Questa settimana parliamo del più famoso film su questo sport, l’unico ad aver vinto un Oscar: L’idolo delle folle, dedicato alla vita di Lou Gehrig.

La pellicola è del 1942, quindi in bianco e nero, ed ha come attore principale il grandissimo Gary Cooper, anche se in qualche locandina americana il nome più in vista era quello di Babe Ruth, che impersonava se stesso. Nel 1943 vinse l’Oscar per il miglior montaggio.

La storia segue passo passo la vita di questo grande campione, che nato da genitori immigrati dalla Germania, è molto povero ed il sogno di famiglia è che possa diventare ingegnere come suo zio. Lui si trova, come molti ragazzi, a giocare a baseball lungo le strade ed al college, il Columbia, si fa subito notare per il suo incredibile swing, tanto che gli Yankees bussano alla sua porta, ma lui rifiuta, dato che non vuole deludere il sogno materno.

Ma un improvviso malore della madre fa cambiare rotta a Lou: in famiglia non hanno i soldi per un ricovero di lusso, come desidera per la adorata madre, così decide di correre dagli Yankees e firmare con loro per potersi permettere le migliori cure per la mamma.

Viene inviato a Hartford nelle Minors e poco dopo il ritorno a casa della mamma, guarita, viene richiamato dagli Yankees (metà del 1923), e così questa legge la notizia sui giornali e si arrabbia molto, convinta che solo i fannulloni giochino a baseball.

In pochi anni si ricrede, dato che dopo un paio di stagioni in cui fa la riserva, Lou diventa un titolare fisso e un giocatore molto affermato. Nel frattempo, in una trasferta a Chicago, conosce Eleanor, che sposa nel 1927, l’anno del suo record di 175 RBI. Lou è diverso da tutti i giocatori: non è un marinaio con una fidanzata in ogni città, non è un burlone né un attaccabrighe, è schivo e riservato, e nel film il contrasto con Babe Ruth viene più volte sottolineato, quest’ultimo sbruffone e sicuro di sé (peraltro non senza motivo, essendo stato, e di gran lunga, il più forte giocatore di tutti i tempi).

La scena (realmente accaduta) della visita ad un ragazzo gravemente malato nell’ospedale di St. Louis ne è lo specchio fedele: Babe promette subito al bambino un fuori campo in suo onore, mentre Lou rimane in disparte e solo a richiesta del ragazzo si avvicina per fargli un autografo.

Il bambino allora gli chiede non uno bensì due home run in quella partita, e Lou acconsente alla promessa solo se Phil proverà con tutte le forze a camminare ancora. E nel nono inning, con una base libera e il punteggio di 3-3, il manager dei Cardinals decide per la base ball intenzionale a Lou, ma questi, che fino a quel momento aveva battuto un solo fuori campo, non vuole mancare alla parola data e gira la mazza durante il 4 ball e la butta fuori per la vittoria!

E’ uno dei pochi momenti in cui si parla di baseball giocato nel film, dato che è tutto incentrato sulla figura buona dell’uomo e non sul campione. Ci sono gli screzi tra moglie e suocera, che lui appiana a favore della prima, ed un rapporto speciale con il giornalista che l’aveva scoperto al college e che lo ha seguito e difeso per tutta la carriera.

Il record di 2130 partite giocate consecutivamente, stabilito tra il 1925 ed il 1934 (nonostante febbri a 39, alluci rotti ed altri problemi fisici che regolarmente nascondeva al mister per poter scendere in campo), che ha resistito fino al 1995, viene accennato solo a fine film, quando è proprio lui a chiedere al mister di essere sostituito perché sente che non può più tenere in mano una mazza.

Gli esami confermano il peggio: gli viene diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica, una malattia al tempo molto rara che infatti venne inizialmente chiamata “Morbo di Gehrig”. Il giocatore, in un addio commovente allo Yankees Stadium con 62 mila persone accorse per lui, con i vecchi compagni di squadra ed i vecchi manager tutti a sostenerlo (anche Babe Ruth, che nel frattempo aveva cambiato casacca), fa un breve ma stupendo discorso in cui, lungi dal compatirsi, afferma di essere stato l’uomo più fortunato del mondo. Un messaggio di ottimismo che contrastò poco dopo con la morte, avvenuta a soli 37 anni.

Un gran bel film, fatto di buoni propositi e come succedeva a quel tempo, istruttivo per le nuove generazioni.

 

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