paulg577Spesso si dice che il lavoro e la dedizione alla lunga pagano; lo sa bene Paul George, classe 1990, di ruolo ala piccola ma spesso e volentieri anche shooting guard.

Nato a Palmdale, California, cittadina (per i parametri americani…) a nord est di Los Angeles, perennemente baciata  dal sole, nella quale il piccolo Paul cresce, non inseguendo le onde dell’oceano come alcuni suoi coetanei, ma rintanandosi in palestra, costruendo il suo sogno, ossia quello di diventare una star Nba.

La rincorsa inizia alla Pete Knight High School di Palmdale; le sue prestazioni lo fanno entrare nei radar degli osservatori dei college.

Nel 2008 viene reclutato da Fresno State, non propriamente un college con una tradizione vincente, ma George la ritiene la scelta migliore per la sua carriera. La squadra è quella che è e in due anni non riusciranno mai ad andare alle fase finale del torneo Ncaa.

Nonostante ciò, il ragazzo di Palmdale mette a referto delle ottime cifre;in 63 partite giocate viaggia con una media di 15,5 punti a partita, con percentuali del 44,6% dal campo e di 39,6% dai 3 punti.

Il suo nome si fa prepotentemente avanti nelle gerarchie dei prospetti più talentuosi e qualcuno in quel di Indianapolis inzia ad accorgersene.

Quel qualcuno è Danny Granger, simbolo degli Indiana Pacers, che, dopo aver  vissuto diversi anni ad alti livelli nell’era Reggie Miller, si trova ora in difficoltà, e al Draft del 2010 ha la decima scelta assoluta.

Il GM dei Pacers, uno che di nome fa Larry e di cognome Bird, chiede a Granger come è questo ragazzotto californiano, e Danny senza pensarci più di tanto dice di sceglierlo, assicurando che in pochi anni diventerà il trascinatore della squadra.

Così avviene, e il  24 giugno 2010 gli Indiana Pacers alla 10 scelgono Paul George, da Fresno State.

Rivedendo le scelte di quel draft fa uno strano effetto pensare che George venne scelto dopo Udoh, chiamato alla 6 da Golden State, e Aminu, chiamato alla 8 dai Clippers.

Pensate a cosa sarebbero i Clippers di oggi con uno come George.

Un paio d’anni dopo dichiarò che la scelta di andare ad Indiana fu decisamente la scelta migliore in quel momento; andare ai Clippers poteva esaudire il suo sogno da bambino, essendo tifoso Clippers (sí, avete capito bene, tifoso dei Clippers, nel’era in cui se arrivavano 30 vittorie a stagione era un lusso…), ma per un ragazzo di 20 anni Los Angeles era troppo “fast”, e Indiana è una città che permette di fare la tipica vita d’atleta.

L’anno da rookie certifica Paul George come una solida realtà, un vero steel of the draft da parte dei Pacers. E’ l’unico rookie insime a Landry Fields di New York a partire costantemente in quintetto titolare; i Pacers arrivano fino ai play off ma vengono sconfitti al primo turno dai rivali di sempre dei Chicago Bulls di Darrick Rose.

In questo primo anno George, oltre per le grandissime capacità difensive e per lo straripante atletismo, si mette in mostra anche per il vizietto di schiacciare spesso e volentieri in testa agli attoniti avversari; è naturale quindi la chiamata allo Slam Dunk Contest nel weekend dell’All Star Game 2012 di Orlando, dove alla sua seconda stagione tra i Pro, George fa esploredere i fans eseguendo un 360 windmill dunk, al buio, in testa ai suoi compagni Jones e Hibbert.

La stagione 2012 per Indiana è positiva, consolida il suo status all’interno della Eastern Conference; la squadra supera agevolmente al primo turno di Playoff gli Orlando Magic, vincendo la prima serie di Playoff dal 2005, ma nel turno successivo si deve arrendere ai futuri campioni dei Miami Heat e in gara 6 George realizza un deludente 19 su 52 dal campo, facendo naufrgare ogni possibilità di portare la serie sul 3 a 3.

