Il Mamba è a caccia del three-peat

Tre finali in tre anni, due titoli consecutivi, battuti in finale gli Orlando Magic prima ed i Boston Celtics poi, in una vendetta dolcissima della sconfitta del 2008.

I Lakers si preparano ad una nuova stagione sotto le migliori premesse possibili.

Nuovi arrivi

Guardie: Steve Blake
Ali: Matt Barnes
Centri: Theo Ratliff
Rookies: David Ebanks, Derrick Caracter

Roster

Guardie: Derek Fisher, Kobe Bryant, Steve Blake, Sasha Vujacic, Shannon Brown
Ali: Ron Artest, Lamar Odom, Matt Barnes, David Ebanks, Derrick Caacter, Luke Walton
Centri: Pau Gasol, Andrew Bynum, Theo Ratliff

Esattamente come lo scorso anno, ci sono state delle problematiche estive da risolvere.
Lo scorso anno i problemi erano costituiti dalle scadenze di Ariza ed Odom, due giocatori fondamentali, ma Odom è stato rifirmato a cifre ragionevolissime, Ariza sostituito da Ron Artest, prendendo un rischio enorme, infatti un giocatore che ama giocare di squadra e per la squadra sostituito da un grande individualista dal carattere problematico.

Il rischio ha pagato molto bene, con un Artest che dalla finale di conference contro i Suns ha iniziato a farsi sentire non solo in difesa, ma anche in attacco. I suoi tiri non derivavano da circolazione e schemi, magari semplicissimi, ma pur sempre schemi, come quelli di Fisher, sono sembrati a volte estemporanei, i classici tiri “ignoranti”, ma hanno pagato molto bene, risultando decisivi nelle ultime due gare di finale contro i Celtics.

Quest’anno andava in scadenza il partner preferito di Kobe Bryant, Derek Fisher.
Quale può essere il problema, si potrebbe chiedere, in una qualunque lista delle migliori 10 point guard della lega, anche stilata dallo stesso Fisher, lui non c’è.

Però in una lista dei più adatti a giocare in un sistema offensivo basato sulla triple post offence vicino a Kobe Bryant “The Fish” rimane tutt’ora uno dei giocatori più idonei e, soprattutto, più si avvicinano i momenti decisivi della stagione più il suo livello di gioco si eleva. Fisher è e resta il giocatore ideale per questa squadra ed è stato confermato, come già Odom, a cifre accettabilissime.

Le cifre accettabili sono fondamentali in una squadra con un montesalari pazzesco, il più alto della lega, superiore ai 95 milioni di dollari. Oltre 30 milioni di dollari di luxury tax da pagare per una squadra dal costo elevato, ma anche dalle elevate possibilità di vittoria, cosa non sempre scontata.

Per anni le squadre con il montesalari più alto sono state i New York Knicks ed i Dallas Mavericks, e non pare ci siano stati grandi risultati. Detto ciò i Lakers hanno puntato tutto sulle prossime due stagioni, poi inizieranno le scadenze e, soprattutto, le possibilità per la squadra di uscire dai contratti di Odom e Bynum. Il fatto che i giocatori chiave della squadra abbiano i contratti in scadenza fra il 2013 ed il 2014 fa capire quanta fiducia abbia la dirigenza in questo gruppo.

Fino a che questo gruppo funzionerà, probabilmente alla sua guida resterà il vero artefice di questa dinastia, Phil Jackson.
Jax era ritenuto dalla maggior parte dei commentatori essere il miglior coach della lega, forse della storia, dal punto di vista mentale, grande gestore di uomini e grande motivatore, ma un coach normalissimo, se non mediocre, dal punto di vista tecnico e tattico.

In questi anni ha smentito tutti e tutto, dimostrando di essere con pieno merito l’allenatore con più titoli della storia.
Che sia pure Don Nelson l’allenatore che ha vinto più partite, quelle che contano le ha vinte Phil Jackson.

Coach Zen aveva vinto i suoi titoli avendo a disposizione Michael Jordan prima e Shaquille O’Neal poi, con delle squadre a contorno di livello altissimo, e questo era sempre stato l’aspetto che aveva fatto nascere dei dubbi su di lui. Facile vincere col miglior giocatore della lega, si diceva.

Ora è alla guida di un gruppo di giocatori di talento grande, a volte cristallino, ma tutti giocatori che senza di lui hanno faticato tantissimo.

