Saranno Curry e Paul a giocarsi la Pacific Division al posto di Bryant?

Se potessimo ipoteticamente riavvolgere il nastro del tempo e tornare all’inizio di questa stagione, scopriremmo che il 90% circa degli addetti ai lavori aveva messo, abbastanza agilmente, i Los Angeles Lakers nelle prime tre posizioni ad Ovest, se non addirittura al primo posto nella Conference.

La loro leadership nella Pacific Division non era nemmeno messa in discussione, sebbene, si diceva, Clippers e Warriors avrebbero potuto fare un’ottima stagione, con i primi a poter fare da elemento di disturbo per le posizioni alte della Conference e i secondi a lottare seriamente per i Playoff.

Invece, a circa un mese e mezzo di distanza, il tempo e soprattutto il campo ci dicono cose completamente diverse.

Innanzitutto ci parlano di una squadra, i Los Angeles Lakers, in completa crisi di identità, con un cambio di coach che non ha sortito gli effetti sperati (eufemismo), un Kobe Bryant sempre più deluso e adombrato, uno Steve Nash in infermeria da troppo tempo, un Dwight Howard lontano parente del giocatore da MVP ammirato ad Orlando, un Pau Gasol che pare un corpo estraneo alla squadra e un record di vittorie (9W-13L) che attualmente li terrebbe fuori dai Playoff, a confezionare un dramma sportivo appunto impensabile fino a ottobre inoltrato.

Al comando della Pacific Division, in contumacia Lakers, sono proprio Clippers e Warriors a darsi battaglia, con quella che dovrebbe essere la seconda squadra di Los Angeles in vantaggio di una gara e mezza, grazie al record di 17 vittorie e 6 sconfitte, su Golden State, che di vittorie ne ha portate a casa 16 a fronte di 8 sconfitte.

La domanda che molti si fanno è se dureranno entrambe a questi ritmi fino a fine stagione. Domanda, per la verità, che non ha una risposta così semplice.

Partiamo dai Clippers, che nonostante le perplessità di inizio stagione, hanno comunque dalla loro un roster di alto livello, soprattutto nella posizione di play, dove possono vantare la presenza di Chris Paul. Lui, insieme a Blake Griffin erano già in partenza l’asse portante di tutto rispetto che avrebbe potuto portarli in alto anche nella competitiva Western Conference.

Quello che era in dubbio era l’apporto di tutto il resto del supporting cast, a cominciare da DeAndre Jordan, il giovane centro rifirmato la scorsa estate con un contratto di una certa importanza che nella passata stagione aveva lasciato non pochi dubbi nel proprio rendimento, tanto che nei finali di partita lo staff tecnico era solito preferirgli Reggie Evans. DeAndre che però in questo inizio di Regular Season ha dimostrato di essere nettamente migliorato e soprattutto di saper raccogliere i frutti dell’avere in squadra un giocatore come CP3.

Oltre a lui le conferme sono arrivate anche da Caron Butler, che si conferma ottimo difensore ed Eric Bledsoe, che dopo una passata stagione piuttosto deludente sta trovando la sua giusta dimensione da cambio del play, risultando utilissimo a produrre punti veloci dalla panchina.

Soprattutto sta facendo una stagione straordinaria Jamal Crawford. Dopo una ventina di partite giocate in stagione, l’ex Blazers sta già ipotecando il premio di sesto uomo dell’anno, grazie a prestazioni di altissimo livello soprattutto negli ultimi quarti, quando ha fatto vincere parecchie partite ai suoi.

Con un nucleo base del genere, ben coadiuvato dai cosiddetti Role Player quali Matt Barnes, Willie Green, Ryan Hollins e Ronnie Turiaf, anche le attuali incognite possono mettersi in pari con i compagni senza particolare fretta. Incognite che prendono il nome di Chauncey Billups, che dopo il grave infortunio della scorsa stagione è rientrato ed ha ripreso ad assaporare il gusto del campo, Lamar Odom, che nonostante le condizioni fisiche con cui si è presentato al Training Camp, sta ritrovando pian piano feeling con il campo (anche se il giocatore ammirato in maglia gialloviola pare ancora un lontano parente) e Grant Hill, che non ha ancora fatto il suo esordio con la sua nuova squadra, ancora fermo per infortunio.

Logico che da questi tre veterani passi gran parte della stagione dei Clippers, che sono assolutamente una squadra da alta classifica, ma che per poter essere davvero una contender ha assoluta necessità del fosforo dei suoi uomini di maggior esperienza, anche e soprattutto per aiutare coach Vinnie Del Negro, che malgrado tutto rimane il vero anello debole della franchigia.

