Il trio Ginobili-Parker-Duncan è ancora incredibilmente in vetta all'Ovest !

Il trio Ginobili-Parker-Duncan è ancora incredibilmente in vetta all’Ovest !

Benvenuti nel Texas: terra di cowboy, praterie e dinastie interminabili.

Si perché i San Antonio Spurs non hanno nessuna intenzione di lasciare il passo al nuovo che avanza, e come accade da ormai 16 anni a questa parte stazionano ai piani altissimi della Western Conference.

Il fenomeno-Spurs, nato dalla lungimiranza e dal genio del duo Popovich-Buford e benedetto dagli dei del basket con la prima scelta assoluta del 1997 (con la quale venne posta la prima pietra del progetto scegliendo un certo Tim Duncan), continua a stupire ogni anno di più: cambiano gli interpreti, cambiano gli avversari ma non cambia il risultato.

Il grande ciclo sembrava essere giunto al capolinea negli scorsi playoff, quando dopo un’incredibile serie di 10 vittorie consecutive in postseason (4 a 0 rifilati a Jazz e Clippers) il meccanismo fino a quel punto inarrestabile si inceppò sul più bello, con quattro sconfitte consecutive contro Oklahoma City che sancirono l’eliminazione dei texani.

Troppo giovani, veloci e forti i Thunder per questi vecchi Spurs, si diceva: come spesso accade alle squadre con un nucleo di veterani, quando si vince il fattore età viene chiamato esperienza, mentre quando le cose vanno male diventa vecchiaia.

La scelta del management dei bianconeri è però stata ben chiara fin da subito, col rinnovo triennale a Duncan che ha indicato la via per le prossime stagioni; e la squadra è rifiorita, continuando una tradizione vincente e macinando un basket ormai mandato a memoria.

Attualmente gli Spurs guardano tutti dall’alto in basso a Ovest, guidando un terzetto completato da Thunder e Clippers dal quale verosimilmente uscirà la squadra campione della Western Conference, e si apprestano a tagliare il traguardo delle 50 vittorie in stagione regolare per il quattordicesimo anno consecutivo (sarebbero 16 senza il lockout del 1998-1999, nel quale si fermarono a “sole” 37 vittorie in 50 partite).

La ricetta è sempre la stessa, come quella della nonna che non cambia mai ma è sempre la più buona: attorno a Duncan, Parker e Ginobili, trio di fuoriclasse assoluti che scritto la storia della franchigia, ruota una galassia di “role-player” di grande talento che sembrano nati per giocare il basket predicato da coach Popovich.

Già, perché puoi avere tutto il talento del mondo, ma se non sei capace di inserirti nel sistema puoi accomodarti all’uscita: l’ex generale della U.S. Air Force (uno che è stato visto sorridere, ma non ne siamo sicuri, solo alle cerimonie di premiazione dei quattro titoli vinti) predica infatti un basket di squadra tra i più radicali e convinti della NBA (solo i Celtics di Doc Rivers possono essere assimilabili agli Spurs da questo punto di vista) e i giocatori vengono scelti appositamente secondo il criterio che il bene comune viene prima della gloria personale.

Per far si che questa filosofia possa essere praticata una squadra che chiude sempre con record tra i più vincenti, e di conseguenza non può quasi mai beneficiare di chiamate elevate al draft, ci si deve giocoforza affidare a scelte a prima vista azzardate ma che, se fatte da un duo come quello formato da Popovich e R.C. Buford, diventano inevitabilmente una garanzia.

L’abilità dello storico GM, uomo in simbiosi totale con coach Pop insieme al quale ha costruito questo giocattolo perfetto, è conclamata, come attestano le chiamate di eccezionali giocatori di complemento nei draft degli ultimi anni (Splitter alla 28, Blair alla 37, De Colo alla 53, oltre alla trade per Kawhi Leonard) e le infallibili aggiunte dai campionati europei (Ginobili su tutti nel 2002 e più di recente Gary Neal).

Buford sceglie la materia prima, e l’ineffabile Popovich la plasma come un demiurgo per dar vita alla sua creatura.

Uno dei meriti più grandi del coach da East Chicago è stato quello di mantenere intatti gli equilibri di squadra, rivoluzionando però la filosofia di base per adattarsi ai tempi che cambiano e all’età non più verde delle sue superstar: si è passati da una mentalità che poneva le basi del successo nella solidità difensiva a varare una squadra a trazione anteriore, che vince le partite cercando di segnare un punto più degli altri.

Poi è chiaro che, al di là della teoria, la differenza sul campo la fanno i fuoriclasse, i Campioni con la C maiuscola: Parker prima di infortunarsi alla caviglia (che lo terrà fuori per circa un mese e unico vero punto interrogativo per il futuro della stagione) stava producendo la migliore annata della carriera (cifre alla mano: 21 punti di media conl 53% al tiro uniti a 7,6 assist) e poteva essere uno dei più seri candidati ad insidiare il trono di James nella corsa al titolo di MVP; Duncan ha fermato il tempo e mette a referto quasi una doppia-doppia di media, con circa 17 punti e 10 rimbalzi in meno di 30 minuti di utilizzo (cifre che calcolate su 36 minuti di gioco danno risultati di gran lunga superiori alle due stagioni precedenti), mentre Ginobili, un pò sottotono fino adesso soprattutto a causa di vari acciacchi tenuti sempre sotto controllo dallo staff medico, si è preso le luci della ribalta dopo lo stop di Parker, prendendo le chiavi della squadra con la personalità e la naturalezza del vero leader.

Attorno a loro fioriscono giovani promesse che sono ormai delle realtà a livello NBA come Kawhi Leonard, con un mix di giovani talenti e veterani di mille battaglie sempre pronti a piazzare la zampata decisiva nei momenti che contano.

Sotto l’Alamo una vecchia volpe e i suoi fedelissimi sembrano aver trovato la pietra filosofale, la leggendaria chimera degli alchimisti.

Gli anni passano, ma San Antonio è sempre lì e non molla di un centimetro: chi vorrà prendersi la corona dell’Ovest, dovrà vedersela una volta di più con gli inossidabili Spurs. Perché la classe e il talento non invecchiano mai.

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