Dwyane Wade risponde presente per eliminare i Bulls, ora Pacers o Knicks servirà senza interruzioni anche il suo contributo

Dwyane Wade risponde presente per eliminare i Bulls, ora contro Pacers o Knicks servirà senza interruzioni anche il suo contributo

La resa dei conti: il ritorno della serie all’American Airlines Arena di Miami coincide con il primo match ball per i padroni di casa, che cercano tra le mura amiche il punto decisivo per portare a casa la qualificazione alla finale della Eastern Conference; per farlo dovranno avere la meglio per la quarta gara consecutiva dei Chicago Bulls che, dopo aver venduto carissima la pelle e aver compiuto più di una impresa con un roster ridotto ai minimi termini, appaiono sfiniti e ormai alle corde.

I quintetti titolari sono confermati e il match può iniziare con un monologo dei padroni di casa: Chicago sembra avere due o tre marce in meno rispetto agli Heat, e coach Thibodeau si vede costretto a chiamare il primo time-out dopo un 6-0 concesso dai suoi nei primi tre possessi del match.

Il rientro in campo non cambia lo stato delle cose, che anzi peggiorano e prendono una piega apocalittica per gli ospiti: Miami esegue con una fluidità disarmante, abusando della difesa dei malcapitati avversari e imperversando con un James divino che mette la firma praticamente in ogni azione su entrambi i lati del campo.

Gli Heat sono avanti 22-4 e i Bulls sono come un pugile al tappeto, in attesa del conteggio dell’arbitro; il k.o. è ad un passo, partita e serie sembrano chiuse a doppia mandata nella cassaforte di LeBron e soci. Nel time-out chiamato da coach Thibodeau, un Nate Robinson con già due falli a carico sprona la squadra e chiede di rientrare: l’esempio del numero 2 carica i compagni, e Boozer e Butler provano e imbracciare di nuovo le armi e un pò d’orgoglio, riducendo con sei punti in fila il distacco a proporzioni quantomeno non umilianti. James vola a inchiodare un alley-hoop di Bosh e converte anche due liberi, ma ancora Boozer continua a vestire gli inusuali panni del trascinatore e segna con continuità e varietà di soluzioni.

Chicago ha abbandonato il pick&roll per manifesta superiorità della difesa avversaria, e con l’ennesima carta che non ti aspetti rappresentata dall’ingresso in campo di Rip Hamilton si gioca forse l’ultimo jolly estratto dall’esiguo mazzo a disposizione; l’uomo mascherato allarga la difesa e si fa trovare pronto al tiro, stupendo per il suo ritmo partita dopo che negli ultimi mesi (a parte una serie di comparsate culminate con l’ingresso a sorpresa in gara 4) era stato ormai bollato come ex giocatore.

I Bulls riprendono pian piano il controllo dei tabelloni, e grazie all’ennesimo canestro di Boozer (12 punti per lui nel primo periodo) si portano sotto la doppia cifra di svantaggio; un jumper di James in prossimità della sirena di fine quarto fissa il punteggio sul 30-21 in favore degli Heat. Miami dà l’impressione di giocare in terza marcia dopo l’inizio folgorante, e ha rischiato di uccidere partita e serie già nei primissimi minuti di gioco; Chicago invece è risorta dall’ennesima morte annunciata, e con risorse inspiegabili e imprevedibili si è rimessa quantomeno in partita.

Due liberi di Andersen aprono il secondo periodo, e Miami torna in doppia cifra di vantaggio; Hamilton va a segno dal palleggio, Mohammed cattura il rimbalzo in attacco e appoggia a canestro con la mano mancina, e i Bulls si portano sul -7.

La partita degli ospiti non ha spiegazione razionale, come non ce l’ha la loro corsa nei playoff: e l’emblema è un piccolo grande uomo di un metro e settanta scarso, che all’anagrafe fa Nate di nome e Robinson di cognome mentre in campo invece sfugge a qualsiasi definizione; il 2 di Chicago va a segno con un tiro insensato fuori equilibrio, convertendo il libero annesso e scrivendo 32-28 sul tabellino della partita. C’è vita, eccome, sul pianeta Bulls.

Coach Spoelstra vede i suoi in difficoltà e chiama time-out, all’uscita del quale gli Heat eseguono da manuale liberando Bosh per il piazzato da due punti; Hamilton risponde con un altro canestro dal palleggio in transizione, prima che una tripla di Butler (servito dal penetra e scarica di Krypto-Nate) accorci le distanze fino al -1 ospite (34-33). Wade segna dal palleggio appoggiandosi al vetro, ma gli Heat non sono più quelli di inizio gara e sembrano bloccati dal clamoroso ritorno di fiamma ospite: due liberi di Boozer e un’altra tripla di Butler portano i Bulls in vantaggio per la prima volta in questa partita, con un parziale di 17-4 che viene incrementato da un Robinson più adrenalinico che mai, che segna da tre e festeggia persino i tiri liberi conquistati.

