Andrew Bynum e Dwight Howard, i due più forti giocatori nel ruolo di centro della NBA contemporanea. Ma non gli unici...

A ormai meno di dieci partite dal termine di questa spossante stagione NBA, è interessante notare come una delle tendenze acquisite per il 2012, manco si stesse parlando di sfilate o di alta sartoria, è quello del ritorno al lungo.

No, non siamo sulle pagine di Rakam e non si sta nemmeno parlando della misura dei pantaloncini da gioco delle casacche indossate da LeBron e compagni. In realtà il lungo del quale si paventa il ritorno in auge è quello occupante la posizione (lo spot per chi ci capisce) numero 5 del roster: il centro.

Dopo l’uscita di scena degli ultimi grandi lunghi degli anni 90, la tendenza dei tecnici della NBA sembrava infatti essere quella di puntare sempre di meno sull’impostazione del centro classico, anche perché Shaquille O’Neal a parte, non sembrava che il college potesse sfornarne di altrettanto fisici e completi tecnicamente: vuoi per il poco tempo che i prospetti passavano al college, vuoi per l’esponenziale crescita fisica che guardie e ali hanno mostrato nel corso delle ultime stagioni.

Lo “small ball” e i centri atipici, sono diventati due totem del piano tecnico di un grande numero di coach che hanno adattato il proprio credo al materiale umano che i draft hanno sfornato.

Quest’anno però, la tendenza che timidamente si era riaffiata nell’ultimo biennio ha mostrato decisi segni di inversione di marcia.

Complice come spesso accade l’apertura ai mercati esteri e quindi ad altri tipi di pallacanestro (leggasi lo sfortunato ma notevole fenomeno Yao Ming), si è ripreso a dare importanza al ruolo del centro se non classico, tradizionale, aggiornando i suoi compiti e ampliando il suo raggio d’azione.

Il catalizzatore definitivo di questa tendenza è stato, dopo l’ormai ex centro degli Houston Rockets il Superman della Florida, Dwight Howard.

Dopo aver saltato il college per evidenti possibilità fisiche e cavalcando una nefasta tendenza che vuole i lunghi già pronti per la NBA al solo raggiungimento della maturità fisica a scapito di quella psicologica e tecnica, l’attuale stella di Orlando è arrivato dopo sette anni di militanza nella lega al rango di stella assoluta nel suo ruolo.

Indubbiamente si tratta di un giocatore unico per fisico e appeal, ma che soprattutto nell’ultimo anno ha fatto vedere come sia controproducente lavorare in un ambiente senza la dovuta concorrenza.

In questo 2012 infatti, complici certamente le voci di una sua partenza e quelle sul suo rapporto con Stan Van Gundy, e  forte del titolo di “unico centro vero della lega”, Howard ha mostrato qualche segno di involuzione, amplificato dalle scelte della dirigenza bianco azzurra che non hanno probabilmente cavalcato in modo produttivo le finali perse contro Los Angeles ormai tre stagioni fa.

Alle sue spalle quindi la concorrenza di cui sopra si è rifatta sotto.

Proprio a Los Angeles, sponda Lakers, in una squadra che storicamente ha sempre amato avere sotto le plance un giocatore che “spostasse” gli equilibri del gioco oltre che gli avversari, è cresciuto oltremodo lo status di Andrew Bynum.

Le sue statistiche in particolare, una volta usciti dal sistema di gioco del triangolo sono esplose. Il suo minutaggio è solito di oltre 10 minuti per gara (complici anche gli infortuni che sembrano averlo graziato un po’ a differenza di quanto successo nelle annate precedenti), i punti raddoppiati sfiorando i 20 di media, i rimbalzi hanno scollinato oltre soglia 12 per gara.

Insomma, tutti gli ingranaggi al posto giusto: unico neo e non proprio irrilevante, la testa. Una testa che continua ad abbandonare l’ex liceale (anche lui) in tanti, troppi momenti topici delle gare, con gesti e pause di preoccupante stupidità.

Con un passato ai Lakers e con questi strettamente imparentato, è invece Marc Gasol, quello che una volta era solo il fratello meno tecnico di Pau.

