pic-18392-spurs-heat-game3-webÈ una notte come tutte le altre notti, è una notte con qualcosa di speciale. Parole e musica di Lorenzo Jovanotti per introdurre il terzo atto delle NBA Finals 2013, nell’ultima partita in terra texana prima di volare di nuovo a Miami per scrivere i capitoli conclusivi di una finale più incerta che mai.

Miami si ripresenta decisamente piccola con Mike Miller in quintetto, coach Popovich accantona il dogma old school dei due lunghi e si adegua schierando titolare Manu Ginobili, che diventa il primo giocatore dal 1999 a partire in quintetto in una gara di finale dopo essere sempre uscito dalla panchina in stagione regolare e nelle altre serie di playoff (l’ultimo a farlo fu Marcus Camby di New York nella finale persa proprio contro gli Spurs).

È partita più che mai decisiva: la difesa dell’Alamo per gli Spurs vorrebbe dire assicurarsi quantomeno gara 7, mentre un successo ospite indirizzerebbe con decisione il titolo verso South Beach.

È proprio Ginobili, dopo le mille difficoltà patite in gara 4, ad aprire la contesa con una tripla dal palleggio che sa tanto di iniezione di fiducia; Wade risponde con due tiri liberi, e la partita diventa una staffetta dal ritmo e intensità micidiali.

Entrambe le squadre corrono e non si fanno problemi ad attaccare nei primissimi secondi dell’azione, con gli Spurs che si adeguano al ritmo degli Heat con ottimi risultati.

Green si iscrive subito al tabellino con due punti, Duncan e ancora Ginobili partono in grande spolvero con l’argentino che detta i tempi del gioco e un Parker molto in sordina che sembra voler amministrare le relative risorse rimaste nel serbatoio e in quel flessore che, parole sue, potrebbe strapparsi da un momento all’altro.

La partita vive un sostanziale equilibrio, con i padroni di casa che eseguono alla grande in attacco e gli ospiti che sfruttano al meglio ogni indecisione avversaria per mangiare in campo e segnare in transizione.

Dopo un gran canestro di Duncan, che si gira sul perno e appoggia al vetro a una mano, arriva una tripla dalla punta di LeBron che pareggia i conti a quota 17.

Un ottimo Ginobili va a sedersi in panchina, e dopo una prima parte al piccolo trotto Tony Parker si mette in partita: il franco-belga catalizza l’attacco degli Spurs mettendo in imbarazzo Norris Cole, conosciuto come difensore efficace ma che non trova la minima risposta alle giocate del moschettiere transalpino, caricato anche dalla presenza in tribuna dell’amico Thierry Henry.

Parker trova un’ottima spalla in Neal, che segna in palleggio, arresto e tiro, e in Leonard che riceve un’invenzione di Diaw e schiaccia centralmente: 29-17 San Antonio e parziale di 12-0 dei bianconeri texani, che tirano con un irreale 63% dal campo (contro appena il 29% ospite).

Ray Allen attacca il pitturato e segna una morbida conclusione che ferma l’emorragia, ma lo strappo viene ulteriormente allargato da Ice Man Leaonard, che si alza dall’angolo e muove la retina per la tripla che di fatto chiude il primo quarto: 32-19, pazzesco primo quarto per San Antonio che mangia gli Heat con corsa e esecuzioni nei primi secondi del possesso, il terreno prediletto degli uomini della Florida.

Shane Battier apre il secondo periodo con la tripla dall’angolo, ma San Antonio monta ancora e sembra non volere chiudere il parziale avviato nel primo quarto: Ginobili accelera e fa segnare uno Splitter che appare un po’ più convinto dopo i disastri delle ultime uscite, Leonard conduce il contropiede centrale a tutta velocità e segna altri due punti.

Bosh prova a dare una sferzata ai suoi con due liberi e un paio di tap-in con presenza a rimbalzo offensivo, ma in sala è arrivato il chirurgo col numero 4: Danny Green opera con mano calda e ferma, segnando tre triple in fila prima concludendo una grande circolazione di palla, poi ricevendo in angolo un cioccolatino di Ginobili (quinto assist per il maitre argentino) e infine battendo un competentissimo recupero di Ray Allen.

