LeBron James può alzare il trofeo di campione NBA e di MVP delle Finals, è la seconda volta consecutiva

LeBron James può alzare sollevato il trofeo di campione NBA e di MVP delle Finals, è la seconda volta consecutiva

Un quarto periodo per decidere un titolo NBA, anzi, pochi minuti e ancora tutto in bilico. I Miami Heat sono campioni NBA per la terza volta, la seconda consecutiva, 95-88 in gara 7 per il sigillo.

La storia si è decisa in due o tre possessi da entrambe le squadre nel finale di gara. Miami è avanti ma San Antonio si ostina a rientrare ad un possesso pieno di distanza o giù di lì, prima Ginobili con una tripla (+3 Heat a 4 minuti e 20), prontamente risposto da Battier dietro l’arco per il +6.

Sembra finita ma qui entra in scena Tim Duncan, nel bene e nel male, gli Spurs proveranno strenuamente fino in fondo ad annullare le distanze e il destino incombente.

Il caraibico segna in post basso come ai tempi belli, per di più subisce fallo e col tiro libero supplementare riporta tutto ad un solo possesso con 3 minuti sul cronometro.

Volata lunga, c’è Wade che taglia nel cuore dell’area, gli risponde incredibilmente Leonard da tre che accorcia a -2 con due minuti ancora da giocare.

La tripla del più costante quanto improbabile eroe dei texani sembra un segnale, per la terza volta in due minuti un gioco da tre punti di San Antonio nega l’allungo decisivo per il titolo ai padroni di casa.

Sarà però l’ultimo fuoco, sempre con Leonard, sempre e ancor di più con Duncan. Green ha la febbre, Parker per la prima volta nelle Finals sembra realmente fuori gioco per il bicipite femorale, Ginobili balla pericolosamente sul filo tra grandi fiammate e banalissimi errori.

Siamo ormai entrati nell’ultimo minuto, +2 Miami, gara 7 scorre veloce dopo tre quarti in cui hanno dominato le difese e la fatica, serviti solo a preannunciare il finale di ogni finale.

Kawhi Leonard si prende una tripla senza senso, non va, è il manifesto di giocate ormai che hanno perso ogni rigor di logica, Miami però non punisce, non si segna più, si continua trascinati dal peso del pallone e dalla stanchezza.

Ecco di nuovo Duncan, la stagione è sulle sue spalle ed in momenti come questo è giusto così. In post basso, ancora ottimo movimento, va per il layup ma sbaglia.

Non solo, prova il rimbalzo offensivo in tap in, ancora un errore, i secondi scorrono e Miami interrompe il gioco col timeout con 42 sul cronometro. Il potenziale pareggio si perde in quel doppio tentativo a vuoto e con esso ogni speranza.

Qui c’è la doppia fotografia di gara 7 e di tutte le NBA Finals 2013. Duncan che sbaglia, Duncan che ci riprova a rimbalzo ma sbaglia di nuovo, poi incredibilmente impreca sbattendo la mani sul parquet.

Non lo si era mai visto così in tutta la carriera, mai un’emozione del genere, mai così platealmente. Capisce che i suoi sogni di gloria stanno andando a sbattere contro il muro e capisce di aver tradito con quel doppio errore i compagni, con due canestri facilissimi, falliti nello stupore di tutti e suo per primo.

Aveva in mente qualcos’altro ed è stato proprio lui a buttare via tutto, anche un ragazzo come lui non può che reagire così, non può che avvertire il pericolo che sta arrivando, che sta arrivando la fine.

LeBron ha inciso nel marmo il quarto periodo con grandi giocate, preciso dal campo come non mai, va in palleggio arresto e tiro, canestro, è il dagger per il titolo, +4 e 27 secondi.

Ginobili ha ancora la forza di provarci ma è la disperazione di una trappola sulla linea di fondo, la butta via direttamente nelle mani di LeBron, proprio lui, l’MVP che finalmente si risolleva da un incubo.

It’s all over. Miami Heat campioni NBA, il pubblico indegno esulta, David Stern si prepara alla sua ultima cerimonia da commissioner.

Il ricordo è a gara 6, a quei momenti di fine quarto periodo, a quella tripla di Ray Allen. E’ lì che si sono decise realmente queste NBA Finals.

Gara 7 ha avuto nettamente un padrone quando dopo tre quarti si è risolto il giallo folle di questo giugno NBA mai così spettacolare, a modo suo.

Il quarto periodo di ieri notte ha premiato chi aveva più gambe, era prevedibile, tanto che non ci si aspettava l’ultima reazione di San Antonio, ovvero quei tre giochi da tre di Ginobili, Leonard e Duncan che ci hanno regalato un finale punto a punto quanto imprevisto quanto a suo modo scontato.

La difesa di Miami è stata troppo aggressiva, di contro l’attacco di Popovich non solo si è confermato poco atletico ma si è rivelato scarso per lucidità e per scelte.

Hanno provato a restare aggrappati alla partita più con i nervi che con la testa, non che sia stato diverso dall’altra parte ma allora in questi termini Miami è sempre stata favorita perchè ha più talento dei suoi singoli.

