/49880/giovani-playmaker-con-poca-mira/
      Rubio è pessimo dentro l’arco, ma nelle triple frontali è sopra la media Nba, e questa è per un play una caratteristica importante, forse piĂą del midrange o delle sue (inaffidabili) conclusioni al ferro. Anche perchè, in fondo, nella chimica dei Wolves il suo ruolo non è di far punti, quanto piuttosto di farli fare.

      A suo modo, ha un’efficienza peculiare per essere un assistman: bilancia le palle perse con i recuperi (raritĂ  per un play), precisissimo ai liberi e piĂą che valido a rimbalzo… se lo paragoni a giocatori dall’impostazione simile, come Jason Williams e Jason Kidd, noterai che, per essere al suo terzo anno, è giĂ  efficace almeno quanto loro. Di certo non è uno Stockton.

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