Julyan Stone: il sorriso di un giocatore per il quale fare un roster nella NBA è già un sogno che si è avverato...

John Lucas III, Terrel Harris, Greg Stiemsma, Julyan Stone.
Eddie House, Keith Bogans, Gilbert Arenas, Nate Robinson, Erick Dampier, Michael Redd.

Qual è la differenza tra il primo gruppo di giocatori e il secondo?
Potrebbe sembrare strano, ma i primi stanno facendo il roster in NBA, mentre i secondi sono ancora a spasso.

Infatti per motivi più o meno validi molte dirigenze preferiscono completare la squadra con queste meteore più o meno sconosciute, a volte cercando il colpo a sorpresa e a volte probabilmente firmando gente che a malapena conoscono.

Il motivo? Innanzitutto costano molto meno, non chiedono altro che il poter comparire a roster, essendo già questo l’obbiettivo che si erano prefissati in preseason; sono buona pubblicità per la D-League, il cui motto è appunto The NBA dream stars here; e infine più semplicemente a molte squadre non importa dell’effettiva qualità degli ultimi del roster, e si accontentano di firmare qualcuno giusto per “far numero”.

In questo articolo andremo appunto a conoscere brevemente i nomi più improbabili presenti oggi in NBA, quelli che meno di tutti avremmo creduto potessero fare la squadra.

Ovviamente non ci aspettiamo di vedere la maggior parte di loro ancora nella lega a fine stagione (anzi…), il nostro lavoro è di pura curiosità: a volte per un giocatore la NBA è più accessibile di quanto non sembri.

14) Julyan Stone, Denver Nuggets (PG, 1.98, UTEP)

Cominciamo con il nome meno improbabile di tutti: Stone infatti è un giocatore piuttosto intrigante, tanto che all’ultimo draft si è vociferato di una promessa dei Lakers per lui al secondo giro.

Rookie, è reduce da una buonissima carriera collegiale alla University of Texas at El Paso: buon playmaker, atletico e dotato di tanti centimetri, difensore e rimbalzista di livello, gli si può chiedere qualunque cosa sul parquet tranne che segnare.

Se infatti il basket non chiedesse appunto di fare canestro, Julyan sarebbe indubbiamente tra i migliori giocatori che si possano trovare; purtroppo questo aspetto conta abbastanza, e Stone offensivamente è molto deficitario. Tanto per fare un esempio, non ha mai raggiunto la doppia cifra di media in punti nel quadriennio al college, facendo anzi registrare medie più alte per rimbalzi e assist nei primi due anni.

13) Chris Wright, Golden State Warriors (SF/PF, 2.03, Dayton)

Troviamo qui un altro rookie, anche lui in mezzo alla tonnara di nomi che sono andati a giocarsi una seconda scelta all’ultimo draft NBA: non è riuscito a trovare estimatori tali da guadagnarsela, nonostante l’ottimo quadriennio a Dayton, ma come “consolazione” (a dirla tutta neanche troppo consolante) è stato scelto con il terzo pick assoluto nel draft della D-League a inizio Novembre.

Atletone e giocatore abbastanza completo, carente tuttavia di un convincente gioco perimetrale tale da permettergli di giocare stabilmente da ala piccola, va ora in una squadra che potrebbe essere adatta alle sue caratteristiche; i Warriors inoltre hanno ultimamente dimostrato una buona capacità nello scovare carneadi, generalmente proprio dalla D-League, vediamo se hanno visto giusto anche con questa sorta di Josh Smith dei poveri (ma molto poveri).

12) Donald Sloan, Atlanta Hawks (PG/SG, 1.91, Texas A&M)

Classica combo-guard americana, fondamentalmente una shooting guard sottodimensionata ma senza alcune fondamentali qualità per poter giocare stabilmente da point guard. L’anno scorso aveva fatto molto bene in Summer League con i Sacramento Kings, firmando molto presto un contratto annuale non garantito; non aveva però passato i tagli finali del Training Camp, e alla fine ha disputato la scorsa stagione tra la D-League e le Filippine.

