Vinny Del Negro e Kenyon Martin: 2 dei protagonisti della stagione luci ed ombre dei Clippers

Se è vero che “it’s always darkest before the dawn”, è altrettanto vero che per i Clippers si sia potuto parlare di una vera e propria notte polare, perché è durata un po’ tantino, diciamo dal 1970 circa, casualmente anche l’anno di fondazione della franchigia…

Infatti questa non è una squadra per cui si possa usare il classico “alterne fortune”, in quanto, salvo rari lampi come le semifinali di conference del ’76 con McAdoo stella della squadra e il biennio-Brown ad inizio anni ’90, di fortune non ce ne sono mai state.

Eppure, nonostante le premesse, nel giugno del 2009 le cose hanno iniziato a prendere una piega decisamente diversa, con la chiamata, al numero 1 del Draft, di Blake Griffin da Oklahoma, un giocatore finalmente dotato e di uno spessore cestistico e di un’attrattiva capaci di risollevare le paludate sorti dei Clips; c’è da dire che la sfortuna abbia certificato la propria buona mira (e sense of humour) anche in questo caso, posticipandone l’esordio di un anno con una frattura al ginocchio sinistro patita dopo una schiacciata.

Così, seppure un anno dopo, si è potuto iniziare ad ammirare i prodigiosi balzi a canestro del succitato Griffin, autentico supereroe capace, nel giro di pochi mesi, di essere convocato all’All Star Game (primo rookie dal 2003, primo eletto dai coach dal ’98) con medie di 22.5 punti, 12.1 rimbalzi e 3.8 assist a partita, di saltare un’auto munita di Barone sulle note gospel di “I believe I can fly”, e di cambiare parzialmente la percezione, assieme ad Eric Gordon, altro campione in erba, di un’intera Lega verso il suo team.

La possibilità di costruire attorno all’ex aspirante Berretto Verde ha anche portato il primo mercato produttivo, o comunque il primo della storia recente, dei Clippers: è infatti arrivato dagli Hornets CP3, aka Chris Paul, forse la miglior point guard del mondo al pari di Derrick Rose, in seguito all’intervento del commissioner David Stern che gli ha impedito, in qualità di momentaneo proprietario di New Orleans, di trasferirsi ai Lakers, favorendone così l’esodo verso l’altra sponda cittadina; e poco importano le rinunce a Gordon e Kaman, spediti nel cul de sac della Big Easy (e casualmente entrambi soggetti a lunghi stop in una squadra, per così dire, non del tutto stimolante).

E la firma di Paul non è stata l’unica di una certa rilevanza: sono arrivati alla corte di coach Del Negro anche Chauncey Billups, in cerca di riscatto dopo i mesi newyorchesi, e Caron Butler, reduce dal titolo vinto da spettatore a Dallas, entrambi All Star nel recente passato (Mr. Big Shot è anche qualcosa di più, per leadership ed esperienza). A loro si aggiunge un Mo Williams, già preso a febbraio 2011, alla prima stagione completa in California.

Di conseguenza, la stagione è iniziata bene, 20 vittorie in 31 partite alla pausa, successi contornati da decine di highlights targati “Lob city”, nickname immediatamente coniato da Griffin per le alzate che avrebbe (e ha) ricevuto dalla point guard della North Carolina, e si può immaginare il leggendario fan multimilionario Jimmy Goldstein estasiato dopo anni di magre.

E quello della spettacolarità è un aspetto molto sentito, specialmente a Hollywood e dintorni, soprattutto in un anno in cui i rivali cittadini hanno fatto dei grossi passi indietro sotto questo profilo: con Brown i Lakers hanno provato una conversione ad un gioco controllato e più big-men oriented, anzi big-man vista la netta propensione del coach a far servire Bynum (come seconda opzione dopo il 24, ovviamente) piuttosto che Gasol inspiegabilmente indesiderato. Risultato, lo Showtime, one-on-one di Kobe a parte, sembrerebbe essersi spostato verso l’altra metà del cielo dello Staples, quella storicamente più sfortunata.

La cosa non è andata giù particolarmente bene ai gialloviola, molto più preoccupati di perdere uno status apparente che per l’effettivo record dei cugini; a riprova di ciò, all’alba del 2012 si può infine parlare di vero e proprio derby angeleno dopo 28 anni di convivenza, derby nel vero senso della parola, tensione-provocazioni-intensità, come si è visto mercoledì scorso con la doppia posterizzazione (la seconda con annessa manata in faccia) di Griffin sul malcapitato Pau, che si aggiunge agli 11 falli tecnici fischiati nei primi 2 matchup fra le franchigie (nel 113-108 Lakers di della scorsa settimana ne è stato fischiato solo uno, stranamente).

Inevitabilmente, dopo l’inizio positivo sono iniziati i problemi: il 6 febbraio Billups si è dovuto fermare causa un problema al tendine d’Achille sinistro nel finale della partita contro i Magic, stop estesosi all’intera stagione in seguito agli esami del giorno successivo.

In seguito alla sua defezione è iniziato un periodo eufemisticamente poco brillante per la squadra, 12 sconfitte nell’arco di 19 partite. Questa striscia negativa ha quasi portato l’owner Donald Sterling a licenziare Del Negro, salvato da 7 vittorie nelle ultime 8 partite a cui hanno contribuito diversi fattori.

