piercleb676Cercate spettacolo misto a dichiarazioni bellicose e magari anche a scambi di cortesie senza troppi complimenti? Benvenuti nella Eastern Conference, terra di una nuova rivalità sull’asse Brooklyn-Miami che promette di regalare più di una scintilla.

Heat e Nets, due storie così diverse eppure così uguali, per una trama che forse nasce, senza che nessuno lo sappia, nell’estate del 2007.

Fu allora che Danny Ainge riuscì non solo a reclutare due perenni All-Star del calibro di Kevin Garnett e Ray Allen, ma anche a farli convivere in idillio perfetto assieme a Paul Pierce, al tempo considerato star viziata e egocentrica ma che insieme ai due campioni portati in dote dal mercato riuscì a creare un’intesa memorabile, regalando ai Celtics una nuova epoca d’oro dopo i fasti vissuti negli anni Ottanta grazie a un altro trio superbo (Bird, McHale e Parish).

Forse inizia tutto da qui, dal prendere coscienza che tre galli nel pollaio non necessariamente finiscono per beccarsi ma possono essere in grado di cantare all’unisono; sta di fatto che, tre estati dopo, la storia si ripete.

LeBron James lascia la fidanzatina del liceo, i Cleveland Cavaliers del nativo Ohio (d’altronde si sa, nemo propheta in patria), per mettersi con la bellona del college, assoldato da Pat Riley insieme a Chris Bosh per rilanciare in grande stile (con Dwyane Wade) i Miami Heat.

Dopo essersi scrollato di dosso l’etichetta di perdente di successo e aver zittito i critici che lo avevano crocifisso per la sua roboante “Decision” con la quale annunciava di “voler portare il suo talento a South Beach”, LeBron e i suoi scudieri hanno inanellato una doppietta di titoli che ha stuzzicato la fantasia di Mr. Mikhail Prokhorov.

Il signor Nets, dopo essersi avvalso dell’influenza di Jay-Z per spostare la franchigia dal monotono New Jersey all’accattivante vetrina di Brooklyn, è deciso a completare il suo meraviglioso piano di scalata al mondo della Nba; per farlo ha assemblato un quintetto di All-Star, supportato da una panchina extralusso che farebbe le fortune di molte franchigie Nba (come starting five, s’intende).

Il fiore all’occhiello dell’ennesima campagna acquisti faraonica è stato l’arrivo del trio Pierce-Garnett-Terry proveniente proprio dai Boston Celtics: la squadra da cui tutto è cominciato, il cerchio che si chiude per lanciare l’attacco al potere degli uomini di South Beach.

Che tra gli ex Celtics e gli Heat non corra buon sangue è risaputo: i biancoverdi sono stati la nemesi del LeBron in maglia Cavs, battendolo due volte su due ai playoff e contribuendo, con la sconfitta inflittagli nel 2010, al suo abbandono alla franchigia dell’Ohio.

James ha potuto gustarsi la rivincita con le due eliminazioni inflitte a Boston nel 2011 e soprattutto nel 2012, in una finale di conference che fu il prologo della definitiva incoronazione a Re della Nba.

La saga si è arricchita nell’estate successiva al primo trionfo, col clamoroso passaggio di Ray Allen, desideroso di giocarsi le ultime chance per mettersi al dito il secondo anello della carriera, alla corte di LBJ.

I tifosi dei Celtics hanno vissuto la scelta di “He Got Game” come un tradimento inaccettabile. E se Pierce l’ha presa con filosofia, non si può dire altrettanto per Kevin Garnett: impensabile, per un uomo che vede qualsiasi cosa fuori dal suo territorio come un nemico da sconfiggere, accettare la decisione di un fido (o presunto tale) compagno di squadra di sposare la causa del nemico giurato.

La sua totale indifferenza verso l’ex amico”, che lo portò a dire di non avere più il suo numero e a ignorarlo completamente nel primo incrocio da avversario, è tornata d’attualità qualche settimana fa alla luce del suo trasferimento ai Nets.

James, un altro che tende a far proprio l’insegnamento di kennediana memoria di ignorare i propri nemici senza però mai dimenticare il loro nome, ha rinfacciato al vecchio Re Leone le dichiarazioni di un anno fa, aggiungendo che forse la posizione di Allen andrebbe riconsiderata alla luce della trade che ha visto lo stesso KG e Pierce abbandonare la nave biancoverde dopo una lunga (sei e quindici anni, rispettivamente) e leggendaria militanza.

Garnett non ha tardato a replicare, invitando il rivale a preoccuparsi dei suoi affari senza mettere il becco riguardanti i Celtics (al cuore, biancoverde, non si comanda).

L’attesa per chi aspettava i fatti dopo le parole è stata breve, perché il calendario (tra preseason e stagione ufficiale) ha messo di fronte le due contendenti ben due volte in appena due settimane.

Nel primo confronto è stato Pierce a mettere nero su bianco le intenzioni dei suoi, marcando il territorio con un fallo duro sul numero 6 avversario per vedere l’effetto che fa; mentre alla prima partita “vera” i Nets si sono presi il lusso di sconfiggere gli Heat (per la prima volta dalla venuta del Prescelto nel 2010), in un Barclays Center col pubblico delle grandi occasioni. Anche Jason Terry ha voluto avere voce in capitolo, unendosi al canto “Brooklyn, Brooklyn” del pubblico per far capire di essersi calato in pieno nel clima della contesa.

Al di là della faida che promette di regalare spunti dentro e fuori dal campo, quella tra Brooklyn e Miami promette di essere una grande sfida soprattutto per i valori di altissima pallacanestro che può offrire.

Prokhorov spenderà circa 180 milioni di dollari, cifra mai vista tra stipendi da capogiro e relativa congrua imposta da pagare alla lega, per attrezzare i suoi Nets per l’assalto alla corona di LeBron; gli Heat invece sono quelli della doppietta e sembrano essere più competitivi e decisi che mai sulla strada di un three peat storico.

Le premesse paiono apparecchiare una finale di Conference da urlo, anche se prima entrambe dovranno fare in conti con Indiana e Chicago che in materia hanno pareri decisamente contrari.

Se sarà guerra dei mondi all’ultimo atto sulla costa Est lo scopriremo strada facendo, in una stagione potenzialmente di non ritorno per entrambe le franchigie: per i Nets, sommando l’età media ai costi e alla grandiosità a doppio taglio del loro progetto, è now or never; per gli Heat potrebbe essere l’ultimo tango insieme dei LeBron boys.

Vorremmo fosse già maggio inoltrato per avere le risposte: ma volete mettere la bellezza di un’attesa lunga sette mesi e condita da messaggi e dichiarazioni di sfida dentro e fuori dal campo? Il sale della Nba: where rivarlies happen.

2 thoughts on “Brooklyn e Miami: amici mai

  1. citazione dopo citazione Filippo Ferraioli si conferma il numero uno dei Blogger nostrani..INAVVICINABILE per noi comuni mortali!

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