A fine Ottobre ha indossato la maglia della nazionale americana come guardia titolare ai Pan American Games di Guadalajara, competizione in cui gli USA si sono classificati al terzo posto presentando appunto una selezione di giocatori della D-League.
E’ riuscito a fare il roster degli Hawks a scapito di Pape Sy e di Brad Wanamaker.

11) Trey Johnson, New Orleans Hornets (SG, 1.96, Jackson State)

I suoi quattro anni di carriera professionale sono stati un continuo alternarsi di grandi prestazioni in D-League, comparsate più o meno buone in Europa e decadali in NBA (l’anno scorso con Raptors e Lakers).

Guardia realizzatrice, con buone doti di coinvolgimento dei compagni che lo dirottano talvolta nel ruolo di point guard, ha beneficiato come altri dell’estrema carenza di giocatori a roster a New Orleans, riuscendo a superare i tagli ma tuttavia trovandosi ora chiuse le prospettive di un minutaggio anche minimo a causa delle mosse di mercato degli Hornets.

E’ passato anche dalle nostre parti, brevemente a Biella e poi quest’estate a Teramo, dove non è riuscito neanche a esordire per via di un infortunio al retto femorale.

10) Josh Davis, Memphis Grizzlies (PF, 2.03, Wyoming)

Sì, “quel” Josh Davis. Il trentunenne che fino a pochi mesi fa era decisivo per garantire la “salvezza” (virgolette d’obbligo) a Teramo, quello che ha girato incessantemente tra Italia, Grecia, Spagna, Russia, Ucraina, Porto Rico, CBA, D-League e anche NBA (qualche anno fa ha racimolato 52 presenze in tre stagioni).

Giocatore atleticamente e fisicamente sotto standard, ma intelligente e completo in attacco, ciò per cui veramente impressiona e che probabilmente ha avuto la massima parte nel fargli ottenere un posto a roster è la quantità incredibile di hustle, di lavoro sporco, che mette in campo: non è il prototipo del bianco mollaccione casellante in difesa, al contrario ha una “garra” notevole, si butta su ogni pallone e sa difendere con ottimo tempismo.

Già l’anno scorso con i Grizzlies in preseason, quest’anno tra l’infortunio di Arthur e la situazione di Haddadi (bloccato in Iran per questioni burocratiche) è riuscito a ottenere un posto a roster.

9) John Lucas III, Chicago Bulls (PG, 1.80, Oklahoma State)

Figlio d’arte (suo padre ha giocato quattordici stagioni in NBA) e fratello del Jai Lucas che qualcuno forse ricorderà fino a poco tempo fa al college con Florida e Texas, è un altro dei veterani viaggiatori della palla a spicchi che si possono trovare in questo articolo.

Ormai ventinovenne, ha infatti alle spalle una lunga serie di dominanti prestazioni in D-League e in Cina, vari anni di Summer League e preseason NBA e anche qualche comparsata poco entusiasmante in Europa, particolarmente a Udine e Treviso; inoltre nei suoi primi due anni di professionismo è riuscito a racimolare un totale di 60 presenze con la maglia degli Houston Rockets.

L’anno scorso si è ritrovato sotto l’ala protettiva dei Chicago Bulls che, probabilmente interessati alla sua esperienza e aggressività, lo hanno portato al training camp e in seguito firmato per qualche tempo in regular season; tuttavia è riuscito a giocare solo due partite per la squadra di Thibodeau, tra l’altro sbagliando due liberi fondamentali in una sconfitta di un punto a Denver.

Quest’anno la storia si è ripetuta, con la differenza che il ragazzo è riuscito da subito a far parte della squadra come terza point guard, a scapito di Jannero Pargo.