Questa partita fu lo snodo cruciale della carriera di Paul George; dopo gara 6 con Miami promise a Coach Vogel che la stagione successiva sarebbe sceso in campo un George con una mentalità diversa, più aggressiva e che sopratutto sarebbe stato un giocatore più completo, fornendo prestazioni di alto livello sia in attacco che in difesa.

Come un giocatore può migliorare così tanto in un’estate? Semplice, se ti allenerai con i migliori.
Paul infatti sarà tra i convocati del Team Usa  che di lí a qualche settimana vincerà l’oro alle olimpiadi di Londra.

In quella squadra ci sono i migliori giocatori della lega ovviamente , ma per Paul due hanno qualcosa in più degli altri; uno è Kobe Bryant , suo idolo da sempre,mentre l’altro è il leader della squadra che ha interrotto pochi mesi prima la corsa playoff dei Pacers, l’MVP  delle finals 2012 Lebron James.

Il figlio prediletto di Akon e il Mamba sono stati fondamentali in queste settimane londinesi per il giovane Paul, lo hanno ispirato come mai nessuno prima aveva fatto, spingendolo a lavorare sempre più duramente.

I risultati non sono tardati ad arrivare; nella stagione 2012/2013 Paul è il faro di Indiana, terza forza ad Est dietro le corazzate Heat e Knicks.

Il 21 novembre 2012 realizza il suo career high di 37 punti nella vittoria contro New Orleans, mettendo a segno un 9 su 13 da 3 punti, nuovo record della franchigia dell’Indiana, spodestando dal trono un altro ragazzo che negli anni 90 lasciò la soleggiata California per inseguire il suo sogno nel crocevia d’America. Il suo nome era Reggie Miller.

La definitiva consacrazione avviene con la convocazione per l’All Star Game di Houston, dove mette a segno ben 17 punti.

Alla fine della regular season viene premiato come Most Improved Player of the Year, a riconoscimento del duro lavoro fatto nell’ultimo anno.

I numeri parlano chiaro: nel 2011/12 media di 12,1 punti per partita  5,6 rimbalzi e 2,4 assist, mentre quest’anno si viaggia a una media di 17,4 punti, 7,6 rimbalzi e 4,1 assist.

Questo tipo di premio per un ragazzo solamente al terzo anno da Pro può rivelarsi un’arma a doppio taglio: può essere un trampolino di lancio come  nel passato lo è stato per Zach Randolph nel 2003, Danny Granger nel 2009 e Kevin Love nel 201; ma può essere visto come una sorta di appagamento, come per Turkoglu nel 2008, puó affossare una carriera, come per Bobby Simmons nel 2005 o rappresentare un punto di arrivo, come per Boris Diaw nel 2006.

Paul era in lizza anche per diventare difensore dell’anno, candidatura che ha fatto molto piacere a Coach Vogel, asserendo  che “con le sue doti fisiche  e la sua determinazione, non può che continuare a migliorare”.

Il talento di Paul non sarà sprecato; troppo educato, un ragazzo con la testa sulle spalle, con una famiglia presente, anche adesso che é uno dei volti più conosciuti dell’Nba.

Sa che ora è il momento in cui deve gettare le basi per diventare la star che ha sempre sognato, partendo proprio dai Playoff in corso: “Tanti giocatori non hanno l’opportunità di giocare partite di Playoff e giocare in squadre che possono ambire a vincere il titolo, lascerò tutto quello che ho sul parquet”. “So quello che la gente ora si aspetta da me, voglio questo tipo di pressione”.

Per la cronaca, nella prima partita del primo turno contro Atlanta mette a segno una tripla doppia da urlo, con 23 punti,11 rimbalzi e 12 assist.

In un solo anno Paul George da “afterthought”, si è trasformato in un All Star. Ora nulla sembra frenare l’ascesa del ragazzo di Palmdale, il futuro di Indiana.

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