20130802-005610.jpgPer la seconda estate consecutiva i Mavs si sono affacciati al mercato dei free agents con grandi ambizioni, molte idee per permettere al loro grande capitano Dirk Nowitzki di lottare un’altra volta per l’anello, traguardo raggiunto solo (e inaspettatamente invero) nel 2011 dopo anni di delusioni e flop incredibili nella post season (la finale del 2006 gettata alle ortiche e l’upset successivo da parte dei Warriors rimangono ben scolpiti nella memoria).

A fronte di alte ambizioni e desideri di superstars da affiancare al tedesco non sono mai arrivati concretamente giocatori in grado di far competere nuovamente Dallas ai massimi livelli; segno forse che il vulcanico Mark Cuban (di gran lunga il proprietario più spassoso della lega) non crede più ciecamente nel progetto e attende il canto del cigno della sua stella?

La risposta è complicata: Nowitzki è vero che ormai ha trentacinque primavere sulle spalle e dei fastidiosi infortuni piuttosto ricorrenti negli ultimi tempi (l’ultima stagione è stato martoriato e raramente si è espresso ai suoi livelli di competenza), ma rimane un lungo atipico eccezionale ed unico nel panorama NBA, oltre che un leader imprescindibile.

Se Tim Duncan, di due anni più vecchio, è riuscito a giocare una stagione leggendaria (e molti lo davano per finito da un biennio…), perché non potrebbe riuscirci anche Dirk?

Ovviamente non potrà più costantemente essere ai livelli dei playoff 2011 o a quelli della stagione da MVP (e di tutte le notevolissime stagioni precedenti), però la differenza la potrà fare eccome, specie se supportato da un supporting cast di livello che gli alleggerisca le responsabilità offensive e le pressioni difensive (la difesa è sempre stata il tallone d’Achille del tedesco).

Purtroppo ora arrivano le note dolenti: il supporting cast dei Mavericks non è di livello tale – almeno sulla carta – da ambire oltre ad un posto (e pure non alto data la crescita esponenziale di franchigie come Rockets, Warriors, Pelicans e Kings) nella griglia dei playoff della sempre ultra-competitiva Western Conference.

La starting line-up è cambiata assai dallo scorso anno: sono infatti arrivati l’esperto play spagnolo Calderon (complimenti al manager per il contratto strappato!), la presunta seconda stella della squadra Monta Ellis (anch’egli con un ottimo contratto) e il centro veterano Dalembert; completano la squadra titolare Nowitzky e il sempreverde Marion.

Tra i cambi è stato rifirmata l’ala Brandan Wright, sono rimasti la promessa Crowder, il vecchio ma efficacissimo Vince Carter (autore lo scorso anno di una stagione più che positiva nel ruolo di sesto uomo), l’altro veterano Mike James e l’oggetto misterioso Beaubois.

Dai Cavaliers è arrivata la guardia tiratrice Ellington per aumentare la pericolosità dall’arco, per altro già assai buona (Calderon, Carter, Nowitzky e Ellis – se in serata – sono già delle garanzie).

Infine sono stati firmati due rookies: le due guardie Ledo (al secondo giro) e lo sfortunato Larkin (scelto alla diciottesima chiamata del primo giro), già alle prese con un brutto infortunio.

Come si può ben vedere il materiale in mano a coach Carlisle non consente voli pindarici: difensivamente la squadra rischia di subire eccessivamente disponendo nello starting five di ben tre difensori quanto meno rivedibili come Calderon, Ellis e lo stesso Nowitzki; d’altra parte Dalembert e soprattutto Marion sono buoni difensori sui lunghi avversari, ma i problemi quando si avranno di fronte piccoli come Westbrook, Curry ecc… sono facilmente immaginabili e dalla panchina latitano gli specialisti.

Anche in attacco la chimica non pare essere quella ideale: Ellis certamente innalza il potenziale offensivo della squadra, è un talento anarchico e se in serata difficilmente arrestabile, ma proprio il suo essere allergico a qualunque sistema e la sua frequente tendenza a sparare a salve anche se il tiro non entra, costituiscono ragionevoli dubbi sulla sua convivenza con Nowitzki e gli altri – in verità rari – attaccanti del roster.

Calderon è un regista di alto livello, passatore sublime, quindi dovrebbe consentire ottimi tiri alle due braccia armate dei Mavs, però, come detto, in difesa farà sempre pagare dazio; inoltre manca di un back up affidabile (Beaubois e James non lo sono).

Un altro quesito inquietante riguarda la salute di Nowitzki: se il tedesco dovesse infortunarsi ancora, chi lo sostituirà e chi potrà farne realmente le veci?

Probabilmente siamo alla fine di un’era gloriosa (pur potendosi fregiare di un solo storico titolo) e Cuban non intende più lavorare di dollari e fantasia per sognare una nuova rincorsa, forse veramente quasi tutti credono che il campione tedesco simbolo degli ultimi dieci anni dei Mavs sia arrivato al canto del cigno.

Tuttavia un ultimo giro di giostra se lo meriterebbe per tutto ciò che ha rappresentato per la città e per la NBA stessa, e allo stato attuale delle cose la proprietà non sembra orientata a concederglielo.

Nowitzki desidera terminare la sua carriera leggendaria a Dallas, ma Paul Pierce poco meno di un mese fa ci ha insegnato che le bandiere non esistono più, o, se esistono, non resistono al richiamo di un’ultima possibile corsa verso l’Olimpo del basket. Cuban mediti.

2 thoughts on “Il lento tramonto dell’era Dirk a Dallas

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