Wade in one on one, LeBron col jumper, gara 7 è stata risolta fuori da ogni schema, con l’indicatore della benzina in rosso.

Gli Heat però giocavano in casa e negli ultimi possessi si sono difesi dagli ultimi dignitosissimi fuochi degli Spurs.

Alla lunga hanno vinto i più forti e l’ultimo atto di queste Finals, con i protagonisti stremati da una gara 6 in overtime con un solo giorno di riposo, è stato anche generoso.

Merito dell’orgoglio smisurato di San Antonio ma alle 6 del mattino italiano LeBron può di nuovo alzare con una mano il trofeo di campione NBA, con l’altra quello di MVP delle Finals.

Ci possiamo dividere su tutto ma ci sono alcune verità che non sono tema di dibattimento. San Antonio esce a testa alta, ha fatto anche più di quello che legittimamente ci si poteva aspettare.

Di più, LeBron firma la sua gara 7, il suo jumper è lì per rimanere tra le pagine della storia NBA, significa back to back, significa che ha inciso nella gara decisiva senza nessuna ambiguità, dominante su due lati del campo e su ogni aspetto del gioco.

Wade lo ha ben sostenuto ma questa gara 7 è sua, c’è anche Battier, c’è Chalmers, non si vince mai da soli, ma non serve nessun atto eroico di Ray Allen, l’allungo lo ha costruito soprattutto lui prima di ritornare in scena a scacciare definitivamente quei tre giochi da tre e tutte le ostilità ad oltranza degli avversari.

Duncan impreca, LeBron col jumper del +4, rimarranno queste immagini, la prima sorprendente l’altra attesa, addirittura pretesa, e c’è solo da meravigliarsi per delle NBA Finals bellissime, pazze ma divertentissime.

Ci sarà tempo per fare opportuni paragoni, Finals grandiose come quelle del 2010 o del 1998 o quelle con Magic e Larry, LeBron come Michael (dopo 10 stagioni 4-3 come MVP ma 2-3 come titoli NBA) e via dicendo.

Per il momento c’è solo da inchinarsi al cospetto di chi comanda in questa lega, senza discussioni, gara 7 ne è la prova.

In questi anni ’10 del Terzo Millennio si inizia con Kobe ma poi c’è sempre lui, nel 2011 si infrange contro Nowitzki, nel 2012 zittisce Durant e ora scaccia lontano la dinastia dispari degli Spurs che volevano regalarsi una gratificante liquidazione in tarda età.

No, l’età è la sua e per quello che più conta è ancora nel pieno del suo corso, anche se due gare 7 contro Pacers e Spurs potrebbero lo stesso aver rotto gli equilibri interni.

Quindi non parlo di Miami, parlo solo dell’MVP. Che resti o vada via, non credo comunque l’anno prossimo, viviamo in piena generazione LeBron, passa tutto dalla sue mani.

A fine gara era più sollevato che trionfante, del resto è stato ad un passo dal fallimento più totale e dopo 7 gare dall’andamento altalenante ha chiuso in crescendo, quando più contava.

Quel canestro è solo la firma in calce ad un documento che aveva già scritto, poi corretto, poi sporcato, poi di nuovo corretto ma poi finalmente mandato in stampa.

Back to back, saluti a tutti.

 

Dwyane Wade rende l'onore delle armi ad un Tim Duncan sconsolato per il doppio errore del potenziale pareggio

Dwyane Wade rende l’onore delle armi ad un Tim Duncan sconsolato per il doppio errore del potenziale pareggio

SAN ANTONIO SPURS

Tony Parker : si spegne sul più bello, la sua faccia racconta tutta la fatica, anche al di là dell’infortunio. 10 pts e 4 ast, ha un’alibi grande come una casa come le due ultime in trasferta dei suoi e come l’età degli altri Big Three che su serie lunga ha fatto la differenza. 5

Manu Ginobili : la bilancia di gara 7 traballa, ci sono 4 perse (anche nel finale compresa l’ultima azione) ma 18 pts e 5 ast con quella tripla che poteva significare ben altro. Ci prova sempre, questo è un merito, ma ormai dobbiamo dolorosamente registrare che ha perso più di un passo, peccato, e non sarà certo lui a lamentarsi in eterno per quel non-fischio di gara 6. 6

Danny Green : la febbre lo limita a 5 punti, 1-5 da tre, 1-12 dal campo, San Antonio perde le ultime due anche perchè la sua grazia è finita e con essa delle percentuali onestamente irreali fino a tutta gara 5. 4

Kawhi Leonard : 7 gare e 7 prove più che positive, mai una sbavatura e mai un giro a vuoto. Ieri notte ci sono 19 punti e 16 rimbalzi, 8-17 dal campo, c’è quella tripla forzata ma prima ne aveva anche segnata un’altra incredibile, non si può chiedere di più ad un ragazzo che con queste Finals si è messo clamorosamente sulla mappa delle star emergenti di tutta la NBA. 8,5

