Citazione difficile da cogliere, questa. Non è seria, né impegnativa ed è del 1967. Sto parlando de Il libro della giungla, lungometraggio Disney, che propone una canzone (ovviamente riadattata in italiano) che offre quelle parole.

Trovare una relazione tra questo e i Cleveland Indians potrebbe essere complicato, ma in fondo la squadra guidata da Terry Francona non sta facendo nient’altro che “quel tanto che ti basta per campar”: un record di 20 partite vinte e 20 perse, ma la leadership della AL Central detenuta ormai da tempo, davanti a quattro avversarie con record più o meno negativi.

Al momento, infatti, la squadra dell’Ohio possiede una partita e mezza di vantaggio su Minnesota (17-20) e due sui Detroit Tigers (18-22), mentre sono più staccate Kansas City (13-28) e Chicago White Sox (10-27), due delle tre peggiori squadre della MLB insieme a Baltimore.

Ma a cosa si deve tale regresso di un team che nel 2017 ha vinto la bellezza di 102 partite e nel 2016 andava a giocarsi le World Series, perse nell’epica settima partita contro i Cubs?

La rotazione dei partenti è ancora il punto di forza della squadra,almeno per 4/5: i vari Kluber, Carrasco, Clevinger e Bauer viaggiano tutti con ERA inferiore a 3.66 (Carrasco il “peggiore” dei quattro), mentre i problemi di Josh Tomlin (8.06 ERA, 13 HR subiti) hanno portato Francona a viaggiare nell’ultima settimana con una rotazione a 4 partenti, sperando che il prodotto di Texas Tech trovi stabilità dopo una pausa di una decina di giorni.

Un grosso problema riguarda il bullpen: se nella scorsa stagione 8 dei 10 rilievi più utilizzati viaggiavano a meno di 3.52 di ERA e due appena sotto i 5.00, quest’anno i dati sono ben peggiori, con solamente due lanciatori (Cody Allen ed Andrew Miller) tra i sette con almeno 10 IP a viaggiare sotto i 4.00 di ERA, mentre gli altri stanno tra i 5.06 di Matt Belisle e i 7.47 di Zach McAllister. Per dire, quest’ultimo nel 2017 aveva mantenuto una ERA di 2.61 in 50 apparizioni. Non a caso, il record del bullpen nella sua totalità è di 3-8.

Parlando invece di battitori, il trend è particolare: la media battuta rispetto al 2017 è in calo (.246 contro .263), così come la OBP (.315 a .339), ma il numero di home run battuti è aumentato a dismisura, tanto che la squadra è salita dal quindicesimo al primo posto in MLB in questo settore: gli Indians, quindi, battono molto meno ma con molta più potenza, e ciò si riflette in una diminuzione dei punti segnati (da 5.04 a 4.82).

I due casi più lampanti di questo trend sono Yonder Alonso ed Edwin Encarnacion: entrambi hanno già messo a segno 9 HR ma viaggiano appena sotto la famosa Mendoza line, con medie battuta rispettivamente di .216 e .204. Gli altri due bombardieri, invece, il terza base Jose Ramirez (13 HR) e Francisco Lindor (12), ci associano anche una ottima AVG, unitamente al rinato -e finalmente sano dopo anni di infortuni- Michael Bradley.

Tirando le somme di tutta questa trafila di numeri, si evince che Cleveland ha certamente dei problemi, ma ha anche la grande di fortuna di poterli risolvere lavorandoci senza l’assillo della classifica, grazie ad una division non particolarmente competitiva (ad essere gentili): per fare un esempio, i Toronto Blue Jays (21-20) hanno un record migliore degli Indians, ma distano già 7.5 partite dai leader della loro division, gli Yankees, e 7 dai Red Sox.

Non ci si deve, quindi, fare il sangue amaro, in quanto i difetti non sono strutturali e, soprattutto, correggibili: la sensazione è che manchi poco per infilare un filotto di vittorie e così “i tuoi malanni puoi dimenticar“.

 

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