syev8Nell’NBA spesso si usa il termine “rebuilding”, ricostruzione, per indicare la volontà di una società nel voler rinnovare il proprio roster e le proprie ambizioni. Nel caso dei Boston Celtics però questa parola sembra quasi riduttiva, e così per racchiudere le operazioni di mercato messe in atto in questi giorni da Danny Ainge, trovo più adatto lo slogan “new deal”.

Un anno fa era finita un’era, quella degli original Big Three con la firma di Ray Allen per i Miami Heat. Il suo posto, tra i migliori del team, era stato preso da Rajon Rondo, formando così i new Big Three per tentare l’ultimo assalto al titolo. A distanza di dodici mesi, dopo una stagione deludente e un grave infortunio subito dal sopracitato play, l’era dei Big Three, e tutti i meravigliosi risultati che sono arrivati, deve essere definitivamente archiviata.

Si parlava da qualche anno di un possibile ringiovanimento in quel di Boston, ma nessuno si sarebbe aspettato un taglio così netto con il passato. Dall’ultima sirena delle Finals si sono rincorsi centinaia di rumors, c’è stata la trade bloccata da Stern in persona e poi, in dieci giorni, a cavallo tra fine giugno e luglio, si è arrivati ad una vera e propria rivoluzione.

Via Rivers, direzione Los Angeles, sponda Clippers. Via Garnett e capitan, the truth, Pierce, direzione Brooklyn. A Boston sono arrivate quattro prime scelte, distribuite nei prossimi 4/5 anni, Keith Bogans, MarShon Brooks, Kris Humphries, Kris Joseph e Gerald Wallace. Praticamente: giovani e contratti in scadenza.

A questo punto, prima di tuffarsi nella free agency, mancava solo un tassello, seppur fondamentale, per costruire i Celtics del new deal. Il nome dell’allenatore.

Anche in questo caso i rumors si sono susseguiti, tanti nomi sono stati accostati alla panchina della franchigia più vincente della Lega. Del Negro, Karl, Larranaga, solo per citarne alcuni. Alla fine il nome è stata una sorpresa per tutti, ma perfettamente in stile new deal.
Brad Stevens.

La prima domanda che si sono posti molte persone è stata: chi è Brad Stevens?

Brad Stevens è dottore in economia, laureato nel 1999 a DePeauw, college di Division III, dove ha anche giocato, e nel 2000/2001 ha iniziato a lavorare nel mondo della palla a spicchi. In quella stagione è entrato come volontario nello staff di Todd Lickliter, coach di Butler Univerisity.

Per inseguire il suo sogno, Stevens ha rinunciato al suo posto di lavoro in un’industria farmaceutica. L’ anno successivo ha assunto l’incarico di assistente a tempo pieno, ruolo che ha ricoperto fino al 2007, quando coach Lickliter ha lasciato la panchina dei Bulldogs per trasferirsi ad Iowa, e Stevens è diventato head Coach a Butler.

Da lì in poi la carriera di Brad Stevens è stata una continua scalata verso le vette della nazione. Alla guida di Butler ha conquistato quattro titoli della Horizon League, ma soprattutto è arrivato a giocarsi il titolo NCAA per due anni consecutivi, il 2010 e il 2011, prima squadra a riuscirci dopo i Florida Gators di Harford & Noah, vincenti in entrambe le occasioni.

Stevens nei suoi 6 anni da head coach in NCAA ha vinto 166 partite. Nessun allenatore, nella storia del college basketball a stelle e strisce, ha vinto così tanto nei primi 6 anni di carriera.

Quanto detto, però, non basta, a chi non ha seguito l’NCAA negli ultimi cinque anni, per comprendere l’importanza del lavoro svolto da Stevens alle porte di Indianapolis.

Ha portato un college piccolissimo, Butler, a competere con gli storici college americani. Si è fermato a due centimetri dal battere Duke e coach Krzyzewski nel 2010, con il tiro della vittoria di Godon Hayward (attualmente agli Utah Jazz) che è rimbalzato sul primo ferro. È riuscito, come si dice dall’altra parte dell’oceano, a mettere sulla mappa del basket Butler University.

Per far capire quali passi avanti hanno compiuto i Bulldogs con Stevens alla guida, basti pensare che cinque anni fa giocavano nella Horizon League, l’anno scorso hanno disputato il primo torneo della Atlantic 10, e la prossima stagione giocheranno nella famosa Big East.

