C’era una volta una franchigia Nba, denominata New Jersey Nets. Appurato che “Nets” si traduca agevolmente con la parola “retina” declinata al plurale, rimane difficile spiegare ogni singola implicazione di “New Jersey”.

Ok, il New Jersey è uno dei 50 stati che compongono la federazione degli U.S.A.
Scusi, mi saprebbe dire dove si trova? Beh, facile… il New Jersey si trova…ma sì, si trova… vicino New York. Bingo. Proprio New York, “The Big Apple”. Il punto di approdo di questa narrazione. Ma andiamo con ordine.

Il misterioso ed istrionico Mikhail Prokhorov

Il misterioso ed istrionico Mikhail Prokhorov

Nel 2009, un signore venuto dalla Russia, alto 2 metri e 07 cm, appassionato della serie cinematografica di Rocky Balboa (“tranne il film in cui Rocky sconfigge un pugile russo”, of course), titolare di un patrimonio personale di 18 milardi di dollari (stime Forbes), acquista la proprietĂ  della franchigia. Da quell’istante in poi, la storia della “Cenerentola del New Jersey” non sarĂ  piĂą la stessa.

L’oligarca russo, che di nome fa Mikhail Prokhorov, si presenta subito asserendo che porterĂ  i Nets ai play-off entro il suo primo anno da proprietario, e li condurrĂ  al titolo entro cinque. Per far ciò, dice lui, avrebbe bisogno di un palcoscenico con un appeal maggior del New Jersey. Lapalissiano.

Allora che si fa? Semplice, si fanno i bagagli e, per la stagione 2012-13, si va tutti a Brooklyn, nel nuovissimo e scintillante Barclays Center, diventando i Brooklyn Nets.

Insomma, in soli tre anni, il signore nato a Mosca ha rivoltato le sorti di questa squadra come solo uno con il suo passato ed il suo vissuto avrebbe potuto fare. E per gli americani deve esser stato un po’ come assistere alle gesta di un Neil Armstrong al contrario: il primo proprietario straniero di una compagine professionistica della Nba, capace di piantare la bandierina bianca, blu e rossa nel cuore economico e sportivo degli Stati Uniti.

Lustrini e paillettes, però, non hanno mai fatto vincere nulla, per lo meno non da soli. Per questo, al GM dei Nets, Billy King, è stato affidato l’arduo compito di costruire un roster in grado di ambire al titolo, senza troppi preamboli.

E’ arrivato una delle due migliori PG della lega( a detta dei più), ovvero Deron Williams. E’ stato convinto a restare, è stato convinto a sposare il progetto in attesa di qualche altra star che venisse a fargli compagnia nel salotto di Brooklyn.

E’ arrivato Gerald Wallace, si è inseguito a lungo ed invano il sogno Howard, si è finiti con l’acquisire, durante l’ultima off-season, Joe Johnson e Andray Blatche.

Nel frattempo, al timone della squadra era stato messo coach Avery Johnson, al quale era stato fatto firmare un triennale da 12 milioni di dollari. Tutto sommato non un pessimo lavoro, per una squadra che aveva dovuto ricostruire partendo dalla ceneri dei Nets di Kidd e Jefferson, con scarso materiale umano a disposizione (Brook Lopez, per intenderci).

Un lavoro mediocre, se giudicato con gli occhi di un determinato multimiliardario che, oltre le promesse ed i proclami (tra le tante: “ renderò i Nets la prima squadra di New York”), ha speso e intende spendere tanto.

E non ci sarebbe da stupirsi se Prokhorov, dopo le 10 sconfitte in 13 partite subite dai suoi Nets nel mese di Dicembre, abbia ripensato anche ai 330 milioni di dollari spesi nell’ultima estate. In barba al premio di “Coach of the Month”, vinto a Novembre, in barba all’ ottima partenza di stagione con 11 vittorie e 4 sconfitte, Johnson è stato sollevato dall’ incarico.

Ed è stato in quel momento, che molti hanno capito un dettaglio fondamentale: i Nets, ormai, sono divenuti una franchigia intrappolata nei sogni di gloria e di vittoria del loro owner. Senza apparenti possibilità di scampo o di fughe verso la normalità.

