Cleveland è piena di talento giovane, ma quest'anno deve cominciare a vincere un cospicuo numero di partite...

Cleveland è piena di talento giovane, ma quest’anno deve cominciare a vincere un cospicuo numero di partite…

Corsi e ricorsi effettivi, corsi e ricorsi potenziali.

I Cleveland Cavaliers sono fermi ad un crocevia apparentemente paradossale: da una parte la fiducia nel roseo futuro, con  due primissime scelte (e due quarte assolute) in faretra, dall’altra il desiderio di ripercorrere i sentieri del passato nella scelta dell’allenatore e probabilmente non solo, il tutto contornato da un presente già gravido di giustificate (e mantenibili) aspettative.

Ma andiamo con ordine: la stagione 2012/13 è stata piuttosto contraddittoria nel suo sviluppo, perché, laddove fioccavano elogi per i vari talenti della squadra (Irving già un All-Star entusiasmante a 21 anni, Waiters rookie di personalità, Varejao sorprendente fino all’infortunio e così via), i risultati stentavano ad arrivare, anzi non arrivavano proprio, e il 24-58 finale non ha certo riscaldato molti ormai letargici cuori in Ohio (la Quicken Loans Arena ha concluso al ventiquattresimo posto per presenze).

La terza stagione dal bilancio pesantemente in rosso di successi è costata il posto, ça va sans dire, all’allenatore Byron Scott, colpevole di non aver saputo produrre risultati, e accusato di aver lasciato persino troppo campo libero ai giovani della squadra; nemmeno la scusante degli infortuni, campo dove il dazio pagato è stato molto ingente (Irving fuori 23 volte, Witers 21, Miles 17 e Varejao 57), ha potuto salvare l’ex coach di Nets e Hornets, colpevole in particolare di (non) aver impostato una difesa agghiacciante (venticinquesima nella media dei punti subiti e ventisettesima per quanto riguarda il rating).

Al suo posto non poteva che essere chiamato uno specialista della fase difensiva, e chi era il migliore sulla piazza se non quel Mike Brown licenziato tre anni fa dopo la sconfitta nelle Conference Semifinals?

Coach Brown, reduce dalla non trascendentale (…) parentesi di L.A., ha il compito non semplicissimo di restaurare l’identità della squadra e al contempo sviluppare il plotone di giovani ulteriormente arricchitosi nell’ultimo giugno; sì perché la dea bendata sembra penare per le sorti dei Cavs, deragliate pericolosamente verso le sponde del lago Erie, e ha perciò deciso di regalare a Cleveland la seconda pick numero 1 degli ultimi 3 Draft, pick che ha portato alla sorprendente scelta di Anthony Bennett, ala ventenne da UNLV.

Nativo dell’Ontario, Bennett non è ritenuto un talento epocale come può essere un Anthony Davis o un Greg Oden (di cui la deità sopracitata non è mai stata fan), ma piuttosto una eccellente power forward, ancorchè un filo sottodimensionata (2.03, controbilanciati però da 109 chili), in grado di imporsi nel giro di qualche stagione fra i migliori del ruolo, grazie alla verticalità, coadiuvata da un’apertura di 2.15, e ad una notevole work ethic che l’ha portato ad estendere sensibilmente il range di tiro nel giro di un solo anno di college (e Las Vegas è il miglior posto dove testare la serietà del proprio lavoro..).

Il Draft, nel quale è stato preso anche il tweener russo Karasev con la 19, non è stato l’unica fonte da cui il GM Chris Grant ha attinto per rimpinguare il roster: infatti il corollario di un progetto a lungo termine basato su un gran numero di Lottery Picks (leggi: tanking) è che il salary cap rimarrà sempre ampiamente sotto la soglia della Luxury Tax, conditio sine qua non in virtù sia delle nuove norme collettive in vigore dal prossimo anno, sia perché lo spazio libero nel payroll consente di approntare firme di rilievo in grado di rendere da subito i Cavs una squadra da playoff.

Earl Clark è una di queste: dopo la discreta annata in gialloviola (7 punti e 5.5 rimbalzi) sarà una presenza importante nelle rotazioni dei lunghi.

Poi c’è Jarrett Jack: reduce da una career season con i Warriors, vissuta da a quasi 13 di media conditi da 5.5 assist, con la ciliegina del terzo posto nel Sixth Man Award, è al momento il miglior back-up della Lega in regia assieme ad Andre Miller, e porta due qualità indispensabili per i nuovi Cavs: in primis la capacità di fare il portatore di palla in un sistema a doppio playmaker, cosa che ha permesso a Steph Curry (e ora consentirà ad Irving) di giocare sui blocchi senza doversi sempre sobbarcare il fardello di gestire la sfera; e poi la freddezza nei finali, infatti ad Oakland J.J. è sempre stato sul parquet “down the stretch”, come testimoniato dall’incremento di oltre 4 punti fra regular season e playoff, chiusi a 17.2 ad allacciata, crescendo rossiniano se ce n’è uno.

