Ennesima stagione da dimenticare per DeRozan e compagni

Ennesima stagione da dimenticare per DeRozan e compagni

Con il termine Medioevo, si suole indicare quel periodo buio della storia che è compreso tra la caduta del Sacro Romano Impero d’Occidente, in cui il mondo conosciuto venne deflorato dalle invasioni barbariche, e la scoperta delle Americhe, il cosiddetto “nuovo mondo”, pieno di speranze e di opportunità per coloro che l’avrebbero conquistato.

Ma spostandoci di seicento e passa anni, poco più su di dove sbarcò Cristoforo Colombo con le sue tre caravelle, si sta svolgendo un nuovo, passatemi il termine, “Medioevo”, sportivamente parlando si intende. Sto ovviamente facendo riferimento ai disastrati (alla fine mica tanto) Toronto Raptors.

Nati nel 1995, come franchigia d’espansione, hanno visto la luce decisamente poche volte in tutti questi anni, talmente poche che nella memoria dei tifosi rimarranno indelebili le fantastiche scorribande di Vince Carter e soci durante i playoff del 2001, in cui furono capaci di perdere solo a gara-7 contro i futuri campioni della Eastern Conference, i Sixers di Allen Iverson.

Come non dimenticare, poi, il 2006-07, quando con un Bargnani prima scelta assoluta vinsero per la prima, e unica volta, nella loro storia, la division, eguagliando il miglior numero di vittorie (47) risalente proprio a quel 2000-01 di cui vi ho accennato poco fa. Sono proprio questi gli unici ricordi, positivi si intende, che riempiono le menti dei tifosi canadesi, almeno fino a quando non ne arriveranno altri. Per il resto, c’è solo grande dilusione (come direbbe un crozziano Joe Bastianich).

E dire che quando la Bryan Colangelo’s Band giunse nella città canadese si era iniziato a pensare addirittura in grande. L’idea del GM di origini italiane era quella di creare un roster internazionale, cercando di emulare R.C. Buford e i suoi gloriosi Spurs. Perciò, si mise subito al lavoro.

Portò giocatori di esperienza europea come Jorge Garbajosa, Anthony Parker e José Calderon, per poi puntare, come già detto, ad Andrea Bargnani come prima scelta assoluta al Draft 2006. Mosse che gli valsero il premio di Executive of the Year e i playoff dopo cinque anni di digiuno per i Raptors.

Ma la squadra venne repentinamente eliminata dai Nets al primo round e così accadde anche l’anno seguente, per mano degli Orlando Magic. Da lì in poi, due cambi di panchina (anche troppo pochi), un record di 118 vittorie e 194 sconfitte e soprattutto niente playoff, comprese tutte le scelte sbagliate effettuate dalla dirigenza in questi anni.

Fino al 30 gennaio 2013, in cui Colangelo, forse preso da un abbaglio, ha messo a segno un ottimo colpo che potrebbe cambiare per l’ennesima volta le sorti della franchigia. Difatti, dai Memphis Grizzlies, è arrivato nientepopodimeno che Rudy Gay, giocatore dotato di un talento immenso, soprattutto offensivamente parlando.

Fino a quel momento il bilancio di Toronto sussurrava un flebile 16-30, ma l’arrivo di Gay fa sì che possano addirittura arrivare cinque vittorie di fila tra l’8 e il 19 febbraio, tra l’altro contro squadre del calibro di Indiana, Denver e New York. Cinque vittorie che rimettono i Raptors clamorosamente in corsa per i playoff, quando ormai sembravano spacciati anche nella non rigogliosa Eastern Conference.

Ma a marzo si torna a crollare, in quella che per molti è la perfetta metafora della storia della squadra, piena di alti e bassi, più bassi che alti a dire la verità. Solo quattro vittorie e ben dieci sconfitte che riportano l’unica franchigia canadese nell’oblio.

Coach Dwane Casey viene messo in discussione, forse un po’ troppo sopravvalutato dopo la vittoria del titolo 2011 con i Mavs, da assistant coach, mentre la squadra perde definitivamente il treno per la post-season per il quinto anno di fila, lasciando solo l’ennesimo strascico di buoni propositi per la prossima stagione, un po’ come si fa quando sta per finire un anno solare. Ma quali sono questi buoni propositi?