Diverso il discorso per l’altra dominatrice della Pacific Division, i Golden State Warriors. La squadra della baia da tutti era considerata una potenziale outsider per la corsa ai playoff ad Ovest, soprattutto se la Dea bendata avesse avuto un occhio di riguardo sulla salute dei giocatori (piuttosto cagionevoli) di Mark Jackson.

Siccome però la Dea è bendata per definizione, l’occhio di riguardo l’ha avuto solo parzialmente e due dei tre giocatori più inclini all’infortunio hanno già avuto i loro problemi. Andrew Bogut, infatti, dopo sole quattro partite giocate (gli venivano anche risparmiate le gare in back to back per precauzione) si è dovuto fermare per i cronici guai alla caviglia ed è ancora in dubbio la data del suo rientro.

L’altro lungo, Andris Biedrins, nonostante sia a disposizione del coach, può essere sfruttato per pochi minuti a gara, anche perché i guai fisici che l’hanno tartassato in passato gli hanno fatto perdere le caratteristiche atletiche che gli permettevano di essere un centro NBA presentabile.

Al momento però pare che a star lontano dai guai del passato sia Stephen Curry, giovane che nelle passate stagione ha dovuto spesso pagare pegno alla sorte sotto forma di infortuni alle caviglie. L’operazione a cui si è sottoposto in estate però pare aver dato ottimi frutti, nonostante un leggero guaio patito prima dell’inizio della stagione ma subito risolto.

La possibilità di poter contare a tempo pieno sull’ex giocatore di Davidson College è stata una delle svolte della stagione, anche perché con l’allontanamento di Monta Ellis, ceduto a Milwaukee in cambio proprio di Andrew Bogut, il figlio di Dell ha potuto giocare maggiormente con la palla in mano e ha trovato nel secondo anno Klay Thompson la spalla ideale nel backcourt.

Proprio i punti degli esterni, nonostante le percentuali al tiro non idilliache, sono una delle chiavi del record dei Warriors, che ha come altro punto di forza l’apporto sotto i tabelloni da parte di David Lee e di Carl Landry.

L’ex Knicks in questa stagione si sta togliendo parecchie soddisfazioni, smentendo chi in passato lo ha considerato ottimo giocatore ad ammassare statistiche ma poco funzionale alla squadra. Soprattutto funziona benissimo accoppiato a Carl Landry, energico lungo che anche se undersize predilige il gioco interno, permettendo a Lee di giocare dal post.

Non è un caso che i Warriors siano al quarto posto assoluto nella lega alla voce rimbalzi, cosa che garantisce molte seconde opportunità al tiro, ovviando così alle percentuali più basse degli esterni (i lunghi menzionati prima sono invece ampiamente sopra il 50% dal campo).

Ad integrarsi bene in questo meccanismo è arrivato inoltre dal draft Harrison Barnes. L’ala da North Carolina, preso con la settima chiamata assoluta, sta mostrando tutto il suo talento e uno dei difetti che maggiormente gli si imputava, quello di non riuscire a caricarsi la squadra sulle spalle nei momenti caldi della gara, al momento non è una questione prioritaria in quel di Oakland.

A guardare il resto del roster, per la verità, si nota la mancanza di profondità, anche a causa degli infortuni sopra citati. Jarrett Jack, Festus Ezeli, Richard Jefferson, Draymond Green, sono tutti giocatori che stanno dando un contributo alla causa di coach Mark Jackson, anche lui in ripresa dopo una stagione in cui aveva lasciato qualche dubbio sulle sue capacità, ma nessuno di questi pare realmente in grado di cambiare una partita.

Nonostante tutto il buono che stanno facendo vedere, ancora alcuni addetti ai lavori considerano i Warriors una meteora e credono che il tipo di gioco votato alla corsa, unito alla mancanza di una panchina di livello, possano in qualche modo causare un calo nel prosieguo della stagione.

Dubbi tutto sommato ragionevoli, anche se a guardare i freddi numeri, che non dicono tutto ma in alcuni casi dicono molto, si può notare che Golden State è in questo momento la miglior squadra, insieme ai Thunder, contro squadre con record superiore al 50% grazie alle 10 vittorie su 13 incontri, a dimostrazione di quanto sia difficile affrontarli.

Dunque, alla domanda iniziale, la nostra risposta è: Sì. Entrambe le squadre, anche se con obiettivi diversi, potranno davvero arrivare in fondo e i Lakers, se vorranno recuperare terreno, dovranno sudare le proverbiali sette camicie per riuscirci.

2 thoughts on “Warriors e Clippers: i nuovi padroni della Pacific Division?

  1. Nell’analisi di Golden State c’è una pecca, ovvero non aver citato che Brandon Rush sarà fuori per tutta la stagione a causa di un brutto infortunio patito contro Memphis. Il Supporting cast dei Guerrieri della Baia manca anche di questo giocatore, che non è una stella ma sicuramente un ottimo comprimario.

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