Negli ultimi anni Kobe Bryant ha giocato benissimo anche nella nazionale americana agli ordini di un altro mito della panchina, coach K, al secolo Mike Krzyzewski, ma tutti ricordiamo cosa ha combinato prima della sua maturazione agli ordini di un altro mito della panchina, Rudy Tomjanovich, ed ancora prima agli ordini di un mito non della panca, ma del campo, Kurt Rambis.

Lamar Odom e Pau Gasol erano ritenuti giocatori morbidi ed inadatti ad una squadra vincente, Ron Artest addirittura quasi un disadattato, Sasha Vujacic il classico slavo grande amante dei bagordi e poco della palestra, Andrew Bynum un sopravvalutato inadatto a giocare a grandi livelli. Lo stesso Derek Fisher lontano da Los Angeles ha fatto bene ad Oackland prima ed a Salt Lake City poi, ma non ha vinto nulla ed è sembrato un ottimo comprimario e nulla più.

Con ingredienti simili anche i più affermati chef del mondo avrebbero avuto timore a mettersi ai fornelli, Jax ha avuto fiducia ed ha costruito un gruppo vincente in cui tutti nelle ultime stagioni hanno raggiunto i livelli più alti della carriera.

Naturalmente, dato che parliamo di basket, uno sport di squadra, e non di giochi circensi, non parliamo di numeri puri, ad esempio Kobe Bryant non ha ripetuto gli 81 punti di qualche stagione fa, ma tutti hanno giocato per la squadra e per la vittoria come non avevano mai fatto nella propria carriera, tutti sono stati messi nelle condizioni di rendere al meglio delle proprie possibilità, ed è difficile non riconoscere in questo i meriti di un coach spesso antipatico, a volte insopportabile, amante di “mind games” spinti e di tecniche che avrebbero fatto impallidire Machiavelli, pronto ad insinuarsi nelle decisioni societarie con una autorevolezza sconosciuta alla maggior parte dei colleghi, ma che ha raggiunto risultati impensabili per qualsiasi altro.

Se ieri lo si considerava il migliore di tutti i tempi in alcuni aspetti, oggi si può legittimamente iniziare a considerarlo il migliore di tutti i tempi tout court.

Ora inizia la nuova stagione con un gruppo consolidato, sei giocatori che hanno giocato tre finali da protagonisti più un Ron Artest finalmente consacrato, quasi tutta gente fra i 30 ed i 32 anni, con qualche eccezione tipo Fisher, 36 anni, e Bynum, che ancora non ne ha compiuti 23, un gruppo che ormai presenta solo certezze, l’unico dubbio era una panca che era sembrata un punto di forza due anni fa, anche nella finale persa contro i Celtics, ma era sembrata il punto debole della squadra nelle ultime due stagioni.

Punto debole?
Problema da risolvere?

Detto e fatto, un Mitch Kuptchak che è sempre più chirurgico nelle sue mosse (dov’è finito il timido ed immobile burocrate tanto contestato dai tifosi gialloviola fino a poco tempo fa?) ha completato la rosa come meglio non si poteva.

Fra le guardie Fisher e Bryant sono una coppia solida ed affiatata, ma cominciano ad avere rispettivamente 36 e 32 anni, necessitano di cambi all’altezza.

Chi avrebbe potuto essere l’alternativa ideale per Derek Fisher? Sarebbe servito un giocatore con caratteristiche simili.
Detto fatto, è arrivato a Los Angeles il giocatore più adatto della lega, il sottovalutato Steve Blake, play bianco che ha giocato tanti anni a Portland, per poi girare fra Denver, Milwakee ed i Clippers, mani e fisico normali, ma grande visione di gioco, tiro affidabile, grande attenzione in difesa.

Shannon Brown non è cresciuto come si sperava, ma resta un giocatore importante in una squadra che a volte è sembrata povera di atletismo, è stato rifirmato a cifre accettabilissime nonostante le richieste, mentre Sasha Vujacic non sembra desiderare altro che attendere piazzati da tre ed incitare il suo pard Kobe Bryant in lingua italiana, ormai un gergo personale fra i due.

Fra le ali è arrivato un altro giocatore dal carattere difficile, uno di quei giocatori con cui ormai Phil Jackson sembra divertirsi, Matt Barnes, ottimo atleta, buon difensore, se disciplinato può davvero spiccare quel salto di qualità che ormai gli sembrava precluso.

