Dirk elude la difesa Heat e decide la partita negli ultimi secondi: un classico dei Playoffs 2011

Un’altra stagione NBA è finita, e chissà quando inizierà la prossima. Di tempo per pensare a ciò che è successo in questo 2010-2011 ne avremo parecchio dato che il periodo di off-season è sempre stato molto lungo, ma questa volta le nostre riflessioni potrebbero protrarsi per 1, 2, 3 o addirittura 4 ulteriori mesi.

Come possiamo descrivere questi 8 mesi di basket americano? Una volta Roberto Gotta, giornalista del settore, scrisse in un suo editoriale di pre-stagione che lui era sicuro di vedere, da lì ai prossimi mesi, un grande spettacolo. E ne era sicuro perchè tutte le stagioni sono a modo loro esaltanti e indimenticabili, con i loro protagonisti positivi e negativi e le loro storie da raccontare.

Bene, le parole di Gotta secondo me sono assolutamente veritiere. E quest’anno sono state confermate da una bella stagione regolare che ha visto emergere nuovi giocatori e nuove squadre, ma soprattutto dai play-off, quei 2 mesi in cui si fa la storia e dove tutto conta il triplo rispetto al resto dell’anno.

Anche questa volta noi di Playitusa abbiamo scelto 10 highlights di questa post-season, che rimarranno scolpiti nella memoria per gli anni a venire. Spesso ci scordiamo di alcuni eventi sportivi importanti in favore di altri, ma ciò non vuol dire che essi non debbano essere ricordati, e speriamo che quando rileggerete queste righe tra qualche mese o tra qualche anno vi ritorneranno in mente ricordi piacevoli.

Quella che leggerete qui sotto è una classifica? Sì, è anche una classifica perchè le storie sono state messe in ordine basandosi sul loro impatto, sul fascino e sull’appeal che ci siamo sentiti di conferirgli. Partiamo dunque con…

10) Dopo Bargnani, arrivano i primi play-off anche per Belinelli e Gallinari! E che avversari…

Diciamoci la verità. Noi appassionati italiani siamo molto contenti dello “sbarco” dei nostri ragazzi negli Stati Uniti, per diversi motivi. Un po’ perchè il nostro paese non aveva praticamente tradizione nella NBA, un po’ perchè vedere degli italiani eccellere in qualsiasi sport fa sempre piacere, ma anche perchè tutti e tre questi ragazzi hanno la faccia pulita, sono giovani e ci rappresentano con onore sia dentro che fuori dal campo.

Adesso il nostro sogno è vederli competere ad alti livelli. Vi ricordate di quando, nel 2006, si vociferava di Bargnani che sarebbe stato scelto con la prima chiamata assoluta? Ebbene, quando Andrea sbarcò a Toronto ci auguravamo che ben presto altri nostri connazionali lo avrebbero seguito.

Nel 2007 è stato il turno di Marco Belinelli, mentre nel 2008 è stato Danilo Gallinari ad attraversare l’oceano. Sono passati diversi anni, e tutti e tre hanno compiuto dei passi in avanti dal punto di vista individuale diventando titolari nelle proprie squadre e giocatori apprezzati nella Lega.

Ora manca, a tutti e tre, l’ultimo step: far parte di un progetto vincente, di un gruppo che possa puntare veramente in alto, magari al titolo. Sarebbe bellissimo. Ma per vincere il campionato bisogna approdare ai play-off, mentre prima di questo 2011 sia Belinelli che Gallinari non avevano mai provato l’ebbrezza della post-season.

Finalmente è arrivata anche per loro la grande opportunità. Il talento di San Giovanni in Persiceto ha affrontato, insieme ai suoi New Orleans Hornets, i bi-campioni in carica dei Los Angeles Lakers. Non solo: egli ha spesso difeso su Kobe Bryant mentre in attacco è stato preso in consegna da Ron Artest, uno dei migliori difensori in uno contro uno del mondo.