In realtà il più giovane dei due lunghi catalani è l’unico a poter essere definito centro. Se infatti l’ala di LA è tecnico e un po’ leggero per gli stardard a stelle e strisce, il pivot di Memphis sa unire buone mani ad una presenza difensiva assai più degna.

Da semplice spalla di Randolph infatti, il numero 33 è ormai titolare inamovibile di una delle squadre che dei lunghi fa un uso migliore e più classico, spesso schierando in quintetto due centri come lo stesso Marc e Speights.

I numeri sono anche in questo caso tutti in crescita, per un terzo anno che sembra davvero rappresentare il definitivo lancio da ruolo di role-player a franchise-player: per lui 15 punti a partita, quasi 10 rimbalzi, 3 assist e 2 stoppate.

Parlando di coppie di centri, anche altre squadre ne possono vantare di molto ben assortite.

E’ il caso di Utah che nel momento di una ricostruzione annunciata ha deciso di puntare forte sul duo Paul Millsap – Al Jefferson.

In particolare quest’ultimo giocatore non sembra aver veramente espresso a pieno l’enorme potenziale che madre natura gli ha dato: anche lui fuori dal college senza nemmeno farci un saltino, ha prima rappresentato la speranza del reparto lunghi di Boston, tradato poi a Minnesota nell’operazione big three, è qui che ha trovato suoi migliori numeri, numeri però costruiti in un contesto tecnico perdente e dove sembrava essersi perso definitivamente.

Ai Jazz però sta dando in queste ultime due stagioni segni di leadership importanti, viaggiando tranquillamente intorno a quella quota di 20 punti + 10 rimbalzi che fanno la differenza e tenendo la squadra in linea di galleggiamento per il play-off.

I collegamenti nel mondo e nello sport sono infiniti e ristando appunto sul collegamento che porta a Minnesota è qui che troviamo ad oggi il fenomeno vero delle ultime due stagioni, almeno statisticamente: Kevin Love.

E’ vero, rispetto ai giocatori dei quali si è parlato prima si tratta di un giocatore molto diverso. Impostato per essere un 5 seppure un po’ undersize,  in 24 mesi è passato da 5° scelta di Memphis (guarda un po’) a terzo in comodo per il titolo di MVP a Minneapolis giocando da 4, mettendo insieme cifre spropositate, una striscia di doppie doppie da record e cominciando anche a tirare da tre.

Dopo i primi 19 tentativi del primo anno, Love ha aumentato discretamente il suo interesse per la linea larga e ha portato i suoi tentativi a 282 in quest’anno: risultato? Una percentuale oscillante fra il 30 ed 40% di canestri (più sul 40 a dire la verità) e gara del tiro da tre a suo appannaggio.

Nel frattempo il numero dei rimbalzi ha continuato a viaggiare a cifre da sogno e anche se ad oggi non siamo a livello 2011, la cifra è ben sopra i 13 a partita.

Certo, non si tratta di un centro puro e la presenza a roster di Ricky Rubio quest’anno ne ha favorito di molto la pericolosità offensiva, ma questo nulla toglie al suo impatto sulla lega.

La lista che abbiamo timidamente cominciato parlando di Howard come unico centro vero della lega potrebbe andare avanti ancora, ma i nomi sono tanti: ad Atlanta, gli Hawks hanno dovuto fare i salti mortali quest’anno per ovviare all’assenza di Al Horford, complice una spalla slogata; gli Indiana Pacers hanno basato una gran parte della ottima stagione messa in campo sui numeri e sulla presenza di Roy Hibbert, la sponda Clippers di Los Angeles è impazzita durante l’estate per l’arrivo di Cris Paul e per i numeri di Griffin, ma DeAndre Jordan si può considerare difensivamente come uno dei giocatori più migliorati per impatto e per carattere della western conference.

E che dire di Noah, Maxiell, Gortat, i fratelli Lopez, Samuel Dalembert che era stato dato per finito e a Houston ha trovato un buon ambiente per ritrovarsi?

Insomma sono tutte storie che messe insieme dimostrano una tesi ben precisa.