Prova di ciò, sono stati tentativi di ingaggiare Phil Jackson e Jeff Van Gundy, seguendo il mantra secondo il quale, soltanto un coach che abbia già assaporato il dolce sapore delle Finals, potesse guidare questa squadra verso il titolo.

La realtà ha ricondotto i sogni di grandeur dei Nets sulla terra, non appena è stato chiaro che nessuno di quei nomi sopracitati avrebbe accettato l’incarico. Si è deciso, allora, di affidare temporaneamente la guida tecnica a PJ Carlesimo.

L’allenatore con un pedigree di 3 vinte e 9 perse nei P.O, è stato accolto tra spernacchiamenti collettivi e risa al grido di “è tornato l’amico di Sprewell”. Un normal one, lì dove si era cercato uno special one, per dirla in maniera piĂą elegante. Per gli addetti ai lavori, Brooklyn era giĂ  destinata ad un’altra stagione fallimentare.

Invece, PJ Carlesimo ha guidato Williams e compagni ad un record complessivo di 24 vinte e 16 perse (10-2, il bilancio della sua gestione), stupendo tutti coloro i quali erano già pronti ad intonare il de profundis per il team che veste total black. Quello che , però, ha stupito maggiormente, è stato il modo in cui ha ottenuto questi risultati.

Come prima cosa, ha riaffidato le chiavi dell’attacco a D-Will, caricandolo di responsabilità: “I needed him to be Deron Williams”, dichiarò, poco dopo aver assunto l’incarico. Bene, l’ex playmaker di Utah che, fino ad allora stava vivendo la sua peggior stagione tra i pro, ha deciso che fosse giunto il momento di tornare a giocare, sul serio.

19 punti di media, più di 8 assist a sera, 45% dal campo, PER (player efficiency rating) passata dal 16,6 al 22,1 e la percentuale del tiro dalla lunga passata da un “rondoniano” 29 % ad un apprezzabile 42%. Questa è la cura Carlesimo descritta dai numeri e dalle cifre.

Il più grande lavoro, però, PJ ha dovuto farlo sulla testa dei propri ragazzi. E’ riuscito a restituire fiducia e consapevolezza ad una squadra che sembrava spaurita e senz’anima, portandola ad avere un miglioramento in entrambe le fasi di gioco. I Nets ora hanno una delle migliori offense efficiency di tutta la lega (più di 101 punti a gara), e sono diventati una squadra più che rispettabile a rimbalzo.

Ciliegina sulla torta, ha persino risvegliato il letargico Joe Johnson, e lo ha elevato al ruolo di primo terminale offensivo, ricevendo in risposta 20 punti a sera con il 47 % da tre, conditi da quasi 4 assist e 4 rimbalzi ad allacciata di scarpe.

E Prokhorov, in tutto questo, cosa dice?
Per la veritĂ , il 47enne proprietario del fondo di investimento “Onexim”, non è che ami parlare troppo. Anzi, viene descritto come un tipo timido e schivo. Quasi un tipo noioso, dicono. Uno che da ragazzino veniva picchiato a scuola, davanti alle ragazze, salvo poi, una volta cresciuto, “riprenderli uno per uno”. Lo stesso che afferma di non aver mai coltivato sogni, “perchĂ© fin da piccolo sapevo cosa avrei voluto ottenere”.

In un’intervista concessa al New York Post, poco prima dell’inizio della stagione, lo scapolo più ambito di Russia, che ama circondarsi di uno stuolo di belle donne, ha dichiarato che qualora i Nets non dovessero vincere il titolo entro 5 anni “I will punish myself by getting married”.

Per esser chiari, nell’ immaginario di Mikhail, l’unica Cenerentola che si possa portare al gran ballo sono i suoi adorati Nets, mentre quelle in carne ed ossa dovranno accontentarsi dell’anticamera.

Carlesimo è avvisato: agli oligarchi russi non piace pagar pegno, soprattutto quando si parla di matrimonio.

Dura la vita da coach dei Brooklyn Nets.

2 thoughts on “Mosca – Brooklyn sola andata

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