Come se l’è cavata? Non troppo bene purtroppo, ma come abbiamo visto gli avversari fronteggiati erano di altissimo livello. Andando nel dettaglio possiamo dire che il Beli ha disputato una buonissima Gara-5, dove ha segnato 21 punti ed è risultato incisivo in attacco, una discreta Gara-1 (10 punti per lui) e poi ha dato vita a delle prestazioni scadenti nelle altre quattro partite, dove ha segnato appena 27 punti complessivi con un pessimo 11 su 40 al tiro.

Gallinari invece ha affrontato, con i suoi Denver Nuggets, i temibili Oklahoma City Thunder, con questi ultimi che si sono imposti per 4-1 nella serie. Il rendimento del ragazzo di Milano è stato alterno, dato che ha giocato bene in Gara-1 e in Gara-4, discretamente in Gara-5 e maluccio in Gara-2 e in Gara-3.

Noi, ovviamente, li aspettiamo ad una pronta riscossa già dall’anno prossimo.

9) La favola di Memphis, l’incubo di San Antonio

Se nella storia della NBA è capitato soltanto 4 volte che una squadra posizionatasi all’ottavo posto della griglia riuscisse ad eliminare la capolista, vuol dire che di sorprese del genere non se ne vedono tutti gli anni.

Eppure in questo 2011 abbiamo assistito ad una vera e propria impresa, con i Memphis Grizzlies che finalmente si sono presi le prime soddisfazioni nei play-off ed hanno eliminato nientemeno che i San Antonio Spurs, una franchigia che ha segnato la storia del basket americano dal 1999 ad oggi.

Le cose che hanno sorpreso di più di Memphis sono state due: prima di tutto il gioco armonioso, con un attacco dove la circolazione di palla funziona a meraviglia, senza scordare una difesa solida che si poggia su degli specialisti del calibro di Tony Allen, Shane Battier e Marc Gasol.

In secondo luogo, tutti si sono stropicciati gli occhi nel vedere uno Zach Randolph così in palla e così decisivo nei momenti che contano. I canestri “pesanti” segnati da lui in questa post-season sono davvero tanti, e se pensiamo che fino a due anni fa era uno dei giocatori più derisi della Lega per via di un carattere fin troppo impetuoso c’è di che stupirsi.

San Antonio crolla, e mai come questa volta si ha la sensazione che l’era Duncan sia veramente giunta al capolinea. Gli Spurs avevano illuso tutti con una sfavillante regular season da 61 vittorie, ma alla prova dei fatti sono emersi tutti i loro limiti.

Alcuni elementi hanno perso una marcia rispetto al passato (Duncan su tutti), la difesa ha smesso di essere tra le più impenetrabili in circolazione e ci sono un paio di buchi pesanti da colmare, in particolar modo nella posizione di ala piccola dove Jefferson ha deluso per il secondo anno di fila, e sotto canestro. Manca un lungo affidabile da affiancare a Duncan, questo è poco ma sicuro, e credo che sarà la priorità della dirigenza nel prossimo mercato.

Tornando a Memphis, la loro favola si è infranta sugli Oklahoma City Thunder, ma anche qui Randolph e compagni hanno dimostrato tutto il loro valore forzando Gara-7 dopo una serie tiratissima. E tutto questo lo hanno fatto senza Rudy Gay, che di talento ne ha da vendere e che potrebbe tornare molto utile ai suoi compagni il prossimo anno…

8) Gara-4 tra gli Oklahoma City Thunder e i Memphis Grizzlies

Che spettacolo hanno messo in mostra i Thunder e i Grizzlies in Gara-4 del secondo turno di play-off ? E’ stata una delle migliori partite di quest’anno, ma addirittura dell’ultimo decennio per quanto mi riguarda.

Innanzitutto era una partita dalla grande importanza. I Grizzlies si trovavano avanti per 2-1 nella serie, con la possibilità di andare sul 3-1 in caso di vittoria di fronte al proprio pubblico. Dall’altra parte, i Thunder erano obbligati a vincere se volevano impattare la serie senza essere costretti ad una improbabile rimonta con le spalle al muro, e soprattutto con l’obbligo di dover vincere Gara-5, 6 e 7 in fila senza poter sbagliare.

All’inizio dell’incontro, dopo pochi minuti di gioco, i Grizzlies si portano avanti di ben 18 punti. A quel punto parte una rimonta velocissima dei Thunder, che non solo riescono a recuperare l’importante svantaggio ma si portano sopra di addirittura 10 lunghezze nell’ultimo periodo.