Il primo è il rendimento delle due star, sempre a livelli altissimi dal 25 dicembre ad oggi: Griffin ha sostanzialmente mantenuto il rendimento dell’anno passato con dei leggeri cali, fatto perfettamente spiegabile con la presenza di diverse bocche da fuoco, tenendosi comunque su un perenne 20+10; l’unico calo preoccupante nella stagione del “nuovo Karl Malone” è la percentuale ai liberi, sotto al 55%, dato che per un giocatore di questo tipo può costituire un problema non indifferente.
CP3 ha invece preso in mano la squadra come se giocasse ad L.A. da anni; impressionanti sono soprattutto le cifre che parlano della saggezza del giocatore, come il rapporto assists/turnovers, al momento di 4.3, secondo solo a Josè Calderon dei Raptors, e la percentuale dal campo (48.1%), numeri che, accoppiati con 19.3 punti, 9 assist e 2.4 recuperi, danno l’idea di quale sia il suo apporto serale.

A riprova dell’ottima stagione disputata finora, entrambi sono stati inclusi nella shortlist di USA Basketball per Londra (anche Billups lo era) ed è molto probabile la loro inclusione nei 12 finali, sebbene ci siano parecchi dubbi sull’efficacia di Blake in un contesto FIBA, portato a sfavorire gli attaccanti molto fisici.

Il secondo fattore è stata l’energia portata dai neo-acquisti. La prima addizione, di ritorno dalla “trionfale” esperienza cinese, è stato Kenyon Martin, preso per rimpolpare un reparto lunghi obiettivamente corto, con i soli Ryan Gomes, peraltro lungo sottodimensionato, ed Evans a fare da cambio a Griffin e DeAndre Jordan, in grande crescita come intimidatore e rimbalzista.

Al lungo da Cincinnati è seguito, in una trade degli ultimi giorni di mercato, Nick Young, esterno giovane preso per essere l’Al Harrington della squadra, ovvero uno che entra, con Mo Williams, e si prende una raffica di tiri veloci per tenere alto il ritmo con il primo quintetto in panchina.

Onestamente, credo che i provvedimenti presi non abbiano migliorato la squadra aldilà di questo slancio iniziale: Martin è una personalità di difficile gestione che ha già esaurito le proprie cartucce migliori, mentre Young è un giocatore avulso dagli schemi praticamente di ogni squadra in cui vengano contemplati passaggi e spaziature, di sicuro non un sostituto all’altezza di Billups, o di Foye, di cui ha preso il posto come sesto uomo, mentre la guardia ex-Minnesota è scalata in quintetto. Sarebbe stato forse più “fitting” Jamal Crawford, che ha anche qualità di playmaking ed era disponibile sul mercato causa la svendita marzolina dei Blazers.

I Clippers restano una squadra corta, molto più delle altre contenders della Western Conference, se si pensa ai Thunder, agli Spurs, persino ai claudicanti Mavs (i Lakers sono altrettanto corti ma hanno molte più soluzioni), e molto dipendente dalle proprie stelle, una delle quali non ha mai giocato una serie di playoff.

Al momento è probabile l’accoppiamento con i Memphis Grizzlies, squadra che si è dotata di una certa profondità, vedi il momentaneo impiego da sesto uomo di Randolph o la firma dell’Agent 0, e che darebbe vita ad una serie imprevedibile e spettacolare come non se ne vedono spesso.

Qualora passassero, probabilmente i Clippers non andrebbero oltre il secondo turno, cosa comunque impensabile solo 12 mesi fa, e la vittoria di questa stagione è proprio questa, aver dimostrato di potersela giocare per posizioni alte e di essere una franchigia che non si macchia più di un masochismo in passato inspiegabile.

4 thoughts on “Luci e ombre della stagione dei Clippers

  1. …tutto dipende da come sarà la griglia dei playoff, discorso che vale per loro ma anche per gli altri team…

  2. non credo, nel senso che nelle giuste condizioni thunder, spurs e forse lakers possono vincere qualunque serie, per profondità, esperienza e caratteristiche. non credo che i clippers possano farlo, posto che al primo turno saranno favoriti sia con i grizzs che soprattutto con i rockets, le più probabili avversarie. successivamente è difficile che abbiano molte chance, specialmente contro i thunder nella serie che sarebbe la più logica al secondo turno. con billups sarebbe stato forse diverso, ma con questi presupposti il massimo che ci si può aspettare dall’eventuale confronto è qualche foto-copertina, magari un deja vu griffin-perkins, un’immagine che resta, come quella del Barone su AK47 nel 2007, ma non cancella il fatto che alla fine abbiano vinto gli altri. comunque sarò felicissimo in caso di un’eventuale smentita sul campo, I worship CP3, specialmente dopo la rimessa da fondo sulla schiena di LeBron all’ASG

  3. I clippers non andranno oltre il primo turno secondo me, e i lakers stanno ancora una pista avanti con tutti sani!
    Vorrei capire perché si da così tanta importanza al fatto che griffin ha schiacciato in testa a gasol! E allora? No perché sembra che pau sia lo sfigato che non ha dimostrato ancora un cazzo sul parquet mentre il saltarellino il campione piu vincente e piu affermato!

    • …oltretutto era fallo di Griffin su Gasol che prende una signora gomitata da Blake…

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