Purtroppo Luke Walton sembra arrivato al capolinea della carriera e pronto a passare nello staff tecnico, a causa dei mille guai fisici che hanno minato la sua carriera, ma ormai la sua presenza non è più indispensabile per l’esecuzione dei giochi come un paio di anni fa.

Infine fra i centri Pau Gasol ormai è celebrato come uno dei migliori in circolazione, mani ed occhi da guardia in un fisico da centro che ormai inizia a saper sfruttare, la sua presenza è un rebus molto ma molto difficile da risolvere per gli avversari. Occorre però spendere due parole per gli altri due giocatori che condividono il suo ruolo.

Andrew Bynum sembrava quasi perso per la causa gialloviola. Sempre infortunato, sempre fuori forma, pativa il fatto di avere davanti Odom e Gasol, la sua presenza in campo non aggiungeva nulla in difesa e toglieva varietà alle soluzioni offensive. Pareva pronta e servita la classica promessa strapagata che la squadra non sapeva come sbolognare altrove, nonostante la fiducia adamantina esibita dalla dirigenza gialloviola.

Anche gli ultimi play off erano iniziati sotto i soliti auspici, con Bynum alle prese con i postumi del solito infortunio, assente o impalpabile. Poi contro i Suns di un dinamicissimo Amarè Stoudemire si è iniziata a vedere un minimo di presenza sotto canestro, ancora insufficiente ma comunque promettente.

Poi è arrivata la finale contro i Celtics, contro cui, giova ricordarlo, Bynum aveva sempre fatto figure barbine, incidendo sempre molto meno di un poco pubblicizzato Perkins. Bynum aveva un ginocchio gonfio come un melone, che gli veniva siringato prima di ogni partita, sembrava certa una sua presenza impalpabile in panca solo per amor di firma.

Invece in campo abbiamo visto un leone che si è strenuamente battuto sotto canestro, facendo valere il proprio fisico e dando ai Lakers quell’atletismo e quel peso che a volte è mancato. Abbiamo per la prima volta visto quanto può incidere il bimbo, almeno per la prima volta in partite davvero importanti, chissà che non sia il vero inizio della sua carriera.

Come polizza contro gli infortuni di Bynum è arrivato poi un giocatore che di infortuni se ne intende, un espertissimo Theo Ratliff, un giocatore che Bryant e Fisher hanno affrontato nella finale contro Philadelphia una decina di anni fa, poi limitato da una impressionante serie di guai fisici.

Troviamo infine un paio di matricole che difficilmente diventeranno star celebratissime, ma hanno le doti giuste per poter crescere e ritagliarsi un posto in una squadra che gioca con la triangolo, l’ala piccola Ebanks e l’ala forte Caracter.

C’è poco da inventarsi nel descrivere il gioco che probabilmente i Lakers effettueranno, è lo stesso da tanti anni a questa parte, un ritmo relativamente lento, circolazione di palla, gioco a metà campo ed improvvise accelerazioni ogni volta che c’è l’opportunità del contropiede, pochi isolamenti ma qualche libertà per invenzioni personali e zingarate che Phil Jackson non ama, ma sopporta nella consapevolezza che servono a tener tranquille le smanie di protagonismo di tanti giocatori alle sue dipendenze. La difesa è stata sorprendentemente buona negli scorsi play off, con Barnes, Ratliff e Blake dovrebbe ulteriormente migliorare.

Che dire, le alternative non mancheranno di sicuro, quella che negli ultimi tre anni è stata probabilmente la migliore squadra del lotto oggi è anche la più profonda. Un anno fa chi scrive ha esternato i propri dubbi proprio su questo aspetto, la profondità della panchina, un difetto che non poteva essere colmato meglio.

Fino ad oggi anche i caratteri dei giocatori, caratteri a volte forti e difficili, a volte apparentemente molli, sono stati indirizzati nel modo giusto e quasi tutti i giocatori in rosa sono maturati in un modo che sembrava impossibile.

Per esempio in finale Kobe Bryant è stato protagonista assoluto nella vittoria di gara uno e nelle sconfitte di gara 4 e gara 5, ha lasciato il proscenio nel dominio assoluto che c’è stato in gara 6, ma nelle due partite che hanno consentito la vittoria ai Lakers, le incredibili, tese ed imprevedibili gara 3 e gara 7, nell’ultimo quarto ha mollato i gradi da protagonista assoluto, ha passato palla a Fisher e gli è andato a portare i blocchi, se la palla gli è tornata l’ha data vicino a canestro a Pau Gasol, cosa impensabile per il grandissimo solista dei titoli vinti con Shaquille O’Neal.