Anche loro dilapidano il vantaggio, e Mike Conley manda la partita al supplementare con un tiro da 3 scoccato ad appena 3 secondi dalla fine. Westbrook prova a dare la vittoria ai suoi e sbaglia, perciò la gara va al supplementare. E qui altra girandola di emozioni che dura per ben 15 minuti.

Tre tempi supplementari nel corso dei quali le due squadre si rincorrono e si danno battaglia a suon di canestri. Alla fine è Durant ad ergersi sopra a tutti con i suoi 6 punti realizzati nel corso dell’ultimo supplementare: i Thunder vincono 133-123, impattano la serie e la vinceranno poi in Gara-7.

7) La redenzione degli Atlanta Hawks

Raramente si è vista una squadra più umiliata nei play-off rispetto agli Atlanta Hawks dell’anno scorso. Vi ricordate? Non solo essi persero per 4-0 la serie di secondo turno contro gli Orlando Magic, ma vennero battuti con 25 punti di scarto medio per ogni partita!

Una catastrofe, insomma. Fu un tonfo talmente clamoroso che la squadra venne messe sulla graticola ed accusata di avere tantissimi difetti. Da una parte c’era chi sosteneva che gli Hawks fossero una squadra troppo basata sull’atletismo per poter fare strada nei play-off, altri puntarono il dito contro la difesa, altri ancora su Joe Johnson che invece di recitare il ruolo di leader si nascose…

Intendiamoci, un fondo di verità in questi commenti c’era. I ragazzi di Atlanta li hanno sentiti, li hanno interiorizzati ed hanno pensato di lavorare su quelli che erano i loro difetti. E alla fine, con un gruppo pressochè immutato rispetto all’anno scorso se si eccettua il cambio Hinrich-Bibby, non solo hanno limitato i danni ma hanno addirittura sconfitto Orlando con il punteggio di 4-2.

6) Nowitzki contro Durant, scontro tra titani

La NBA basa sicuramente gran parte del proprio fascino sulle sfide che avvengono tra le squadre, ma anche sulle sfide che avvengono tra i singoli giocatori. Vedere uno dei più grandi difensori marcare uno dei migliori attaccanti, oppure due stelle che si marcano a vicenda, o ancora due realizzatori che ribattono canestro su canestro, magari negli ultimi minuti di una partita tirata…sono scene esaltanti.

In questi play-off abbiamo assistito ad uno “Showdown” niente male tra Dirk Nowitzki e Kevin Durant, due tra i migliori e più completi attaccanti della Lega, i quali hanno espresso tutte le loro qualità in Gara-1 delle Finali della Western Conference.

Qualche similitudine tra questi due campioni c’è. A parte il fatto che sono entrambi realizzatori, hanno entrambi un fisico da lungo ma preferiscono giocare sul perimetro, dove possono sfruttare il loro tiro letale. Certo, poi ci sono anche delle differenze molto marcate che li distinguono: ad esempio Durant è un penetratore più potente ed esplosivo, mentre Nowitzki si fa preferire per il gioco in post basso e per una stazza indubbiamente maggiore, sia in termini di centimetri che in termini di chili.

Tornando a Gara-1, entrambi hanno contribuito a far iniziare la serie in modo scoppiettante, dando vita ad una delle partite più spettacolari di questi play-off. Alla fine la spunta Dallas con il punteggio di 121-112, e lo fa grazie ad una serata incredibile del proprio leader che segna 48 punti. Il numero di per sè è impressionante, ma se si guarda il tabellino ciò che colpisce di più è la precisione al tiro di Nowitzki, che realizza 12 dei 15 tiri tentati e tutti i 24 tiri liberi guadagnati (!!!).

Dall’altra parte Durant tiene botta e risponde con 40 punti, impreziositi anch’essi da ottime percentuali. 10 su 18 dal campo, 18 su 19 ai liberi, più 8 rimbalzi e 5 assist…alla fine il giovane leader degli Oklahoma City Thunder risulterà il migliore della sua squadra nelle tre richiamate statistiche, ma il suo sforzo non basterà per arrivare alla vittoria.