La tripla segnata in faccia a “He Got Game” profuma di passaggio di consegne: si tratta della ventiduesima (avete letto bene, 22) tripla della serie finale per Green, che eguaglia il record stabilito proprio dall’ex Celtics nelle vittoriose Finals del 2008 contro i Lakers.

Gli Spurs volano sul +17 (45-28), ma appena tirano il fiato gli uomini in nero sono in agguato: Wade prima batte Duncan e poi segna dopo il rimbalzo in attacco, Bosh è fortunato e beneficia di un auto-canestro con deviazione di Leonard, James schiaccia in contropiede e Allen segna da tre e perfeziona il gioco da quattro punto complice il fallo di Parker.

Miami torna a -7 (47-40) con un parziale micidiale e continua a martellare sulle ali di un LeBron magnifico, che si prende l’uno contro uno con la sicurezza dei forti, alternando giocate fronte a canestro da guardia a movimenti in post da centro puro.

Spurs adesso in difficoltà, con Leonard e Green costretti entrambi a spendere il loro secondo fallo personale; Duncan però non ci sta, e con due canestri importanti al centro dell’area mantiene i suoi con la testa fuori dall’acqua, restituendo sicurezza alla squadra.

Ginobili converte tre liberi per fallo di Battier, che risponde dall’altro lato del campo con una tripla a bersaglio; negli ultimi possessi torna a salire in cattedra Parker, con il professore francese che prima inventa il floater sopra la testa di Battier e poi, dopo uno splendido canestro a una mano dal palleggio di Wade, brucia cronometro e difesa ospite per l’appoggio in rovesciata al tramonto del primo tempo, che si chiude con gli Spurs in vantaggio per 61-52.

Irreale performance offensiva per gli uomini di coach Popovich, che chiudono i primi 24 minuti di gioco tirando col 61,8% dal campo; fare tanti punti in un tempo a una difesa come quella degli Heat è impresa rara, e per questo motivo i “soli” nove punti di vantaggio accumulati sono un bottino quasi misero per i texani, e un ottimo segnale invece per gli ospiti, che tirano con 42% ma sono a un tiro di schioppo dagli avversari.

San Antonio manda ben quattro giocatori in doppia cifra all’intervallo, con Duncan e Green a quota 13 punti (anche 6 rimbalzi per il caraibico) e un redivivo Ginobili e Parker che seguono a ruota con 11 punti a testa (6 assist per l’argentino); Leonard registra 9 punti (4-5 al tiro) con l’aggiunta di 5 rimbalzi. Gli Heat restano in partita grazie ai loro Big 3, con James che guida con 16 punti, Wade che insegue a quota 14 (e 6 assist) e Bosh che fa la sua parte con 10 punti e 5 rimbalzi; 6 punti a testa dalla panchina per Allen e Battier.

Primo tempo di rara intensità: riusciranno gli Spurs a tenere il ritmo per tutti e 48 i minuti o alla lunga verrà fuori la maggior fisicità di Miami?

LeBron rientra in campo con la faccia di uno che ha tutta l’intenzione di andare ad aggredire la partita: ed è proprio quello che succede nei primissimi possessi della ripresa, col numero 6 in maglia nera che sfrutta due palle perse consecutive degli Spurs e segna e fa segnare Chalmers. 61-59, Miami a -2 e tutto da rifare per gli uomini di coach Pop.

Gli ospiti sentono l’odore del sangue e sono pronti ad azzannare l’avversario, ma i progetti dei texani sono ben diversi: Parker si appoggia al vetro dopo una virata degna di un America’s Cup e Green rimette luce tra le due squadre col tiro da tre che gli vale il record di triple in una finale NBA (23 “and counting”).

Ginobili ha lasciato a casa suo cugino ed è finalmente venuto a giocare e va al ferro battendo di pura classe la difesa di Bosh: è di nuovo +9 Spurs, ma gli Heat accorciano in un amen con Bosh, una tripla fortunosa di Chalmers e un jumper dalla media di Wade ben servito da James.

Leonard commette il terzo fallo personale, e gli ospiti hanno due ghiottissime occasioni in contropiede, che però vengono fallite malamente prima da Wade e poi da James, complice anche un gran rientro difensivo di Green. Parker prova a spezzare un equilibrio che pare infrangibile, perché Miami ricuce subito il break e con l’ennesimo tiro dal palleggio di Wade e un libero di Battier si porta addirittura a -1 (75-74).