Due triple di Bosh, diventato un fattore nella serie dopo l’iniezione di fiducia di gara 3, riportano sotto i padroni di casa, ma l’attacco degli Heat resta sostanzialmente fermo mentre i Bulls beneficiano di seconde opportunità grazie alla ritrovata padronanza sotto le plance. Boozer è posseduto da un sacro fuoco inedito, e la risposta di un Wade evidentemente menomato dai problemi al ginocchio viene vanificata dall’ordinaria follia del solito Robinson, che si inventa una serie di crossover in isolamento conclusa con una tripla da delirio.

Sulla sirena dell’intervallo il punteggio è da non credere, con i Bulls avanti 53-47 e ormai l’unica spiegazione, che razionale non è, non può che essere individuata parafrasando lo slogan di una nota pubblicità: più li butti giù, più si tirano su.

Se vogliamo fermarci ai numeri, gli ospiti sono avanti grazie alle grandi prove di Boozer (19 punti e 6 rimbalzi), Robinson (14 punti) e Butler (12 punti e solite difese d’autore); ma le cifre non dicono tutto di questi “IncrediBulls”, capaci di trovare risorse inspiegabili per rimontare dal -18 e far tremare gli Heat di King James. LeBron, dopo un primo quarto sontuoso, ha tirato il fiato e il suo calo è coinciso con quello dei suoi (sia nella metà campo offensiva che in quella difensiva); uno Wade menomato ma dedito alla causa (10 punti per lui) e un Bosh molto efficace al tiro (11 punti) non bastano ai padroni di casa, perché il supporting cast è assente ingiustificato (spiccano le difficoltà di Battier e Allen in fase di conclusione). Chicago ha riaperto una partita dal finale già scritto: ci aspettano 24 minuti di spettacolo ed emozioni, con tutto ancora da decidere.

Haslem commette il terzo fallo personale in apertura di terzo quarto, ma James appare subito deciso a mettere le cose in chiaro e va a segno con una tripla in transizione. Chicago però e sempre lì replica colpo su colpo, prima con un difficilissimo gioco da tre punti di Butler e poi con una tripla dall’angolo di Belinelli che riscatta così la prova incolore dei primi scampoli di partita.

L’attacco di Miami resta al palo e trova linfa solo dalle iniziative personali dei fuoriclasse in maglia bianca, mentre Jimmy Butler trova soluzioni offensive teoricamente impensabili per quello che dovrebbe essere “solo” uno dei primissimi difensori della lega. LeBron intuisce le difficoltà dei suoi e prova a caricarsi la squadra sulle larghe spalle da MVP, andando prima a segno svitandosi in aria e poi eludendo la difesa con un’esitazione e seguente entrata a canestro che gli vale il gioco da tre punti per il -5 Heat (65-60).

Boozer segna ancora per chiudere un magnifico gioco a due con Noah, Chalmers commette il suo terzo fallo ma la difesa ospite omette la rotazione e Haslem può schiacciare in solitudine su magistrale assistenza di uno stoico Wade. Le cose però si mettono male per gli uomini di South Beach: Chicago va in bonus grazie al quarto fallo di Bosh, Boozer punisce una disattenzione difensiva ricevendo palla dalla rimessa con due secondi sul cronometro e andando a canestro senza l’opposizione degli avversari, Hamilton si alza e muove solo la retina per la tripla dalla punta, e gli ospiti scappano sul +11 con due liberi di Robinson (75-64). Come se non bastasse, Wade è costretto a tornare negli spogliatoi per cambiare il bendaggio al ginocchio malandato, ma Miami riesce a restare in partita grazie ad una tripla dall’angolo di Ray Allen servito da un capolavoro di James (che triplicato, in mezzo all’area e in salto serve un pallone con scritto “basta spingere” per il tocco di velluto di He Got Game).

Due liberi di un sempre più sorprendente Hamilton (fino a un certo punto, perché il vero talento non conosce età o ruggine di sorta) e un layup di Andersen chiudono il terzo quarto, con gli ospiti che hanno consolidato il loro vantaggio e comandano 77-69. Chicago sta provando ad attrezzarsi per l’ennesimo miracolo della sua postseason, Miami invece ha a disposizione 12 minuti per rimontare e chiudere i conti della serie.

Battier apre il quarto periodo fallendo l’ennesima conclusione con spazio: sembra davvero una serata nera per il numero 31 degli Heat, che però nel possesso successivo piazza due giocate da campione vero che forse svoltano la partita dei padroni di casa. Cole sbaglia da tre, Battier cattura il rimbalzo e si sistema di nuovo in angolo: James gli dà fiducia e lo serve, il veterano dall’università di Duke si alza da tre e stavolta è una sentenza; si muove solo la retina, -5 Miami.

I padroni di casa si fanno ancora più sotto grazie ad Andersen che schiaccia in contropiede un alley-hoop di Cole; un semi-gancio di Gibson dal pitturato riporta in controllo i Bulls, ma un’altra tripla di Battier dall’angolo opposto rispetto a quella precedente porta gli Heat sul -2. La difesa di Miami torna a salire di livello, battuta soltanto da Hamilton con un difficilissimo tiro dal palleggio che si arrampica sul ferro prima di finire la sua corsa nel canestro avversario; ancora Battier subisce fallo sul tiro da tre, e i suoi due liberi a segno si aggiungono a quello successivo di James e ad un tiro dal palleggio di Cole che riporta in vantaggio i padroni di casa per la prima volta da metà del secondo periodo (82-81).