8) Greg Stiemsma, Boston Celtics (C, 2.11,Wisconsin)

Centrone bianco che fin dal college si è costruito la fama di gran difensore che ha tutt’ora, è il secondo giocatore tra quelli che presentiamo ad avere indossato la maglia di Team USA ai Pan American Games 2011, giocando da centro titolare. Nei quattro anni a Wisconsin non ha mai superato i dodici minuti di media di impiego, e non c’è quindi da stupirsi del fatto che sia passato inosservato alla totalità degli addetti ai lavori; la sua carriera professionistica comincia con un anno tra Turchia e Corea del Sud, prima di approdare in D-League l’anno dopo. Il campionato termina con il nostro che fa registrare un nuovo record stagionale di stoppate, si merita il titolo di “Defensive Player of The Year” e strappa un decadale con i Wolves, senza però mai scendere in campo.

A questo punto si interessano a lui molte squadre, tra cui anche il Maccabi Tel Aviv, e alla fine la spunta il Turk Telekom Ankara: chiude la seconda esperienza turca come miglior stoppatore del campionato, per poi firmare quest’estate un contratto in Georgia con il Sokhumi Tbilisi. L’esperienza con la squadra caucasica non comincia nemmeno e Greg torna in D-League prima di essere appunto chiamato dai Celtics, con i quali riesce a fare la squadra grazie alle carenze del reparto lunghi.

7) Terrel Harris, Miami Heat (SG, 1.96, Oklahoma State)

Al college era considerato un possibile prospetto da NBA, particolarmente come classico uomo “di sistema”, atto a difendere, far circolare il pallone e tirare sugli scarichi; poi non ha pienamente rispettato le attese, riuscendo a essere sì quello che si pensava, ma in D-League.

Ad ogni modo gli Heat hanno visto in lui qualità che potenzialmente si incastrerebbero bene nel loro roster, e lo hanno voluto per la preseason: Terrel ha usato come meglio non avrebbe potuto tale palcoscenico, strappando parole di apprezzamento a Spoelstra e addobbando il suo esordio con 16 punti e 4/5 da tre, risultando decisivo nella vittoria contro i Magic.
Risultato: Harris confermato e tale Eddie House mandato a casa con tanti ringraziamenti.

6) Lance Thomas, New Orleans Hornets (PF, 2.03, Duke)

Titolare nella Duke campione NCAA nel 2010, probabilmente non sono molti quelli che alla fine del suo quadriennio collegiale gli avrebbero prospettato la possibilità di avere una chance di giocare in NBA.

E invece Thomas ha fatto ricredere molti: dopo un anno di apprendistato alla migliore scuola della D-League, gli Austin Toros di proprietà degli Spurs, è riuscito -come il Johnson di prima- ad approfittare della carenza di giocatori nel roster degli Hornets per trovare un posto in squadra, ora comunque anche per lui meno sicuro a causa dei rinnovi di Landry e Smith e dell’arrivo di Ayon.

Difensore eccezionale e in generale tipologia di giocatore che pare disegnato per coach K, proprio in occasione della finale contro Butler si distinse a tratti per l’ottimo lavoro su Gordon Hayward. E’ il terzo e ultimo giocatore in questa lista ad avere fatto parte della selezione americana agli ultimi Pan American Games.

5) Mychel Thompson, Cleveland Cavaliers (SG/SF, 1.98, Pepperdine)

Altro “raccomandato” di cui scrivo, è infatti figlio del Mychal Thompson che fu prima scelta assoluta anni fa (e in seguito compagno di squadra di Byron Scott ai Lakers…), nonchè fratello maggiore del Klay scelto quest’anno da Golden State. Rookie anche lui, avendo appena concluso il quadriennio collegiale, ma molto lontano dal talento del fratellino, è tuttavia ugualmente uno scorer di discreto livello per scenari diversi dalla NBA.

Dopo essere stato draftato in D-League al terzo giro (scelta n. 39, i giri in tutto sono otto), ha cominciato la stagione viaggiando a medie altissime (20 punti, 5 rimbalzi, 2 assist, 2 steal e 2 stoppate), cosa che probabilmente ha influito sulla scelta dei Cavs di concedergli una chance con loro. Per fargli posto a Cleveland hanno tagliato Manny Harris, che per un infortunio non si era potuto allenare in preseason.

