Durant, Anthony, James e Bryant: un quartetto da sogno, spesso visto in campo assieme a Chris Paul, assolutamente immarcabili…

L’ abbraccio di Kobe a Pau, strepitoso in finale, entrambi all’ ultima partita olimpica della loro carriera.

La maestosa schiacciata ed il tiro da tre punti con cui Lebron James ha respinto, a poco più di due minuti dal termine, gli ultimi assalti spagnoli.

Il trentello elargito da Kevin Durant, record in una finale olimpica per un giocatore in maglia Usa

L’esultanza di coach  Mike Krzyzewsky, alla sua ultima partita sulla panchina di Team Usa.

Lo strepitoso avvio di Juan Carlos Navarro.

Il cuore di Sergio Rodriguez, uno che l’Nba l’ha solo annusata e che ieri ha mostrato perché anche al di là dell’ oceano qualcuno lo ritenesse in grado di competere

Il disgraziato fallo di Marc Gasol nel secondo periodo che ha tolto alla formazione iberica quel vantaggio in termini di centimetri nella lotto sotto i tabelloni.

Infinite sono state le istantanee di una partita, che questa volta ancor più che a Pechino, è sembrata essere incerta per tutti i 40 minuti, mettendo finalmente sullo stesso piano due mondi cestitici che, in quell’ ormai lontano 1992, sembravano essere agli antipodi: mai nella storia recente (dopo la disfatta di Atene) una squadra aveva messo così alle strette il “dream team” (volutamente in minuscolo).

Nonostante questo la Spagna rimane un caso isolato, unica selezione da quattro anni a questa parte in grado di impensierire Team Usa ed erede del testimone lasciato da quell’ Argentina ultima formazione capace di battere, in un torneo olimpico, gli Stati Uniti.

Questo torneo olimpico, non solo la finale, ci ha fatto scoprire una selezione americana profondamente cambiata sia tatticamente, sia per l’atteggiamento mostrato in campo.

Dimenticati gli errori del passato dove spesso lo stesso staff a stelle e strisce non conosceva neppure gli avversari, Londra 2012 ha mostrato al mondo una selezione statunitense europeizzata, conscia delle diverse regole tra Fiba ed Nba e decisa a sfruttarle, utilizzando quell’ atipicità che oggi è segno distintivo dei giocatori americani.

Se andiamo a vedere il bilanciamento offensivo della squadra di coach-K ci accorgeremo che Team Usa ha preso poco meno di 37 tiri da tre punti per partita (segnando con il 44%) e dividendo più o meno equamente le conclusioni da dentro e fuori la linea dei tre punti.

Questo è stato anche il motivo per cui in fase di scelta dei giocatori, Krzyzewsky, ha puntato ad avere più giocatori in grado di segnare dalla lunga distanza, rinunciando invece al gioco interno.

In Europa si può difendere a zona, non esiste la regola dei tre secondi difensiva per cui lo staff americano ha ritenuto di avere maggiori vantaggi nell’ avere meno centimetri ma più tiro.

Per chiarire il concetto basta andare a vedere come la Russia ha difeso su Scola nella finale per il Bronzo, continuando a raddoppiarlo e impedendogli di essere quel realizzatore letale che li aveva asfaltati nei precedenti due scontri.

Il coaching staff americano è stato intelligente nel far diventare le diversità di regolamento dei vantaggi tecnici per i propri giocatori rinunciando magari allo strapotere fisico made in USA per una qualità tecnica maggiore.

Il gioco degli Stati Uniti ha previsto quasi sempre un blocco per il palleggiatore con gli altri tre giocatori che occupavano le posizioni di guardia e gli angoli riuscendo così ad aprire le difese ed a perdere tiri indisturbati. Persino contro la zona messa in campo dalla Spagna raramente si è visto occupare il post alto (punto debole per eccellenza della zona stessa) dal lungo americano ed in quelle poche volte era LBJ a farlo essendo lui il miglior passatore pound for pound della squadra (non vorrei essere poco rispettoso verso Chris Paul)

Kevin Durant, l’ MVP del torneo, un esterno di 2.10, con la linea del tiro da tre punti mezzo metro avanti e le regole Fiba diventa un giocatore pressoché immancabile. Potendo permettersi di giocare da 4 difensivamente ha chiuso il torneo olimpico con 34/65 dall’ arco pari al 56% contro il 39% della regular season Nba ed il 37% dei playoffs.

Lebron James ha fatto vedere al mondo intero cosa significhi essere un giocatore all-around dispensando leadership e mettendosi completamente al servizio della squadra.

Giocatori come Bryant, Love, Paul (e mi fermo qui per non citare tutto il roster americano) hanno giocato pensando solo ed unicamente al bene del team concentrandosi sulle cose da fare per vincere e dimenticandosi lo status che gli apparteneva prima dei giochi olimpici e che gli apparterrà dalla prima partita della prossima regular-season NBA.

Ad un una prima analisi sembrano essere stati questi i maggiori accorgimenti di Team Usa che per una volta non si è intestardito nel voler giocare una pallacanestro che semplicemente con le regole Fiba non ha senso giocare.

Poi ovviamente i segni distintivi sono rimasti; la capacità di mettere in campo difese asfissianti volte a rubare il pallone ed a lanciare la 4×100 americana hanno sicuramente permesso a KD e compagni di giocare un irreale numero di possessi per partita (vicino ai 100) che per confronti sui 40 minuti sono un numero fantascientifico.

