Ray Allen si è inserito subito alla perfezione nei meccanismi offensivi degli Heat

21 giugno 2012, LeBron alza al cielo il suo primo titolo NBA, i Miami Heat raddoppiano il palmarès e, dopo due anni di forti pressioni e cocenti delusioni, il progetto dei “Tre  Amigos” giunge alla meta tanto ambita.

Più o meno sei mesi dopo, la formazione della Florida si trova a dover difendere l’alloro conquistato in primavera, ancora una volta da favoriti, ancora una volta senza nessun margine d’errore.

L’estate successiva ai festeggiamenti è stata più che positiva per i Miami Heat: James ha vinto da protagonista l’oro alle Olimpiadi acquisendo ancor più fiducia in sè stesso, il roster campione è stato confermato quasi per intero per dare continuità al progetto e, dal mercato dei Free Agents, è arrivata la ex coppia d’oro dei (furono) Seattle SuperSonics: Ray Allen-Rashard Lewis.

Nel momento in cui scrivo la stagione NBA è giunta quasi a un quarto della sua totale durata e gli Heat la stanno vivendo tra luci e ombre.

Il record attuale parla di 14w e 6L da cui deriva un secondo posto nella, (passatemi l’eufemismo), non iper-competitiva, Eastern Conference.

Se il 70% di vittorie non si può comunque considerare un cattivo record, il dato preoccupante risulta essere la differenza di rendimento tra casa (8-1) e trasferta (4-4). Per puntare con decisione al miglior record in Regular Season il ruolino di marcia in trasferta deve cambiare radicalmente.

Com’è possibile che lo squadrone che ha dominato le ultime due stagioni stia avendo questa (per adesso momentanea) flessione?

Innanzitutto si deve dire che il tanto criticato gioco offensivo ha avuto una positiva svolta durante gli scorsi Playoffs. L’ultilizzo di Bosh come unico e non convenzionale uomo d’area, la libertà totale lasciata a James, l’utilizzo continuo di Wade come secondo violino e il gran numero di tiratori da tre pronti a ricevere gli scarichi sul perimetro continua a dare i suoi frutti: con 103.5 punti a partita segnati gli Heat sono secondi solo a OKC, con il 48% dal campo e il 40% da tre sono ancora secondi dietro i soli Thunder e con 23 assist per partita sono quarti sul totale delle squadre NBA.

Il problema principale non è quindi da ricercare nelle trame offensive della squadra ma bensì nella difesa. I primi due anni dei Big Three erano stati caratterizzati da un traballante gioco d’attacco mascherato però da una grandissima difesa, forse la miglior difesa sul perimetro dell’intera Lega.

Difensori importantissimi sull’uomo quali James, Wade, Battier e Chalmers, inseriti nelle tattiche difensive impostate da Coach Spoelstra, risultavano efficacissimi per fermare qualsiasi tipo di attacco.

Solo pochi mesi dopo gli Heat si ritrovano però in una situazione ben diversa: con 100.6 punti subiti a partita sono la sesta peggior difesa, risultano essere i 28esimi nella classifica dei rimbalzi a partita con 39.6 e ventesimi come percentuale da tre punti concessa agli avversari con il 36%.

La fonte di queste difficoltà è secondo me da ricercare principalmente in due variabili:

1) I due nuovi acquisti, Ray Allen e Rashard Lewis, hanno portato in dote un grande impatto offensivo utilissimo soprattutto per migliorare la, già eccelsa, batteria di tiratori di Miami. Difensivamente però risultano essere quasi dannosi.

Allen, causa le 37 primavere sulle spalle, non può più garantire la difesa di un tempo ma richiede comunque molti minuti in campo (27.6 minuti di media), minuti in cui la difesa sul perimetro risulta più permeabile. Lewis invece, nonostante sia più giovane di Ray, è arrivato in Florida molto fuori forma a causa degli anni bui a Washington. Per questo non riesce a garantire un buon livello difensivo nè quando è chiamato a difendere sulle PF nè quando deve cercare di arginare le SF.

2) La mentalità: dopo aver vinto l’agognato anello sembra che la squadra abbia perso un po’ del mordente che la distingueva quando ancora doveva dimostrare di essere veramente il team migliore.

CAPITOLO RAY ALLEN

In questa mia analisi sulla prima parte di stagione dei Miami Heat vorrei riservare una speciale parentesi a un giocatore che sta dimostrando a tutti perchè è da molti considerato il miglior tiratore puro della storia NBA: Walter Ray Allen da Merced.

La trentasettenne guardia tiratrice è stata scippata in estate agli acerrimi rivali Boston Celtics, causando più di qualche malumore nella città degli iralndesi. Ray ha dichiarato fin dal primo giorno di aver lasciato i verdi per incomprensioni con Coach Rivers, che lo utilizzava sempre meno, e per poter provare ad aggiunger un altro anello alla sua collezione per concludere in bellezza la sua, già importante, carriera.

Le sue cifre parlano di 12.9 punti a partita, il 50% al tiro, il 48% al tiro da tre e l’85% ai tiri liberi, il tutto in 27.6 minuti a partita. Uscendo dalla panchina risulta essere utilissimo per aprire il campo con la sua impressionante precisione da dietro la linea dei tre punti: svolge quindi alla perfezione il compito per cui era stato ingaggiato.

Ma le crude statistiche non bastano a descrivere l’impatto offensivo che sta avendo Allen nei Miami Heat. Ray si portava infatti dietro non solo la fama di grande tiratore, ma anche la fama di giocatore clutch, colui a cui affidare il tiro che decide la partita. Nelle prime 17 partite di questa stagione ben tre si sono concluse con una tripla decisiva scoccata da lui negli ultimi 24 secondi di gioco.

La prima parita chiusa da Allen è stata Denver-Miami del 3 Novembre. Mancano 8 secondi alla sirena, James penetra, viene raddoppiato, scarica nell’angolo per Ray, che infila la tripla+fallo. Miami perdeva di uno e si ritrova magicamente a +3 con 6 secondi ancora da giocare.

Il secondo episodio chiave è avvenuto nel match tra Cleveland e Miami del 25 Novembre. Miami sotto di 1, 18 secondi alla fine, James riceve, finta di penetrare, scarica all’accorrente Allen che da dietro la linea dei tre punti scocca il tiro del +1 che mette in ghiaccio la vittoria.

Ma l’azione più eclatante è stata sicuramente quella in San Antonio-Miami del 29 Novembre. Heat sotto di un punto a pochi secondi dalla fine contro le riserve di San Antonio (la famosa partita non giocata dal trio Duncan-Ginobili-Parker), giocatori demoralizzati per la possibile figuraccia, tra questi James che cerca la solita penetrazione ma senza molta convinzione e rischia di perdere palla. Per fortuna con un guizzo di orgoglio riesce a tenerla e a liberare The Candyman dietro l’arco.

Ray riceve, stacca da terra con il solito movimento fluido e veloce e..immaginate un po’ voi cosa possa essere successo dopo..

Palla in mano a Ray Allen negli ultimi secondi di una partita punto a punto e la si porta a casa, perfino un egocentrico campione come James sembra averlo capito. Riuscirà, il venerando tiratore, a tenere questo incredibile ritmo per tutta la stagione?

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