Ciò che colpisce di questo duello, a parte la bellezza e lo spessore dei due partecipanti, è lo scontro che ancora una volta si materializza tra due generazioni di giocatori NBA. Nowitzki infatti ha 33 anni e si trova da tempo sulla cresta dell’onda, mentre Durant di anni ne ha soltanto 23 e ha appena concluso la sua quarta stagione nella Lega. E non è l’unica stella emergente…

5) Rose, Durant, Randolph, Westbrook… la nuova generazione avanza

Abbiamo parlato di Durant, così come dei suoi Oklahoma City Thunder che quest’anno si sono prepotentemente imposti come la squadra del futuro. Già l’anno scorso i Thunder disputarono un’ottima stagione, e si fermarono con onore al primo turno dei play-off.

Questa volta, invece, si sono spinti fino alle Finali della Western Conference ed è logico pensare che reciteranno un ruolo da protagonisti anche nelle stagioni a venire. D’altronde i Lakers, gli Spurs e gli stessi Mavericks sono pieni di giocatori anziani, e prima o poi il loro ciclo finirà.

Lo stesso discorso nella Western Conference vale per i Memphis Grizzlies, mentre ad Est la franchigia emergente in questi mesi sono stati i Chicago Bulls, che sul più bello si sono mostrati ancora impreparati per puntare al bersaglio grosso.

A queste tre squadre manca ancora qualche giocatore e l’esperienza necessaria per vincere il campionato, ma non c’è dubbio che le carte per fare bene ci sono tutte. E questo grazie soprattutto alle loro giovani stelle, a partire da Durant e Westbrook passando per Randolph e Gasol, fino ad arrivare all’MVP Derrick Rose e a Noah. La nuova generazione avanza, e non sarà facile fermarla.

4) L’incredibile crollo dei Los Angeles Lakers e dei Boston Celtics: è la fine di un’era?

Se tre mesi fa aveste chiesto ad un addetto ai lavori i nomi delle due squadre che, secondo lui, si sarebbero sfidate a giugno nelle Finali, quasi tutti vi avrebbero risposto: “Los Angeles Lakers ad Ovest, Boston Celtics o Miami Heat ad Est”. E in effetti il ragionamento non faceva una grinza, anche il sottoscritto la pensava così.

I pronostici invece sono stati ribaltati, ma soprattutto sono stati ribaltati in un modo che definire clamoroso è dire poco. I bi-campioni in carica dei Lakers venivano dati come sicuri finalisti, e invece sono stati umiliati dai Dallas Mavericks con un 4-0 che non ammetteva repliche.

Ad Est invece ci si poteva aspettare un’eliminazione dei Boston Celtics per mano dell’altra favorita, i Miami Heat, ma francamente non mi aspettavo una sconfitta così netta. I Celtics sono riusciti a strappare una sola vittoria agli avversari, e più in generale hanno dato l’impressione di non riuscire a contrastare la forza fisica di James e Wade, così come hanno trovato difficoltà nell’attaccare una difesa formidabile come quella dei ragazzi di coach Spoelstra.

Cosa succederà a Los Angeles e a Boston? Apparentemente poco, nel senso che i giocatori-chiave delle due squadre sono stati confermati in blocco, così come Doc Rivers si è visto rinnovare il contratto con i Celtics per altri cinque anni. Phil Jackson invece si è ritirato e al suo posto è arrivato Mike Brown, ma evidentemente non è la stessa cosa.

I Celtics si trovano alle prese con un roster anziano e affaticato, così come i Lakers che a fronte di una età media minore rischiano però di pagare il cambio di allenatore…insomma, non è assurdo pensare che queste due storiche franchigie attraverseranno un periodo non facile da qui ai prossimi anni.

3) Miami fallisce, LeBron e Bosh deludono

E’ esistita una squadra più chiacchierata dei Miami Heat nel corso di quest’ultimo anno? Direi di no, e non c’è nessun dubbio su questo. Anzi, si può dire tranquillamente che gli Heat passeranno alla storia come una delle squadre più “mediatiche” della storia.