Auspici migliori non potrebbero esserci per i Lakers quest’anno. Anche il momento storico è quello ideale, con le avversarie più pericolose dell’ovest, le sconfitte delle ultime due finali di conference, i Phoenix Suns ed i Denver Nuggets che hanno perso i loro due migliori realizzatori, Amarè Soudemire e Carmelo Anthony, gli storici avversari, i San Antonio Spurs ed i Boston Celtics, che iniziano ad accusare il peso degli anni dei loro uomini migliori, gli Orlando Magic che non sembrano spiccare il salto di qualità, i Cleveland Cavaliers allo sbando ed i Miami Heat che hanno appena costruito una ottima squadra, con un insieme di talenti impressionante, ma ancora incompleti e probabilmente alle prese con le difficoltà del primo anno insieme.

Una occasione d’oro per i Lakers, per provare il threepete, una vittoria per cui sono i favoriti d’obbligo. L’ultima volta in cui i gialloviola sono stati tanto favoriti dai pronostici non è benaugurante, era la stagione 2003/2004 e c’erano i fab four, quattro stelle che iniziarono a litigare facendo implodere la squadra, adesso questo rischio non pare esserci ma giocatori, staff tecnico e dirigenti gialloviola faranno bene a tenere bene in mente quel precedente.

Non ci saranno tante star a contendersi il proscenio, ma caratteri difficili ce ne sono a iosa, come giocatori che a volte tendono a nascondersi, per la fortuna dei tanti tifosi gialloviola alla guida della squadra c’è l’uomo che meglio di tutti ha dimostrato di saper gestire queste situazioni.

4 thoughts on “Los Angeles Lakers: Preview

  1. Con questa siamo arrivati a 25 preview!
    Ne mancano soltanto cinque e tra questi i miei mitici Phoenix Suns
    Mi raccomando, scrivetela presto, che peraltro quest’anno senza Stoudemire ne abbiamo bisogno…
    A presto, bentornati dopo la tempesta!

  2. La Beach War e’ aperta (Boston permettendo). Miami vs LA.
    Impressionante come una squadra che era’ gia’ la piu’ forte lo scorso anno si sia ulteriormente rafforzata in quelle che erano le sue (piccole piccole) falle.

    Passare da Farmar a Blake e’ come passare da Pepe a Krasic (scusate la citazione calcistica), e si e’ visto gia’ ieri contro i Rockets.
    Il titolare nominale rimane il Pesce, che se ne andra’ in ibernazione in inverno salvo vincere le solite 2-3 partite da solo ai play off

    Barnes preso per far da mastino a Wade (Ray Allen) mentere Artest si occupa di Lebron (Pierce), lasciando libero il reggiano e il suo mignolino smarzolino di fare magie in attacco.
    Sotto sempre loro, il catalano e Odom, e se Bynum sta sano per una stagione intera (campa cavallo e’ gia’ ai box) sono di una profondita’, talento e fisicita’ impressionante; unica aggiunta Sandrino lo Smazzulatore Ratliff, che sara’ iper stagionato, ma per quello che deve fare in campo e’ meglio di Powell e DJ Mbenga.

    Poi in panca c’e’ coach Zen, l’uomo che ha piu’ anelli che dita nelle mani.

    Solo una congiunzione astrale (quella che farebbe vincere alla Lazio il camionato, o salvare il mio Ryan Wittman dal taglio) potrebbe non far vincere lor la Western.. per il titolo.. che bella finale sara’!

    60W

  3. piccole correzioni…

    ratliff non giocò le finals 2001 contro i lakers,perchè i sixers a febbraio per arrivare a mutombo diedero ratliff e kukoc agli hawks…

    poi,bynum lasciò già buonissime sensazioni nella serie contro i thunder.
    prima delle scorse finals deluse sempre contro i celtics e perkins,tranne nella gara di boston della scorsa stagione,dove fu l’mvp di quella partita,gara che a mio avviso resta la migliore della sua carriera in regular season…

    comunque se possibile blake per caratteristiche lo considero ancora più perfetto di fisher per giocare all’interno del sistema di tex winter…

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