4) Ivan Johnson, Atlanta Hawks (PF, 2.03, California State-San Bernardino)

Lungo ventisettenne che il sottoscritto conosce pochissimo, dal momento che per istinto di conservazione tende a evitare di vedere partite di D-League. Infatti, tolta la lega di sviluppo, la carriera di questo tremendo all-around si è divisa tra Corea del Sud e Porto Rico, oltretutto uscendo da un college di Division II (dopo essere passato di sfuggita da Oregon).

Tecnicamente sa appunto fare un po’ di tutto: segnare in vari modi, andare a rimbalzo e soprattutto difendere; solo sembra gli faccia grosso difetto la testa, tanto da riuscire a guidare la D-League per numero di falli tecnici raccolti, con il secondo che arriva ultimo.
Chiudo citando le parole di uno che la sa sicuramente più lunga di me, Scott Schroeder, massimo esperto della D-League di cui abbia notizia (non un titolo ambito, me ne rendo conto): “In all honesty, I think Ivan Johnson is the only thing keeping Ivan Johnson out of the NBA”.

Visti i pochi strumenti a mia disposizione mi limito a fidarmi di queste parole, vedremo se gli Hawks saranno dello stesso parere; di certo c’è che già non ci si aspettava che a passare i tagli fosse appunto il buon Ivan, a scapito di Keith Benson e Magnum Rolle.

3) Mickell Gladness, Miami Heat (C, 2.11, Alabama A&M)

Da parte mia al college si era avvicinato alla definizione di giocatore di culto o quasi (il cognome ha la sua parte) giocando nella sommersissima e poco attraente Alabama A&M, a un livello in cui dominava in modo imbarazzante prima di tutto fisicamente.
Trattasi del prototipo di giocatore capace di andare in doppia doppia… per rimbalzi e stoppate: per rendere l’idea, nel suo anno da junior ha viaggiato a medie di 7.6 punti, 7.6 rimbalzi e 6.3 stoppate (!); certo, il tutto nella SWAC, non esattamente la conference più difficile in NCAA, per usare un eufemismo.

E infatti non è riuscito a ripetere a livello più alto le cifre clamorose registrate al college: dopo la prima esperienza professionale in Olanda, che ha lasciato per mancanza di ambientamento, è approdato in D-League, dove aveva appena cominciato la sua terza stagione; in sostanza, piuttosto immaturo anche per la lega di sviluppo, ma in costante miglioramento fino a mettere in mostra i maggiori progressi proprio quest’anno.

Nota a margine, ma neanche tanto: detiene tutt’ora il record NCAA per stoppate fatte registrare in una singola gara, da quando in una partita di conference nell’anno da junior chiuse a quota 16; la cosa interessante è che alla partita seguente “si fermò” a 13, per la notevole somma di 29 stoppate nel giro di due/tre giorni.

2) Carldell “Squeaky” Johnson, New Orleans Hornets (PG, 1.78, UAB)

Del bellissimo soprannome so soltanto che glielo ha dato sua madre quando era bambino, ma già da solo basta per farlo salire di molti punti nella mia personale considerazione. Prodotto localissimo, essendo nato a New Orleans ormai ventotto anni fa e ivi cresciuto, è ormai da tempo una bandiera degli Austin Toros della D-League.

Point guard veloce e altruista ma con una dimensione realizzativa ancora piuttosto carente, pare abbia impressionato Monty Williams per l’asfissiante difesa e pressione sulla palla, tanto da garantirgli per ora il posto in squadra a scapito di Jerome Dyson (questi probabilmente tra i migliori giocatori presenti nella lega di sviluppo).

Come già i suoi compagni di squadra di cui si è parlato prima, anche lui si è visto ridimensionato drasticamente il ruolo in squadra e di conseguenza le possibilità di farne parte: da seconda point guard dietro a Jarrett Jack, si è visto ora arrivare in squadra anche Greivis Vasquez.