D’altronde dopo la famigerata “Decision” del primo luglio scorso non poteva che essere così. Adesso, dopo che il titolo è stato soltanto sfiorato, tutta questa esposizione mediatica si sta ritorcendo contro Miami.

Intendiamoci, la stagione di Wade, LeBron e compagni è stata ottima e per certi versi superiore alle aspettative. Sono arrivati secondi in regular season, hanno sviluppato un’identità difensiva notevole, sono arrivati fino in Finale…eppure rimane una squadra tremendamente uguale ai suoi campioni, e in particolare a LeBron James: ottima, destinata a dominare ma gli è mancato l’ultimo passo.

Quando sono andati in vantaggio di 15 punti a 6 minuti dalla fine di Gara-2 delle Finali si sono fatti rimontare. Quando, sempre in Finale, si sono portati in vantaggio per 2-1 nella serie si pensava che ormai fosse fatta. E invece no, hanno dilapidato il loro talento e alla fine sono rimasti con un pugno di mosche in mano.

La verità è che gli Heat sono condannati a vincere il campionato, e che ogni risultato inferiore rappresenterà un fallimento. Sul banco degli imputati salgono in primo luogo LeBron James, che ha disputato delle Finali disastrose, e Chris Bosh, che ha fatto poco meglio rispetto al compagno.

Dal cammino di questi due giocatori dipenderà il futuro della loro squadra…si accontenteranno di essere bravissimi o riusciranno ad essere ricordati come campioni?

2) Tutti in piedi, passano i Dallas Mavericks!

Questa è la storia dell’anno. I Dallas Mavericks, ribaltando tutti i pronostici e le tante perplessità che c’erano nei loro confronti, hanno vinto finalmente il titolo dopo tanti anni in cui avevano disputato buoni campionati.

Ormai nessuno credeva più nella loro vittoria. Il suicidio nella Finale del 2006, proprio contro i Miami Heat, rimane una delle pagine più incredibili e amare di sempre, per non parlare dell’eliminazione al primo turno contro i Golden State Warriors della stagione successiva.

A queste due delusioni sono seguite altre eliminazioni cocenti (per mano dei New Orleans Hornets nel 2008, dei Denver Nuggets nel 2009 e dei San Antonio Spurs nel 2010). Insomma, nessuno credeva più in Nowitzki e compagni, che sembravano arrivati al capolinea.

Bene, quest’anno la logica è stata meravigliosamente ribaltata ed è cambiato tutto. Il direttore di Play.it USA, Max Giordan, dopo la vittoria del titolo da parte dei Mavericks ha iniziato il suo editoriale con un titolo: Il mondo alla rovescia. Ed è proprio quello che è successo in questi ultimi mesi.

Tantissimi giocatori di Dallas venivano riconosciuti come delle stelle, ma anche come degli eterni incompiuti. Nowitzki, Terry, Kidd, Marion, Stojakovic…tutti uomini che hanno superato abbondantemente i 30 anni e che si sono presi una incredibile rivincita, rimanendo in uno stato di grazia per due mesi che ha consentito loro di spazzare via tutti i dubbi che li accompagnavano da una vita.

Adesso sono chiamati ad un compito difficilissimo, perchè dovranno ripetersi il prossimo anno quando tutti saranno un po’ più anziani e, inevitabilmente, molto più appagati. Ma è anche vero che ritroveranno qualche pedina importante come Caron Butler e Rodrigue Beaubois, i quali hanno saltato questi play-off: assenze importanti, ma non fondamentali. Perchè quest’anno i Dallas Mavericks non poteva fermarli proprio nessuno.

1) La storia si ripete

Ad avviso di chi scrive, e che si è occupato di compilare questa classifica, il dato più importante che emerge da questa stagione è che la storia si ripete. Già, ma in che senso? Nel senso che, ancora una volta, a trionfare è stata la squadra che ha dimostrato di possedere le qualità che storicamente portano a trionfare nel mondo NBA.

Esperienza, capacità di reagire nei momenti difficili, affiatamento, bel gioco, identità difensiva…i Dallas Mavericks sono stati l’unica squadra che ha messo in mostra tutto questo nel corso dell’anno e, in particolare, nel corso dei play-off.