Dulcis in fundo, il gamble per eccellenza di questa off-season, l’archetipo della firma in bilico sul filo del rasoio di un bust colossale, ma con le carte in regola per tramutarsi in uno steal memorabile: si parla del “Philadelphia Phantom” Andrew Bynum, of course.

Solo due anni fa era ritenuto l’unico centro di ruolo in grado di rivaleggiare con Dwight Howard, grazie a un bagaglio tecnico vintage frutto del lavoro con Kareem, ma poi l’artrite alle ginocchia, le triple tentate in puro stile Manute Bol e altri comportamenti non professionali l’hanno lasciato a competere con DH12 solo per la palma di lungagnone-bambino più inviso al Mamba (fra l’altro la mosca al naso nei suoi confronti sembra essere l’unica cosa in grado di mettere d’accordo Kobe e Philadelphia).

L’anno di inattività in maglia Sixers ha lasciato tanti, troppi dubbi a molte franchigie in lizza per averlo, e anche il contratto datogli dai Cavs (25 milioni spalmati su 2 anni, ma solo 6 garantiti), ampiamente sotto il suo valore ipotetico, lascia pensare o che il potere di Andrew nella trattativa fosse molto basso, visto il probabile strato di ruggine adagiato sulle sue articolazioni, o che ci sia qualche liaison sconosciuta nel suo stato di salute tale da non consentirgli di tornare più ai livelli di un anno fa.

Francamente giudico un po’ prematuro mettere la parola fine ai suoi giorni ad altissimo livello quando deve ancora compiere 26 anni, e credo che in un modo o nell’altro i Cavs beneficeranno del suo arrivo, perché, anche se le sue ginocchia avessero la consistenza di una medusa spiaggiata, i mezzi tecnici e intimidatori permangono, anche se magari non per 35’ a sera.

Questi arrivi, oltre che fornire un contributo ingente da subito, hanno l’intento di realizzare ciò che un po’ in tutta la Lega è diventato Pulcinella’s Secret, ovvero il ritorno nel nativo Ohio della top model LeBron James; infatti dalla arcinota Decision  il poco lusinghiero computo delle vittorie totali dell’ultimo triennio è stato di…64, ovvero meno di quanto fatto dai Miami Heat nella sola ultima stagione, stagione in cui si è passati dal clamoroso bluff del proprietario Dan Gilbert (“Vi prometto che la mia Cleveland conquisterà dei titoli prima che questo cosiddetto, autoincoronato Prescelto riesca a vincerne uno”, e in effetti ha mantenuto la promessa, perché si era parlato di un solo titolo, e LBJ ne ha vinti, per ora, due…) ai cartelloni “Come back in ‘14”.  Sull’Erie si sarà forse letto a più riprese il capitolo de “L’arte della guerra” su come regolarsi con un nemico insormontabile?

Quest’ultima parentesi è per ora solo fantabasket, però, ed è più conveniente dedicarsi al presente, dove si rischia meno di farsi spezzare il cuore;diamo quindi un’occhiata al volto del roster ad oggi.

ROSTER

Guardie: Carrick Felix, Kyrie Irving (Team Captain), Jarrett Jack, C.J. Miles, Dion Waiters

Ali: Anthony Bennett, Earl Clark, Alonzo Gee, Sergey Karasev, Tristan Thompson

Centri: Andrew Bynum, Anderson Varejao, Tyler Zeller

NUOVI ARRIVI

Draft

Anthony Bennett, ala, UNLV, numero 1

Sergey Karasev, guardia-ala, Triumph Lyubertsy (Russia), numero 19 (dai Lakers)

Carrick Felix, guardia, Arizona State, numero 33

Free agents

Andrew Bynum, centro, biennale da 25 milioni con secondo anno a discrezione della squadra (6 milioni garantiti al primo anno)

Jarrett Jack, playmaker, quadriennale da 25 milioni (primi 3 anni garantiti)

Earl Clark, ala forte, biennale da 8.5 milioni con secondo anno a discrezione della squadra

PROBABILE QUINTETTO

Playmaker: Kyrie Irving

Guardia tiratrice: Dion Waiters

Centro: Andrew Bynum

Ala piccola: Alonzo Gee

Ala grande: Tristan Thompson

PREGI

Il primo punto di forza della squadra ha due nomi, un cognome e due nazionalità: Kyrie Andrew Irving.

