Damian Lillard non sta deludendo i suoi tanti estimatori…

Il primo mese di NBA è passato, quasi volato per noi appassionati, tant’era l’attesa per rivedere in campo quei fenomeni che ci hanno fatto vivere tante notti insonni.

Quest’anno era tantissima la voglia di vedere soprattutto quelle che saranno le stelle del futuro, figlie di un draft tra i migliori degli ultimi anni. Ad oggi ogni squadra ha giocato circa 15 partite, un numero sufficiente per analizzare quanto i rookie hanno fatto vedere, e cosa ancora possiamo aspettarci da questi giovani fenomeni.

Partendo dalle note positive, non si può fare a meno di cominciare dal miglior esordiente visto all’opera fin’ora: Damian Lillard.

Il play di Portland, scelto alla numero 6, ha fatto vedere già cose fantastiche, e se i TrailBlazers sono vicino al .500 di vittorie, il merito è soprattutto suo. Con 19.1 ppg è il secondo miglior realizzatore della squadra, ma ogni sera regala anche 6.1 ast ai compagni.

Lo spettacolo migliore lo ha offerto sul parquet di casa contro Houston, quando ha segnato 18 punti nel solo secondo tempo, trascinando i suoi prima all’OT e poi alla vittoria. Al momento è il favorito per il premio di Rookie of the Year.

Ad inseguirlo c’è il duo proveniente da Kentucky, Michael Kidd-Gilchrist ed Anthony Davis. La matricola di Charlotte si sta rivelando fondamentale nei meccanismi dei nuovi e positivi Bobcats. Le cifre non sono da capogiro (11.1 ppg e 6.4 rpg), ma la quantità di piccole cose che fa sul campo, ed il livello di maturità che dimostra non hanno valore, e se in Carolina sognano un posto ai playoff il merito è anche di MKG.

L’altro ex Wildcats, prima scelta assoluta, ha mostrato grandi lampi in queste prime partite, ma una serie di piccoli infortuni hanno limitato il suo utilizzo. Finora Anthony Davis è sceso sul parquet solo sei volte, mostrando lampi di immenso talento, e portando alla causa 16 ppg, 8.3 rpg e 2.2 stoppate. A New Orleans però non c’è fretta di far scendere in campo e rischiare la salute di “unibrow”, mentre le quotazioni per il ROY sono in calo.

Ottimi segnali li hanno mostrati finora anche Harrison Barnes (10.1 ppg, 4.8 rpg) e Dion Waiters (15.1 ppg). In due contesti completamente diversi, l’uno vincente, l’altro, un po’ meno, stanno smentendo gli scettici dimostrando di essere già validi starter NBA ed avere potenziale da All-Star.

Lampi di classe, seppur tra prestazioni altalenanti, stanno arrivando da Beal e Valanciunas. Nel disastro della capitale, Bradley Beal viaggia a 11 ppg con un pessimo 32.6% dal campo, partendo talvolta in quintetto ed altre dalla panchina. L’apporto atteso dall’ex Gator era maggiore, ma in una squdra nel caos più totale non è mai semplice giocare, soprattutto per un rookie.

Jonas Valanciunas (9.3 ppg e 5.8 rpg), arrivato un anno dopo essere stato scelto, sta facendo quello che il suo compagno di reparto “non sempre” riesce a fare; prende rimbalzi e difende, ma finora ha sofferto i ritmi serrati del mondo USA, mostrando comunque di essere un validissimo giocatore anche per l’NBA.

Dopo aver esaminato i giocatori che stanno rispettando le attese portando, più o meno, il proprio contributo, analizziamo quelli che invece hanno deluso in questo inizio di stagione, ricordandoci sempre che 15 partite sono un campione effimero per poter dare dei giudizi finali, e che molti dei giocatori che analizzeremo stanno avendo poco spazio nelle rotazioni, non solo per demeriti personali.

Guardando la scelta che hanno speso per lui i Kings, la più grande delusione finora è stata Thomas Robinson. Uscito da Kansas come un giocatore in grado di incidere sin dal primo momento sotto i tabelloni anche a livello NBA, sta avendo poco spazio nelle rotazioni di coach Smart. Al momento contribuisce con 5 ppg e 3.1 rpg, un po’ poco per le attese che lo accompagnavano.