Gli Heat fiutano di nuovo il sorpasso, ma anche stavolta San Antonio esce dalle corde e lo fa con la potenza di un montante del Mike Tyson dei tempi che furono: Green si alza da nove metri, confermando di avere un tocco celestiale ma anche di disporre di due discreti attributi sotto la cintura, Ginobili batte Allen dal palleggio e porta a casa un gioco da tre punti dalla linea di fondo; il mancino di Bahia Blanca imperversa sul malcapitato Cole e inventa prima con la mano sinistra, poi servendo in maniera sublime Splitter e infine buttandosi dentro e chiudendo al vetro, di destro, per il canestro che chiude il terzo quarto.

Gli Spurs sembravano contati in piedi, ma il fuoriclasse argentino ha buttato il cuore oltre l’ostacolo e ha guidato i suoi a un parziale pazzesco: 87-75 Spurs, dodici minuti per difendere il vantaggio e volare in Florida sul 3-2 nella serie.

Miami accusa il colpo, e nei primi possessi del quarto periodo cade in ginocchio sotto i colpi avversari: Ginobili gira sul blocco e segna a una mano, Leonard battezza la sua mattonella e non sbaglia con la tripla dall’angolo, Duncan spadroneggia a centro area e segna col tap-in al volo. 94-75 Spurs, parziale di proporzioni bibliche per gli uomini in bianco e nero.

Miami beve dall’idrante, e oltre a essere sommersa dall’attacco avversario non trova più la via del canestro, con un’area affollata col traffico dell’ora di punta che non permette loro di andare al ferro come vorrebbero.

Spoelstra allora si gioca le ultime carte e manda in campo Miller (che, per inciso, da quando è partito in quintetto non la mette neanche in una vasca da bagno); il buon Mike non lascia tracce, ma il principale beneficiario del nuovo, piccolissimo quintetto ospite è Ray Allen, felpato nei movimenti e sontuoso dall’arco come nei giorni belli.

Sugar Ray segna un altro gioco da quattro punti, e dopo un canestro in corsa di Re Mida Green trova l’ennesima tripla con una piuma dall’angolo che sfiora appena la retina.

Il parziale degli Heat è chiuso da Bosh, che finta e schiaccia portando i suoi sul -13 (98-85). San Antonio si affida ai grandi vecchi, che rispondono presenti e mantengono il margine di sicurezza ideale per non dare fiducia alla rimonta ospite: Duncan si appoggia al vetro, Ginobili sfida James in uno contro uno e lo batte con un favoloso canestro in step back, Parker segna due liberi e poi è mirabolante su Wade, lasciando a bocca aperta con un gancio in corsa che più che un canestro sembra una pennellata rapida degna del miglior Monet.

Gli Spurs tornano a controllare sul 107-89, ma un gioco da tre punti a testa per Allen e James (con in mezzo un’altra magia del franco-belga che si beve Miller e va al ferro) e una tripla del solito Ray riportano Miami sul 109-98.

Allen segna ancora in backdoor portando i suoi sotto la doppia cifra di svantaggio, Wade fa uno su due ai liberi e allora Parker può completare il suo capolavoro impressionista dipingendo l’ennesimo tocco morbido al vetro, prima che Green chiuda per giustizia divina la contesa con la coltellata dall’angolo in transizione.

Finisce 114-104, un risultato che riesce persino a strappare un sorriso alla sfinge di coach Popovich. Chi di small ball ferisce di small ball perisce, verrebbe da dire parafrasando un vecchio adagio: San Antonio si adegua alle condizioni degli Heat battendoli sul loro terreno grazie ad una magistrale prestazione offensiva.

Tirare col 60% dal campo, in una gara 5 di finale, è impresa titanica considerato anche la conclamata abilità difensiva della squadra di coach Spoelstra, e gli Spurs ci sono riusciti gestendo meravigliosamente uomini e possessi.