Seguendo questo dictat offensivo abbiamo visto spessissimo gli Stati Uniti prendere il primo tiro disponibile coscienti che a certi ritmi nessuna selezione sarebbe stata in grado di fermarli.

Scariolo in finale è stato bravissimo a proporre tutti i tipi di difesa possibile cercando di mandare in confusione la macchina da canestri americana; alla fine della partita il coach bresciano ha giustamente sottolineato come nell’ ultimo periodo avrebbe dovuto rallentare il ritmo per potersi giocare le proprie chance di vittoria ma la squadra era stanca e priva della profondità necessaria per poter mantenere la stessa qualità in campo e quindi non più capace di imporre il ritmo a lei più consono.

Ecco il punto fondamentale e la chiave probabilmente dell’ ennesimo successo americano: la profondità del roster.

Gli Stati Untiti oltre ad una preparazione finalmente all’ altezza della competizione avevano la selezione dal maggior talento medio.

Sembra essere questa la vera differenza tra tutte le selezioni e quella statunitense; se infatti molti starting-five hanno dimostrato di poter competere con quello statunitense il problema, più marcatamente per selezioni come l’Argentina, meno forse per Francia, Russia e Spagna, è sempre stato riuscire a mantenere il punteggio vicino nel momento in cui dalle panchine delle varie squadre uscivano i Gutierrez, i Decolo e Sergio Rodriguez mentre da quella statunitense il primo a subentrare era sempre Carmelo Anthony.

Per chiarire il concetto basti pensare a chi fossero l ‘undicesimo ed il dodicesimo uomo della rotazione a stelle e strisce (Harden e Davis) paragonati al settimo ottavo di qualsiasi altra nazionale.

La Spagna (e forse la Russia ma non possiamo averne la prova certa) ha potuto competere perché in grado di mantenere un livello medio di talento costante in tutti i momenti della partita, tant’è che è stata in grado di assorbire sia il quarto fallo di Marc Gasol che la condizione imperfetta di molti giocatori. La mazzata finale alla partita è arrivata nel momento in cui Scariolo si  è visto costretto a concedere minuti a Reyes, giocatore dal cuore infinito ma inadatto ad un livello del genere, che perdendo due palloni cruciali ha condannato il team iberico.

Troppo ampio ancora oggi il bacino a cui la federazione americana può attingere; pensiamo alle assenze di questa versione a stelle e strisce (Wade ed Howard direi potrebbero bastare) e concludiamo che non hanno minimamente pesato sul risultato finale.

In Spagna molti si sono chiesti cosa sarebbe stata la finale con un Ricky Rubio in più, ma onestamente poco sarebbe cambiato; ad oggi la vera differenza tra team Usa e gli altri è il movimento da cui si può attingere, la quantità di atleti a cui gli Stati Uniti possono guardare ogni volta che devono mettere assieme una selezione per giocare qual si voglia torneo, che sia un Mondiale un pre-olimpico o una Olimpiade.

La Spagna ha trovato un gruppo meraviglioso in grado, a distanza di quattro anni, di ripresentarsi inalterato nei suoi giocatori chiave che nel frattempo erano cresciuti forgiati da stagioni NBA.

Se ci pensiamo bene lo stesso discorso è valso per l’ Argentina se, l’ orizzonte temporale che andiamo a considerare è il quadriennio 2004-2008; ad oggi la Francia, che però inevitabilmente avrà un Parker ed un Diaw in meno, la Russia che tolto Kirilenko ha una età media di 25 anni e forse il Brasile sembrano essere le vere contender per il prossimo Team Usa.

Con l’ormai totale apertura delle frontiere e con la logica conseguenza di avere sempre più giocatori internazionali in Nba si può ottimisticamente pensare che prima o poi qualcuno, in una partita singola possa anche sperare di battere Team Usa ma se, come credo, la Caporetto del 2004 ha insegnato qualcosa, passeranno ancora molti anni prima di vedere una squadra diversa da quella americana salire sul gradino più alto del podio sulle note di Stars and Stripes.

8 thoughts on “Ancora una volta: Team USA

  1. Bellissimo articolo che fa capire perche gli usa hanno vinto e vinceranno ancora

    • Momivento americano troppo superiore al resto del mondo.. fanno scuola e continueranno a farla!

  2. Grande Team U.S.A.
    ma grazie sopratutto alla spagna per averci permesso di vedere gli U.S.A. al loro meglio..
    Ma nella foto ad inizio articolo il secondo da sx non c’entra veramente niente… in radiocronaca è stato massacrato di continuo da Messina

    • E secondo te uno che viene massacrato da Messina non ha il diritto di essere un grande giocatore?! Ma per favore…non bisogna essere campanilisti per forza.

      • Premetto di essere un tifoso Knicks e estimatore di Melo..
        Messina parla con competenza.. ha sottolineato i difetti di Carmelo che in un team dove lui nn è la prima opzione risaltano ancora di più!Ma stiamo cmq parlando di uno dei migliori giocatori dell’ NBA

  3. Andrea
    Era la spagna che ha giocato al loro meglio invece gli usa fino a pochi minuti dal termine (tranne durant) stavano giocando male

    • Può essere ma questo nn significa che nn sappia giocare!nn vorrei tornare al Melodrama ma la più grossa colpa di Carmelo Anthony, in Italia, è stata quella di essere il “colpevole” della cessione di Gallinari e francamente questa cosa la ritengo ridicola! oltretutto penso che quella di Denver sia una “piazza” migliore per il Gallo ma nn è questo il posto per una discussione che sarebbe infinita!

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