1) Dennis Horner, New Jersey Nets (PF, 2.06, North Carolina State)

Si merita il primo posto il versatile e tignoso lungo attualmente ai Nets, che credo nessuno avrebbe mai pronosticato capace di fare squadra in NBA; le stesse notizie sulla sua unica stagione di background cestistico sono piuttosto frammentarie, e per esse dobbiamo ringraziare Jonathan Givony.

Dopo un quadriennio da onesto giocatore di ruolo a North Carolina State, ha cominciato la sua carriera professionistica in una non meglio precisata squadra del Belgio; ma è durata poco, dato che il nostro è stato tagliato con la squadra in fondo alla classifica.
A questo punto passa a Cipro, non esattamente il primo posto che vi viene in mente se scrivo la parola “basket”; anche qui la squadra è tra le peggiori, ma Horner va abbastanza meglio, a quanto sembra però senza riuscire a essere niente di più che un buon giocatore da rotazione

Poi quest’estate tenta la carta della D-League e, dopo qualche provino in cui impressiona favorevolmente, riesce a essere draftato al terzo giro (quarantottesima scelta assoluta) e a essere firmato.

Gioca solo tre ottime partite, abbastanza per garantirsi la chiamata di New Jersey, dove è appunto riuscito a fare la squadra.

La menzione d’onore va a Cory Higgins, guardia uscita quest’anno da Colorado e in seguito draftata in D-League con la settima scelta assoluta; la sua firma in NBA è avvenuta dopo la stesura di questo articolo, permettendoci solamente una veloce aggiunta.

Per la cronaca, è stato firmato dai Bobcats, il cui President of Basketball Operations è tale Rod Higgins. Sì, suo padre.

 

6 thoughts on “Gli improbabili della NBA

  1. bel pezzo. ma la ripetizione continua del “fare la squadra” e “fare il roster” magari è un po’ troppo, dato che in italiano o non esiste (fare il roster) o ha un altro significato (fare squadra significa essere uniti e aiutarsi a vicenda). perché non “entrare a far parte” o semplicemente “fare parte” del roster/squadra?

    • Vero, l’espressione in italiano non esiste strettamente, ma è un “anglismo” che ho sempre utilizzato e sentito utilizzare, non avevo percezione fosse sbagliata (anche perchè mi sembra quella che meglio rappresenta la situazione che mi proponevo di descrivere).
      Ora che me lo hai fatto notare, in effetti ricorre un po’ troppo spesso nell’articolo, cosa che mi era sfuggita nonostante l’ovvia rilettura di rito. Ma tieni conto che questo pezzo è stato scritto di getto, essendoci stato pochissimo tempo tra l’aver concepito l’idea e l’averlo dovuto “mandare in stampa” (semplicemente per prevenire qualche possibile taglio dei giocatori riportati).

      • figurati, è chiaro che è voluto e che è un anglismo. personalmente credo che stoni, ma vada per la “licenza poetica”.

        ottimo lavoro comunque, bell’articolo. ciao.

  2. occhio a Greg Stiemsma, 20 minuti nei Boston Cletics in campo contro New Orleans con 6 stoppate 4 rimbalzi e 2 punti possono essere un segnale che il ragazzo è davvero intenzionato a fermarsi in NBA

  3. Articolo molto divertente e interessante sul b-side dell’NBA, secondo me tutto ciò dimostra che tra il 9° giocatore della panchina di molte squadre della lega e la maggioranza dei giocatori americani che girano l’Europa non ci sono grosse differenze; altro aspetto importante è notare ancora una volta quanto sia sconfinata la produzione di atleti made in USA

  4. in effetti mi ricordo Zabian Dowdell, tagliato dai Suns solo perche’ infortunato, ma almeno discreta PG passata da Casale… diciamo che molti giocatori medio-bassi rimangono in Europa perche’ non vogliono andare eternamente dalla D-League alla NBA e ritorno…

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