Non tutto è andato come tifosi e dirigenza speravano per i Denver Nuggets di McGee, Chandler e Iguodala...

Non tutto è andato come tifosi e dirigenza speravano per i Denver Nuggets di McGee, Chandler e Iguodala…

Ai tempi dei cercatori d’oro, si diceva che per trovare quel prezioso metallo dalla particolare colorazione giallognola, bisognava armarsi di piccone e spaccare più rocce possibili. C’è chi era più fortunato e ce la faceva dopo pochi colpi, chi invece doveva faticare le cosiddette “sette camicie” prima di poter abbagliare il proprio viso con quel luccichio che tutti avremo sicuramente visto o anche solo immaginato.

Quest’ultima è la triste storia dei Denver Nuggets, storica franchigia, della ABA prima e dell’NBA dopo, che volente o nolente non ha ancora trovato il proprio oro. Eppure, sono anni che quel piccone sta funzionando come se fosse un martello pneumatico inesauribile.

La finale di conference raggiunta nel 2009 aveva anche illuso l’ambiente della Mile High City che qualcosa stesse finalmente cambiando. Ma di quella squadra, andata vicina all’impresa di sconfiggere i Lakers, poi campioni, non è rimasto nessuno.

Una rivoluzione repentina e, finora, inconcludente che ha mandato lontano dal Colorado gente come Carmelo Anthony, J.R. Smith, Kenyon Martin, Nene e Chauncey Billups, tralasciando gli altri, non meno importanti.

Una rivoluzione targata Masai Ujiri che cancellò in un attimo tutto il lavoro fatto dal suo predecessore, Kiki Vanderweghe. Il GM di origini nigeriane si liberò immediatamente della sua stella, reo di non essere un vero condottiero capace di portare la squadra a vincere un titolo.

Una mossa di mercato che portò a Denver giovani leoni del calibro di Danilo Gallinari, Wilson Chandler, Raymond Felton, Timofey Mozgov e Kosta Foufos. Ora, quattro quinti dei sopra elencati sono ancora nel roster (Felton fu ceduto l’anno stesso a Portland in cambio di Andre Miller). Quattro quinti che hanno aiutato e stanno aiutando la squadra a mettere le radici giuste, quelle vincenti di una città che non ha mai visto trionfi cestistici considerevoli.

Una città che è sempre stata al centro dell’attenzione per le difficoltà climatiche che non aiutano di certo gli avversari. Infatti, in questa stagione, i Nugs hanno subito solo quattro sconfitte tra le mura del Pepsi Center. Ma se tre non hanno fatto così male, la quarta è stata a dir poco fatale.

Dopo una vittoria all’ultimo respiro in gara-1, la truppa di Karl è crollata inesorabilmente tre giorni dopo, proprio nel momento in cui doveva contare di più sull’apporto del proprio pubblico e del fattore campo, conquistato in virtù del terzo posto nella Western Conference e di una costanza micidiale, soprattutto dal post-ASG in poi.

Vittorie su vittorie (addirittura 15 di fila) che hanno garantito ai Nuggets uno scontro al primo turno con i Warriors per un match-up che prometteva bene, visto il gioco spettacolare di entrambe le compagini. Ma facciamo un breve salto nel passato.

E’ il 4 aprile, manca poco ai playoff e Denver sta giocando in casa contro Dallas. Siamo nel secondo quarto e gli ospiti sono sopra di tre. Faried cede la palla a Gallinari sul perimetro. Manca poco allo scadere dell’azione e l’italiano opta per una penetrazione, altro suo marchio di fabbrica oltre all’immancabile tiro da tre.

Danilo parte in step back, sfidando Dirk Nowitzki, ma quando arriva in prossimità del pitturato si ferma, perdendo palla. L’italiano si tocca il ginocchio e emette urla soffocate per il dolore lancinante. Dal replay si nota subito la torsione innaturale del ginocchio sinistro. Non ci vuole molto a fare 2+2 e decretare l’entità dell’infortunio.

Denver spera e prega, ma la conferma arriva il giorno dopo: rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro. Stagione a dir poco finita e sogni di gloria dei Nuggets se non in frantumi, quasi.  La sensazione è come se qualcuno avesse graffiato un disco che stava suonando perfettamente un’ottima musica.

A Denver, però, non ci si abbatte per i lunghi periodi di gelo polare, figuriamoci per aver perso un giocatore che stava avendo la sua migliore stagione in carriera. Ma la ferita è insanabile. Danilo garantiva parecchi minuti di qualità e puro agonismo. Avrebbe fatto comodo con la sua versatilità offensiva contro i Warriors.

Chandler e Iguodala hanno provato a fare il possibile contro una squadra sicuramente non imbattibile, ma che aveva dalla sua parte la consapevolezza che ai Nuggets mancava una pedina fondamentale nel suo scacchiere.

Con questo non voglio dire che con l’infortunio occorso a Danilo, la stagione della franchigia del Colorado sia finita, ma ha smesso di funzionare e l’eliminazione al primo turno ne è stata l’inevitabile conseguenza.

Ora, cosa succederà all’interno della squadra ancora non si sa, ma un’idea potremmo anche farcela. I tre contratti in scadenza sono Timofey Mozgov, Quincy Miller e Corey Brewer, ma solo l’ultimo citato sembra poter rimanere, nonostante sia unrestricted.

Iguodala ha un opzione per uscire dal contratto con un anno di anticipo e, salvo sorprese, non dovrebbe esercitarla. Ma quello di cui hanno veramente bisogno i Nuggets è di un go-to-guy, uno che prenda in mano la squadra nei momenti difficili e la conduca alla vittoria.

Dwight Howard e Chris Paul sono unrestricted, ma entrambi provengono da stagioni difficili, soprattutto dal punto di vista degli infortuni e non sembrano nemmeno rientrare nel target di una squadra che fa della spettacolarità il suo emblema, ma che vorrebbe fare quel salto di qualità per diventare una seria contender, senza rovinare un nucleo collaudato e giovane. Per questo, anche prendere in considerazione una trade appare impensabile, al momento.

Gran parte del mercato estivo dei Nuggets dipenderà, poi, dalla decisione riguardante George Karl. L’allenatore sessantunenne ha sicuramente aiutato la squadra ad emergere dai suoi anni bui, ma non è forse arrivato il momento di puntare ad un coach in grado di dare un’impronta più vincente?

Sarà un estate piena di quesiti quella delle Pepite, un estate che potrebbe causare un’ennesima rivoluzione oppure lasciare tutto com’è, ma la caccia all’oro è ufficialmente ripartita.

2 thoughts on “Nuggets in cerca di risposte

  1. forse george karl è l’unico che non bisogna cambiare. a meno che si pretenda di portare questa banda al titolo…

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