I Bulls si affidano ancora a Rip Hamilton, con l’uomo mascherato che sembra aver portato indietro il tempo e segna con un fantastico tiro in corsa sulla sirena dei 24 secondi; Cole riporta avanti i suoi con una schiacciata mancina nel traffico, e a sei minuti dal termine è ancora tutto in gioco. Intanto, dagli spogliatoi è tornato un signore con la maglia numero 3 e un bendaggio tutto nuovo al ginocchio che fa le bizze; Wade sa bene cosa voglia dire giocare sul dolore, e al rientro in campo decide che è giunta l’ora di chiudere i conti: con due canestri in corsa in fotocopia mette i suoi avanti di due possessi, poi, dopo l’ennesima magia di un indomito Robinson, difende come se non ci fosse un domani e va a stoppare la conclusione di Butler, prima di mettere il punto esclamativo al parziale personale con una schiacciata a rimbalzo che porta i suoi a +7 (93-86) con 3 minuti da giocare.

Tutto finito? Nemmeno per idea, perché questi Bulls non conoscono il significato della parola “resa”: Noah stoppa la penetrazione di James, e sotto il canestro offensivo si accende una lotta senza quartiere dalla quale esce vincitore Boozer, che cattura il rimbalzo numero 13 e segna il ventiseiesimo punto della sua gara. James, sottotono nel quarto periodo, subisce fallo ma realizza solo uno dei due liberi a disposizione; Robinson prende il pallone, lo porta in attacco e dalla punta spara una tripla insensata per chiunque, ma se ti chiami Krypto-Nate un motivo ci sarà: solo rete, e incredibile -3 dei Bulls sul punteggio di 94-91.

Un super Boozer strappa il pallone a Bosh, ma non sfrutta l’opportunità di accorciare dall’altro lato del campo; Battier e James sbagliano i tiri della staffa, e Chicago ha il pallone in mano con 26 secondi da giocare. La tripla di Robinson è corta, Boozer conquista un altro rimbalzo ma il tentativo disperato di Butler non prende neanche il ferro: il solito, infinito cuore dei Bulls non basta; gli Heat vincono 94-91. Miami conquista il punto decisivo e avanza al turno successivo grazie alla solita prova a 360° di James (23 punti, 7 rimbalzi, 8 assist); ma stasera il Prescelto (in difficoltà al tiro come testimonia il 5-14 finale) non ce l’avrebbe fatta senza l’aiuto di “mister Heat”: Dwyane Wade infatti vince la partita su una gamba sola nei minuti finali, segnando i canestri decisivi e difendendo alla grande, per una partita da 18 punti (7-13 al tiro), 5 rimbalzi e 6 assist.

I Bulls, che definire eroici è quantomeno riduttivo, si battono fino all’ultimo andando ben oltre le proprie possibilità: gli occhi della tigre di un Boozer da 26 punti (10-19 al tiro) e 14 rimbalzi, il gioco a tutto campo di Butler (difese d’alta scuola e 19 punti totali), la classe innata di un redivivo e Hamilton (15 dalla panchina) e soprattutto le scariche di adrenalina di un commovente Nate Robinson (21 punti, 5 rimbalzi e 6 assist per il piccolo grande uomo) non bastano per continuare a sognare e a riportare la serie a Chicago. Miami trova un contributo da doppia cifra anche da Bosh e Haslem mentre la panchina, pur non spiccando per punti segnati e percentuali di tiro, indirizza la partita con giocate decisive nei momenti chiave del match.

Tutto come previsto: i pronostici sono stati rispettati e gli Heat hanno avuto la meglio dei Bulls in cinque partite. È raro, però, che una serie che termina 4-1 per i favoriti riesca a regalare le emozioni fornite da questa Miami-Chicago: una squadra, quella dei Bulls, già battuta in partenza che non si piega alla potenza del fato e che trova risorse nascoste in fondo all’anima costringendo i campioni in carica a giocare il loro miglior basket per passare il turno; una risposta da campioni per LeBron e soci, che proprio come lo scorso anno nella semifinale contro i Pacers hanno saputo svoltare una volta messi con le spalle al muro.

Miami avanza alla terza finale di Conference consecutiva, dove se la vedrà contro la vincente della serie tra Indiana e New York rivestendo una volta di più i panni di grande favorita; Chicago può recriminare per l’incredibile serie di sfortune e infortuni abbattutasi sul suo roster, ma ha saputo emozionare e ha regalato una bellissima lezione di sport: non sempre le favole diventano realtà ma, credendo nelle proprie qualità senza darsi mai per vinti, si possono superare anche gli ostacoli più insormontabili.

I playoff continuano, la corsa dei Bulls finisce qui: ai pirati della Windy City non è riuscito l’ultimo arrembaggio alla corazzata guidata da capitan LeBron e dall’ammiraglio Wade.

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