Altri due giocatori che stanno rendendo sotto la media sono Terrence Ross (6 ppg, 1.8 rpg) e Austin Rivers (7 ppg, 3 ast). Ross gioca circa 15 minuti ogni sera, chiuso da Landry Fields; quando però è rimasto sul parquet per più di 20′ è andato quattro volte in doppia cifra. Forse meriterebbe più spazio…

Il figlio di coach Rivers invece ha più minuti a disposizione (circa 30), spesso uscendo dalla panca, con il compito di portare punti ed energia. Rivers finora ha mostrato grandi difficoltà nel compiere le giuste letture, e il 32% al tiro ne è la testimonianza. Ma come detto per Anthony Davis, a NO il tempo non manca e i margini di crescita di Rivers sono ancora molto ampi.

Altra delusione di questo inizio anno è Jared Sullinger. Descritto come “steal of the draft” al momento della scelta dei Celtics, Sullinger ha cominciato la stagione da starter, prima di perdere il posto a favore di Bass. Al momento segna 5.5 ppg e raccoglie 4.3 rpg, in 17 minuti di utilizzo. L’impressione è che stia soffrendo soprattutto dal punto di vista fisico, essendo troppo piccolo per giocare da ala grande, ma lento per essere un’ala piccola.

Una menzione la meritano anche quei giocatori dai quali si aspettava un contributo almeno minimo ma che invece, per demeriti propri, per scelta tecnica o problemi psicofisici, vedono il parquet, nel migliore dei casi, quando è garbage time: Jeremy Lamb, Kendall Marshall, Terrence Jones, Royce White, Perry Jones III.

Chiudiamo questa analisi, commentando le prestazioni di quelli che possiamo definire le “sorprese” dell’anno.

Dopo una stagione passata in Spagna, causa lock-out, Kyle Singler, seconda scelta nel 2011, sta impressionando a Detroit. I Pistons stanno andando a dir poco male, ma nel nuovo corso attuato da Dumars, l’ex Blue Devil troverà sicuramente spazio. Ad oggi contribuisce alla causa con 10 ppg, tirando il 50% dal campo e il 44% da tre, il tutto in 27′ di gioco.

Altra sorpresa, forse più per gli americani che per noi europei, e il russo Alexey Shved. Partito con pochi minuti a disposizione, grazie ad ottime prestazioni, ha conquistato fiducia e spazio nelle rotazioni di coach Adelman. Segna 10.4 ppg, ai quali aggiunge quasi 4 ast; se i T’Wolves nonostante l’infermeria stracolma sono ancora in linea per un approdo alla postseason, il merito è soprattutto della coppia arrivata dalla Russia.

E per rimanere in tema di paesi freddi, l’ultimo giocatore che analizziamo è lo svedese Jeff Taylor. Dopo aver fatto vedere buone cose a Vanderbilt, è arrivato nella disastrata Charlotte e ha saputo subito conquistarsi il posto in quintetto. Segna più di 8 ppg, con un discreto 38% da dietro l’arco. E se i Bobcats non sono più inguardabili, un po’ di merito è anche il suo.

Al momento sono questi i giocatori che più hanno impressionato in positivo e negativo in queste prima parte di stagione. Ma di partite da giocare ce ne sono ancora molte, e sicuramente con il passare del tempo altri talenti sapranno mettersi in mostra, magari riscattando un inizio opaco, o candidandosi a “steal of the draft”.

Finisse ora la stagione, il Rookie of the Year sarebbe senz’altro Damien Lillard, ma i premi si assegnano a fine anno…

2 thoughts on “NBA Rookie Report: un primo bilancio

  1. Drummond merita cmq una menzione , non ha molto spazio ma quei pochi minuti che gioca si fa notare e se continuano a dosarlo senza bruciarlo è uno dei migliori , senz’altro uno dei più futuribili ma anche adesso incide abbastanza.

  2. giustissimo, ma quasi non sapevo dove inserirlo, visto che non è ancora ne delusione, ne nota particolarmente positiva. ci saranno altri report, e magari se ne riparlerà!

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