L’australo-americano ha dimostrato in sole due stagioni la bontà della prima scelta spesa per lui, sopperendo a molti dei limiti comunque evidenti, in particolare atletismo e difesa, con una personalità incredibile (Uncle Drew uno di noi), un range di tiro esteso dal Manzanarre al Reno ed un ball-handling non di molto inferiore a quello di CP3.

Comprensibilissima ogni critica, dai troppi turnovers alla già citata difesa alla tendenza ad infortunarsi anche andando in bagno, ma la verità è che pochi a 21 anni sono andati oltre i 22 e 6 assist a partita, e se continua così non è impronosticabile un ingresso in tempi brevi nel gotha dei migliori.

Il secondo è la futuribilità: oltre all’oceanico, i Cavs dispongono di una delle migliori linee verdi del basket contemporaneo (gli unici sopra le 30 primavere sono Jack e Varejao); in particolare Waiters e Tristan Thompson sembrano pronti per il salto di qualità, fare gli starters in un team da playoff, soprattutto quest’ultimo (Waiters ha ancora la lieve tendenza a tirare tutto ciò che gli arriva ad ogni latitudine), ma anche Miles, Zeller (famiglia darwiniana, ogni fratello è più forte del precedente) e il già nominato Bennett costituiscono un nucleo importante.

Delle altre qualità si è già parlato, perché sono quelle acquisite durante la offseason: un coach di scuola Spurs in grado di dare una immediata solidità difensiva come Brown, una buona profondità di roster soprattutto in regia e nel reparto lunghi, perché molte squadre non hanno un Varejao in quintetto, figurarsi come sesto uomo, e infine qualche afflato di esperienza playoff in più, dal coach e dai veterani firmati in luglio (Bynum non è così avanti con gli anni, ma di anelli ne ha già due).

DIFETTI

Per la serie, ogni pregio è un’arma a doppio taglio, la giovinezza del gruppo può non essere necessariamente un bene nell’immediato; in effetti quasi nessuno gioca insieme da più di un paio d’anni, e quasi nessuno è mai andato in vacanza dopo la metà di aprile, perciò la tenuta mentale e la coesione del gruppo andranno testate quanto prima.

Per la serie, ogni pregio è un’arma a doppio taglio parte seconda, altre perplessità potrebbero sorgere proprio per l’assunzione di coach Brown, notoriamente non il Bobby Fisher del gioco offensivo, dove ha sempre lasciato le chiavi in mano alle star (James, Bryant) o agli assistenti (Messina uber alles), senza mai riuscire a creare sistemi di continuity stabili; vanno però sottolineati due fattori importanti che potrebbero aiutarlo negli schemi d’attacco: la presenza di Bynum, autore della propria miglior stagione sotto di lui nel 2011-12, e quella di due assistenti con esperienza da head coach come Bernie Bickerstaff e Jim Boylan, senza dubbio capaci di colmare eventuali lacune di fluidità (vedi isolamenti continui con gli altri quattro al bar).

Ma la più grande apprensione, l’unica che possa concretamente minacciare le ambizioni di questi Cavs, sarà l’infermeria.

Molti giocatori chiave hanno mostrato, nel recente passato, una certa fragilità fisica, come Irving, finora mai assente per meno di 15 partite a stagione (e si ricordi anche la frattura all’allucione dei tempi di Duke), come Varejao e come Bynum, sempre condizionato dall’artrite da maggio in poi (come testimoniato dai suoi numeri in costante declino nella post-season); bisognerà quindi cercare, nei limiti del possibile, di limitare i minutaggi e bilanciare gli sforzi, anche perché una squadra di prospettiva non ha necessariamente bisogno di spingere al massimo da subito.

PREVISIONE

Nella Eastern preannunciatasi oligarchica come Sparta, con 5 organici ampiamente sopra gli altri (Miami, Brooklyn, Chicago, Indy e NY), i Cleveland Cavaliers appaiono pronti a giocarsi il posto di “primi perieci” con i nuovi Pistons di Smith, Jennings e Datome, rispetto ai quali hanno sicuramente più incognite, ma anche un organico in grado di fare meglio fin da subito, grazie alla presenza del fenomeno Uncle Drew e ad una profondità superiore, e se l’intenzione è quella di riportare a casa il Prodigal One (o Chosen Son) di sicuro Dan Gilbert non vorrà provarci buttandosi in ginocchio sui ceci, ma anzi offrendo una formazione competitiva, cosa che in tutto e per tutto la sua Cleveland è; in un modo o nell’altro, non si vuole più essere “the mistake on the lake”.

43-45 vittorie, sesto posto a Est, terzo nella Central.

2 thoughts on “Cleveland Cavaliers: Preview

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