Sorvolando il discorso Gay, unico raggio di sole (almeno per ora) della franchigia, nel roster sono presenti giocatori come DeMar DeRozan (attendendo ancora una sua definitiva esplosione), Kyle Lowry (meglio a Houston), Amir Johnson (faro della “difesa”, ma esplosivo anche in attacco), Landry Fields (addirittura reinventato power forward) e gli ottimi giovani Terrence Ross e Jonas Valanciunas che fanno parte stabilmente della rotazione.

Con queste premesse i playoff ad Est dovevano essere d’obbligo, ma allora cos’è andato storto?

Sicuramente la totale inesperienza di alcuni giocatori a libro paga, soprattutto nel settore lunghi in cui il lituano fa ancora fatica contro la maggior parte dei centri NBA, mentre Gray è decisamente troppo grezzo per giocare titolare fisso e il solo Johnson non può reggere un reparto intero. Poi il back court che ha visto la partenza di Calderon a stagione in corso e quindi la perdita di un fondamentale punto di riferimento.

Lo spagnolo era un uomo-assist straordinario, nonché la guida spirituale della squadra, dotato di una dinamicità invidiabile. I “poveri” Lowry e, soprattutto, Telfair non sono di certo all’altezza del ruolo e nemmeno il tanto acclamato John Lucas III che non ha assolutamente convinto lo staff tecnico. Se saliamo di un gradino, invece, ci rendiamo conto di che affollamento ci sia in quello che dovrebbe essere il ruolo di shooting guard.

In pochi si aspettavano l’esplosione di Terrence Ross, anche se ancora molto limitata in quanto a parti del campo. Anche Mickael Pietrus, prima dell’infortunio, era un rincalzo niente male, in grado di dare una considerevole mano d’aiuto. Alan Anderson, invece, è stato forzatamente spostato ad ala piccola, con sporadiche apparizioni nel suo ruolo originale, così come Landry Fields, “colpevole” di avere un buon fisico e di catturare parecchi rimbalzi, forse troppi per una guardia tiratrice.

Ma in tutto questo contesto a noi sfugge un nome, ma quale? Linas Kleiza? No, anche se la mancanza dell’altro lituano si sta facendo sentire. Quincy Acy? Chi?!! Ovviamente mi riferisco al “nostro” Andrea Bargnani.

Ecco, se dovessimo definire il Mago di queste ultime annate lo chiameremmo un “oggetto non identificato” nel sistema solare torontiano o come cavolo si dice. Un UFO per dirlo alla scienziato della NASA.

Le 35 partite giocate quest’anno sono già di più delle 31 dello scorso, ma è anche vero che questa sarebbe dovuta essere una stagione da 82 gare, almeno per le persone normali. Andrea, sfortuna o no, si è eclissato al ruolo di comparsa e anche quando c’è, i suoi 12.7 punti con 3.7 rimbalzi sono tra i minimi storici per l’ala-centro romana.

Per questo per la testa di Colangelo è passata più volte l’idea di spedirlo altrove, senza pretendere nemmeno la ricevuta. Ma compiere questa mossa avrebbe voluto dire ammettere le proprie colpe di averlo scelto in quel Draft mettendo da parte gente come LaMarcus Aldridge, Brandon Roy (poco importa per com’è finita dopo) e, rullo di tamburi, Rudy Gay from University of Connecticut!

Ok, dalla sua ha avuto la sfortuna che la first pick dei Raptors capitasse in un anno decisamente “scarso” come talento e futuribilità, ma già con uno di questi tre le cose sarebbero potute andare diversamente.

Ovvio che nessuno ha la sfera di cristallo, sa leggere i fondi delle tazzine di caffè o le carte, almeno non Bryan Colangelo. Ma gli sbagli vanno anche ammessi, almeno per avere la forza di andare avanti e puntare tutto su Andrea lo è stato eccome.

Non si sa ancora se venderlo sarà la soluzione giusta, se magari farlo scendere dal piedistallo su cui è stato piazzato ormai sei anni fa possa cambiare qualcosa, ma il tempo delle scuse e della cabala è finito e occorre che a Toronto inizino a fioccare vittorie su vittorie e togliersi qualche soddisfazione non farebbe male a nessuno.

Insomma, mi sono scocciato anche io di sorridere divertito ogni volta che si presentano al training camp convinti che sia la stagione giusta. Un po’ come l’Inter di qualche scudetto fa che vinceva sempre in estate, per poi puntualmente fallire in campionato. Ecco, questo paragone calza a pennello e da tifoso dell’Inter non lo auguro a nessuno.

2 thoughts on “Toronto Raptors: cronaca di un Medioevo infinito

  1. Sacro Romano Impero d’Occidente… La storia non è certamente il tuo forte..

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