Si aspettava una risposta dei tre fuoriclasse in bianconero, e il messaggio è arrivato forte e chiaro: Tony Parker, quello che gioca con un flessore appeso a una manciata di fibre muscolari, evita di commettere l’errore della partita precedente (un primo tempo eroico e una ripresa a serbatoio vuoto) e gestisce le energie in modo impeccabile, venendo fuori nel momento cruciale e finendo da top scorer a quota 26 punti, Duncan ruggisce come un tempo e chiude con la doppia-doppia da 17 punti e 12 rimbalzi, mentre Manu Ginobili si fa ammirare con gli antichi bagliori di una classe che, inevitabilmente, non invecchia mai e regala una partita da gustare come un Porto d’annata coi suoi 24 punti e 10 assist.

La risposta ospite pecca di un ingranaggio del trio, quello che in teoria dovrebbe essere il pezzo portante del sistema: LeBron James mette a referto 25 punti, 8 assist, 6 rimbalzi e 4 rubate, ma il suo 8-22 al tiro e un paio di errori in campo aperto in un momento cruciale del match pesano tantissimo nell’economia della partita degli Heat.

Wade replica l’ottima prova di gara 4 e chiude con 25 punti (10-22 al tiro) e 10 assist, mentre Bosh resta un po’ ai margini ma chiude comunque con 16 punti (7-11 al tiro) e 6 rimbalzi.

Ray Allen dà un ottimo apporto dalla panchina (21 punti, 7-10 al tiro e 4-4 da tre) con flash di un passato neppure troppo lontano; ma qui entra in gioco un’altra storia, un passaggio di consegne con una sceneggiatura da film. Danny Green, ex giocatore  pluri-tagliato e snobbato da mezzo mondo della palla a spicchi, continua a scrivere la sua favola a suon di triple (6-10 stasera), superando proprio Allen e andando a firmare il record assoluto delle Finals.

I suoi 24 punti (e 6 rimbalzi) si aggiungono a quelli di un altro ragazzo che a testa bassa e con poche parole si sta costruendo un sogno da vivere a occhi aperti: Kahwi Leonard, oggi meno Piovra e più Ice Man del solito, segna 16 punti (6-8 al tiro) con 8 rimbalzi e 3 palle rubate che sanciscono il suo ruolo di fattore bi-laterale (nel senso di attacco e difesa) della serie.

Gli Spurs trovano la miseria di 7 punti dalla panchina; ma quando hai un quintetto che ne mette a segno 107 si tratta di un dettaglio che tende a passare in secondo piano.

Gli Spurs difendono il proprio campo e fanno il proprio dovere, se così si può chiamare annichilire offensivamente una squadra del calibro di questi Heat, portando a casa il punto che vale il 3-2 nella serie.

Queste Finals continuano ad avere un andamento folle e avvincente, con i padroni di casa che dopo la batosta di gara 4 fanno la voce grossa e si prendono il successo di prepotenza.

La sicurezza nei propri mezzi con la quale hanno reagito ai tentativi di rimonta degli ospiti, che per due volte sembravano pronti al sorpasso ma sono stati prontamente ricacciati indietro, sono un’importante dose di autostima e un messaggio chiaro agli avversari: San Antonio c’è e vuol giocarsela fino in fondo.

Gli Heat invece falliscono la partita che, in caso di vittoria, li avrebbe portati davvero a un passo dalla conquista del secondo anello consecutivo: battuti col quintetto piccolo scelto come arma estrema prima di gara 4, LeBron e soci adesso dovranno vincere due partite consecutive tra le mura amiche (impresa che non riesce loro dall’inizio della serie contro i Pacers) per alzare al cielo il Larry O’Brien Trophy.

Il quinto atto va agli archivi, e dalla prossima il trofeo sarà fisicamente in palio: il tempo dei bluff è finito, adesso si va all-in e si girano le carte che diranno chi ne avrà di più.

Ci vediamo martedi, si torna alla “Triple A”: sono previste alte temperature in quel di South Beach.

4 thoughts on “San Antonio d’altri tempi, si va a Miami sul 3-2 Spurs

  1. Serie super e Manu vs Allen sembra che sia lo snodo decisivo di queste ultime partite. Due grandi che mostrano il loro valore nella parte declinante della loro splendida carriera. I giocatori sono all’altezza e i coach sono costretti ad usare tutta l’intelligenza cestistica che hanno per provare a vincere. E chiunque vincerà potrà dire di essere davvero super.

  2. La citazione su Marcus Camby e’ da Enciclopedia del Basket,l’articolo quasi più avvincente della partita!!!

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