Il ruolo di centro non è scomparso, semmai si è evoluto, si è adattato al generale innalzamento del livello di fisicità e velocità che gli altri ruoli hanno imposto alla NBA e se è vero che l’ultimo centro MVP della lega è stato Shaq nel 1999-2000 (Duncan e Garnett lo hanno vinto ma restano più ali grandi) è altrettanto vero che vincere un anello è sempre difficile senza un centro di spessore.

Ultimo esempio arriva proprio dai più recenti campioni: Tyson Chandler.

I Dallas Mavericks hanno sovvertito un pronostico che li voleva perdenti contro i predestinati Miami Heat anche perché questi ultimi non hanno trovato il modo di conciliare la difesa su Dirk Nowitzki mentre al suo fianco Chandler dominava le aree pitturate.

Chandler è l’esempio perfetto di come un giocatore possa maturare lentamente ma costantemente, di come il ruolo di centro è prima di tutto un ruolo difensivo, di creazione di gioco per gli altri, un ruolo di leadership, di come sia forse più degli altri un ruolo nel quale non si può improvvisare e dove i fondamentali devono essere solidi.

La carriera di Chandler, dalla delusione a Chicago alla rinascita con New Orleans e Dallas, dimostra che non è il ruolo di centro ad essere in crisi, ma quel modello che vuole i giocatori pronti subito dopo il liceo, senza la necessaria conoscenza della tecnica.

Non a caso in questi anni la NBA ha pescato in questo ruolo più che negli altri dall’estero, dove gli atleti sono maturati giocando tornei con avversari di livello e tattiche differenti, adattandoli poi alla mentalità americana.

Sarà questo anche il destino di Andrea Bargnani? Certamente il nostro alfiere non è un 5, ma la speranza è di vederlo costantemente fra i migliori del suo ruolo e magari dopo una trade in una squadra più ambiziosa, poterne parlare come un centro atipico che ha dato nuove definizioni al ruolo che per primo ha solleticato la fantasia dei tifosi NBA.

8 thoughts on “2012: il ritorno del centro?

  1. Dimenticate Cousins che in prospettiva è destinato a diventare un all-star se mantiene le promesse.

  2. DeMarcus Cousins.. è l’unico centro di cui quest’anno io abbia visto tratti di DOMINIO puro in attacco.. favoloso.. la testa è quella che è ahimè..

    ..e come dice Zo il mitico Monroe!!

    • Oddio, forse l’unico no: Bynum ha dimostrato il fatto suo in piú di una circostanza, Howard non è un fine realizzatore ma incute timore da ambo i lati e anche Hibbert, pur se mai del tutto convincente, ha detto la sua in varie circostanze.

  3. e Pekovic? da quando ha cominciato a giocare titolare, le sue statistiche si sono impennate.
    Minnie ha un’accoppiata PF + C impressionante, in prospettiva.
    Noah e (soprattutto) Maxiell ed Horford sono due PF, come Big Al, reimpostato con ottimi risultati. A Utah hanno anche Favors e Kantor, vediamo chi sacrificano e per cosa.
    DeAndre… migliorato si. Gran fisico, si. Impatto difensivo… uhm… continua ricerca della stoppata, letture work in progress.

  4. tutte considerazioni più che legittime e difficilmente opinabili. Sta di fatto che il gioco è cambiato ed una squadra non costruisce più le sue aspirazioni di titolo attorno al centro (vuoi anche per mancanza di talento sufficiente in quei ruoli), il quale nella maggior parte delle squadre è relegato a ruolo più o meno di gregario. Gioco più veloce, i bigman perdono d’incidenza. Ragionamento banale. Poi dipende dalla filosofia tattica di ogni squadra, ma questa è un’altra storia.

  5. Beh ne prendo atto,sottoscrivo (tranne che per Love,che é chiaramente un Ala) e mi dispiace.Ormai il centro é diventato una macchina da rimbalzo,pressoché rimbalzo difensivo e scarsa tecnica e pochi movimenti utili dal post e qualche schiacciata,come confermano i top center di oggi Howard e Bynum.Io credo che un centro tecnico ma agile possa essere una grossa arma in più.E’ anche vero che al momento centri di questo genere non se ne vedono.

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