Ma quel che rende Stevens uno dei migliori allenatori, almeno a livello collegiale, è aver raggiunto questi risultati con il lavoro in palestra, senza avere a disposizione il talento sul quale possono puntare le varie Kentucky, Duke, UCLA, North Carolina…

Sempre senza dimenticare che stiamo parlando di un uomo che a novembre compirà 37 anni (sarà l’allenatore più giovane della Lega). Ha un anno in meno di gente come Garnett, Nash e Ray Allen; e quando nel 1999 Tim Duncan e coach Pop alzavano al cielo il primo trofeo, aveva davanti a sè una brillante carriera come esperto finanziario.

Scendendo sul parquet, la caratteristica più importante delle squadre di coach Stevens è l’organizzazione, sia in fase offensiva sia, soprattutto, in quella difensiva. La mancanza di talento medio (tra i giocatori usciti da Butler solo Hayward sta avendo un’importante carriera a livello NBA, Mack ha giocato soprattutto in NBDL, mentre altri giocatori hanno trovato spazio in Europa, in squadre di seconda fascia) è compensata da tanta esecuzione, pressing che spesso si allunga a tutto campo, e ritmi piuttosto lenti per poter ragionare con calma.

Con l’approdo nell’NBA sicuramente lo stile di gioco di Brad Stevens dovrà adattarsi al livello superiore. Difficilmente sarà proponibile un pressing a tutto campo, se non in momenti particolari della partita; i ritmi non potranno essere troppo bassi, un po’ perchè il play di Boston è Rondo, un po’ perchè i ritmi NBA sono semplicemente più alti rispetto all’NCAA.

Vista così la situazione, l’ingaggio di Stevens da parte della dirigenza Celtics potrebbe sembrare un salto nel buio. Se qualcuno la pensa così, però, rischia di commettere un terribile errore.

Sicuramente l’ex allenatore di Butler necessiterà di un periodo di adattamento al livello superiore, ma quello che non cambia è il personaggio, l’etica lavorativa, il modo di approcciare al lavoro. Ed è per queste ragioni che Ainge ha individuato in Stevens l’uomo giusto dal quale ripartire, accogliendolo con queste parole:

Anche se giovane, io vedo in Brad un grande leader che guida le squadre con un carattere impeccabile e una grande etica lavorativa. Le sue squadre giocano sempre duro ed eseguono su entrambi i lati del campo”.

Fin’ora si è parlato del passato, dei suoi successi. Ma la ragione di questi successi, parte proprio dal modo di lavorare di Brad Stevens. A Butler era lui stesso a rivestire i panni del leader della squadra, trascinando in prima persona i suoi, non solo con indicazioni tattiche, ma anche mostrando un gran carattere.

Il prodotto di DePauw ha inoltre un innato amore per il gioco, trovando divertente le analisi post-partita e pre-partita, al fine di “trovare il giusto modo di risolvere il puzzle”. Nel suo studio del gioco si avvale di un gran numero di statistiche avanzate, definendole “il modo migliore per valutare il gioco da ogni angolo possibile”.

Inoltre Stevens è una persona molto fredda che riesce ad essere oggettiva in ogni situazione. Dopo la vittoria all’ultimo secondo della scorsa stagione contro Gonzaga, le sue parole sono state: “Se un ragazzo mette o meno un tiro, non può determinare chi siamo. Non ha effetto sulla valutazione della mia squadra. Non può determinare quanto fatto in stagione. Io sono una persona che valuta il tutto”.

Questo è probabilmente il miglior slogan per presentare Brad Stevens.
Un allenatore giovane, con grande personalità, che ama il gioco, ama studiarlo e trovare le migliori soluzioni possibili. Un allenatore che adesso dovrà rapportarsi con un mondo più grande, più difficile, con giocatori diversi.

Dopo la sua firma si è parlato di una possibile partenza di Rondo, o di un rapporto difficile vista la giovane età del neo-coach e l’ingombrante personalità del play, ma è stato lo stesso Stevens a togliere ogni dubbio: “Sono il primo tifoso di Rondo, ci siamo parlati ieri per telefono. Non vedo l’ora di incontrarlo di persona”.

Anche il numero 9 da parte sua ha dichiarato di “essere pronto e curioso di affrontare la prossima stagione”. Rondo affronterà per la prima volta da quando è in NBA una stagione da numero 1 assoluto in squadra.

Proprio lui, insieme a Stevens, è la base dalla quale a Boston voglio ripartire, per costruire una squadra in grado, nei giro di qualche anno, di poter innalzare il diciottesimo stendardo di Campioni al Boston Garden.

 

One thought on “Brad Stevens: il volto dei nuovi Celtics

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