Neanche i Miami Heat, che pure si sono classificati secondi, sono riusciti ad incarnare tutte queste qualità. A mio parere gli sono mancati un bel gioco offensivo e la capacità di reagire nei momenti difficili…o meglio, la capacità di reagire l’hanno dimostrata fino alla Finale, dopodichè si sono sciolti come neve al sole lasciando campo libero ai campioni.

Quando riusciranno ad avere anche queste due qualità, allora LeBron e soci arriveranno al tanto agognato anello. Quest’anno il titolo ha preso un’altra direzione, ed è giusto che sia andata così.

La storia si è ripetuta anche sotto altri due punti di vista. Il primo è stato riassunto splendidamente dal coach vincente, Rick Carlisle, il quale ha dichiarato che “gli Heat giocano per aria, noi giochiamo a terra con un ritmo più basso e puntiamo alla circolazione del pallone”. Questo è il modo di giocare a basket che più da soddisfazione e che è più spettacolare da vedere.

Indubbiamente le schiacciate stereofoniche di James e Wade, per non parlare della loro velocità e del loro devastante contropiede sono armi utilissime. Ma una circolazione di palla armoniosa e un movimento di uomini ben eseguito e finalizzato a liberare il giocatore per un tiro ad alta percentuale di realizzazione è l’essenza del basket, l’obiettivo al quale tutti gli allenatori aspirano.

Infine, è stata la vittoria di una squadra costruita nel tempo contro una squadra che proveniva da una rivoluzione. La vittoria di una squadra che con il lavoro, con la fatica e con le delusioni di tanti anni è cresciuta ed è finalmente entrata nell’Olimpo del basket. Per Wade, LeBron, Bosh e i loro compagni sarebbe stato troppo semplice, ai limiti dell’ingiusto, vincere dopo un solo anno passato insieme.

I più grandi del gioco, con rarissime eccezioni come Magic Johnson e Bill Russell ad esempio, hanno sempre dovuto soffrire prima di poter costruire la propria leggenda. Passano gli anni ma la storia si ripete, e quando un uomo lotta lealmente per arrivare al successo come hanno fatto i Mavericks di questa stagione non importa dopo quanto ci si arriva. L’importante è applaudirlo.

6 thoughts on “NBA Playoffs 2011: i 10 highlights da ricordare

  1. Pensare alla fine di un’era mi si spezza il cuore… Boston SAS LAL :( :(
    ma pensare a OKC (se WestBrook diventa un play) Chicago e Memphis mi fa saltare di gioia :D :D
    non sono d’accordo su dare la colpa a Lebron e Bosh…io direi primo Lebron secondo Spoelstra Terzo Bosh….tutti si ostinano a dire che è un Big Three …MA SOLO PER LA STAMPA ! è nettamente sotto Wade e James per questo non mi aspetto che sia lui a vincere una finale…
    e poi hai parlato troppo poco di Dirk…per come ha giocato merita di piu :D
    Oltre la sfida con Durant anche quella con Wade è stata fantastica emozionante sublime
    e soprattutto i 10 punti nell’ultimo quarto e il canestro vittoria con 38 di febbre è veramente da FANTASTICO forse l’highlights migliore di sti playoff!

    ps
    Beli marcava Artest non Kobe …era Kobe vs Ariza e Artest vs Beli

  2. Bellissimo articolo. E da tifoso mavs sono contento per tutto e anche per il fatto che non rivedro’ piu’ articoli con la classica introduzione “I Mavericks, dopo il suicidio del 2006 ecc..” Oppure frasi sul fatto che non si sono saputi riprendere da quell’anno :) :)

    • Purtroppo Roy paga le due annate costellate da infortuni.

      Se la fortuna dovesse assisterlo (ed assistere Portland in generale) io li inserirei nel terzetto con Oklahoma e prima di Memphis.

      Per me rimane un grandissimo giocatore, con una predisposizione ai media simile a Rose, cioè:
      starsystem=0
      professionalità=100

  3. ma non c’entra, non parlo del valore del giocatore. l’articolo è sui 10 highlights dei PO, e la sua prestazione con Dallas la ricorderemo a lungo

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