Tim Duncan : voleva chiudere la carriera decidendo gara 7 e un titolo, ora forse è costretto a restare in gioco, magari in una squadra del tutto ristrutturata. 24 punti, 12 rimbalzi, gara 6 cancella il suo primo tempo d’annata, gara 7 quel gioco da tre punti e tanta altra roba, poi però c’è quel layup facile e conseguente rimbalzo offensivo, un pareggio mancato che ha provocato quella inedita reazione a gara in corso in segno di disperazione. 7,5

Gary Neal : cancella Ray Allen dal campo ma non è un fattore dall’altra parte, 5 punti, 1-3 da tre, vedi alla voce Green, il calo delle ultime due gare corre in parallelo con quello di tutta la squadra, al di là degli episodi. 5,5

 

Tony Parker limitato dall'infortunio contro Wade in supporto di LeBron per il back to to back di Miami

Tony Parker limitato dall’infortunio contro Wade, corso in supporto di LeBron per il back to to back di Miami

MIAMI HEAT

Mario Chalmers : 14 punti, 2 assist, 2 recuperi, 6-15 dal campo, 1-7 da tre, appena sufficiente per caricarsi di grandi responsabilità, c’è anche una tripla di tabella sullo scadere del terzo periodo, il cuore e il coraggio da quel titolo NCAA non gli sono mai mancati. 6,5

Dwyane Wade : per Miami è stata quasi la partita perfetta e si potrebbe dire finalmente ! LeBron fa il primattore, il ragazzo del South Side di Chicago lo accompagna degnamente dall’inizio alla fine. Si prende tiri in isolamento, difficili e con poco ritmo, ma ieri notte ha ragione lui, gli entra quasi tutto. 23 punti e 10 rimbalzi, 11-21 dal campo, una gara 7 senza tirarsi indietro, se LeBron firma lui controfirma, è il garante del buon funzionamento del sistema. 8

Mike Miller : altro clamoroso giro a vuoto, altra vittoria partendo dal quintetto senza nessun contributo offensivo. 19 minuti in bianco, 0-4 da tre, ieri notte è stato il turno di Battier. 4

LeBron James : peccato per gli assist, fermi a quota 4, per il resto ci sono 37 punti ben costruiti sull’arco dell’intera partita, 12 rimbalzi, 12-23 dal campo, 8-8 ai liberi e 2 recuperi. La novità è il 5-10 da tre, ha giocato una gara 7 da campione, da chi non poteva fare altro che questo per costruirsi la propria leggenda. La verità è che dopo 5 gare ambigue ha alzato il volume in gara 6 e in gara 7, meritandosi ampiamente di essere MVP delle Finals. Una gara 7 “for the ages”, il dagger del +4 non è il regalo del destino ma la sua conquista, questo titolo è suo e non ci sono discussioni in merito. 9,5

Chris Bosh : dopo il suo impatto di gara 6 si spegne in attacco, concede a Duncan qualcosa nel quarto periodo, finisce con una virgola ai punti e 7 rimbalzi una serie difficile, con una grande difesa ma con quasi niente da terza gamba dei Big Three sul lato offensivo. 5

Shane Battier : dai garbage time con Tracy McGrady dove sorrideva amaro e sprezzante ad una gara 7 da 6-8 da tre, decisivo nel quarto periodo come non succedeva da tanto tempo. 8

 

Era il 28 marzo, LeBron e gli Heat perdono contro i Chicago Bulls, la striscia di vittorie consecutive si ferma a 27.

Quando ho visto entrare LeBron sul campo dello United Center ho visto un ragazzo, ancora una volta, che cercava di maneggiare una pressione che mai nessuno ha avuto nella storia di questo gioco, fin da quando era junior alla high school poi a Cleveland e da lì a Miami.

Partirei da qui, possiamo divagare sul paragone con Michael Jordan, possiamo divagare su chi sia “The Greatest”, su tutto, ma non sul fatto che abbia vinto le Finals 2013 nelle ultime due gare e ancora su come sia fin da ragazzino solo contro il mondo.

Non ha la possibilità di vincere, “deve” vincere. Quella striscia di vittorie non contava niente, non contano gli elogi e non contano le critiche, può essere serio o sbruffone, passare o tirare, alla fine conta solo che vinca.

Che vinca essendo decisivo. Questa è la sua legacy quest’anno, non può permettersi di fallire e non lo ha fatto.

Lo sforiamo tutti per mano, lui gioca un’altra partita, ben più grande, da quando entrò nella NBA ed era già definito il migliore in quel momento, da rookie, anzi da prima, da liceale minorenne.

Due titoli, la corsa continua. Una striscia di anelli che comincia, un’altra che lega il mondo intero al suo nome, nel bene e nel male, ma da ieri con un altro mattone per edificare compiutamente gli argomenti in suo favore.

 

3 thoughts on “NBA Finals Gara 7, LeBron ci mette la firma e i Miami Heat sono di nuovo campioni NBA

  1. sì, un po’ più lungo lo potevate scrivere l’articolo. E’ scritto bene, ma come si presenta è illeggibile Spezzatelo in paragrafi, mettete dei titoletti, così è solo confusione.

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