Non facciamo neanche a tempo a mandare agli archivi la stagione 2017 con la prima, storica vittoria degli Houston Astros che un preziosissimo pezzo del suo staff tecnico, il bench coach Alex Cora, viene nominato nuovo manager dei Boston Red Sox. Con contrattazioni ed interviste di rito sostenute, fra l’altro, proprio nei giorni in cui l’ex infielder (a Boston per 4 stagioni fra il 2005 e il 2008) si giocava le estenuanti World Series fino a gara 7 fra la California ed il Texas contro i Los Angeles Dodgers.

Il General Manager bostoniano Dave Dombrowski, famoso nell’ambiente dirigenziale MLB per non essere un grande mangia-allenatori, deve avere soppesato attentamente e nei minimi dettagli le qualità caratteriali che il portoricano Cora può apportare ad una franchigia che l’anno scorso non aveva deluso poi più di tanto. Eliminati proprio da Houston nelle Division Series e con un Chris Sale irriconoscibile durante la post-season, la guida morale e tecnica di John Ferrell venne stata messa a repentaglio dai comportamenti dei giocatori che pare non rispettassero più il proprio manager.

Come possiamo valutare questa decisione dei vertici dei Red Sox? Sicuramente una presa di posizione insolita dato che va ad affidare una squadra da primato, vincitrice, lo ricordiamo, di due American League East negli ultimi due anni, nelle mani di un seppur bravissimo bench coach, tuttavia pur senza alcun tipo di esperienza da manager nella Grande Lega statunitense.

Nell’ambiente si dice che le qualità di comunicatore di Cora siano ciò che è mancato a Ferrell negli ultimi tempi al timone di Boston, una città che vive, respira questo sport 12 mesi l’anno. Le World Series 2013 con la vittoria del titolo al primo colpo non bastano più all’ex pitching coach di Terry Francona, per vivere di rendita. La realtà adesso dice Alex Cora.

Se classifichiamo come insolita la scelta di Dombrowski, possiamo fare copia e incolla per descrivere un’altra assunzione eccellente restando nella AL East. E ci riferiamo a Brian Cashman, competentissimo General Manager degli Yankees, che, silurato Joe Girardi dopo 10 anni ed 1 (solo) titolo nel 2009, sceglie l’ex idolo di una notte della franchigia più vincente di questo sport: Aaron Boone.

Recentemente apprezzato analista a Baseball Tonight su ESPN oltre che commentatore delle partite trasmesse dal canale, Boone ha saputo convincere Cashman e gli Steinbrenner sfruttando le proprie doti di comunicatore, esattamente ciò che era scivolato di mano a Girardi nella guida del giovane e talentuosissimo team che a New York si sono ritrovati dopo anni di magre.

Riportare gli Yankees stabilmente ai vertici toccherà quindi all’uomo che nel 2003, all’undicesimo inning di gara 7 della finale dell’American League contro gli arcirivali bostoniani, mandò un pitch di Tim Wakefield sugli spalti del leggendario vecchio Yankee Stadium diventando istantaneamente un eroe nella storia dei Bronx Bombers.

Proprio lui, l’“unlikely hero” della franchigia del Bronx, arrivato nella Grande Mela senza grandi aspettative in uno scambio alla trade deadline 2003 con i Cincinnati Reds allenati da suo padre, in una stagione che vedrà Joe Torre ed i suoi Yankees perdere per la seconda volta in tre anni le World Series.

Una storia, quella di Boone in pinstripes, che si concluderà nel peggiore dei modi con un infortunio durante una partitella di basket nella off-season seguente a quella sconfitta in 6 partite contro i Florida Marlins nella Fall Classic 2003. Palese violazione, questa, del contratto che ancora lo legava agli Yankees e che, neanche a dirlo, obbliga gli atleti professionisti, durante i periodi di non attività, ad astenersi dal praticare altri sport, anche quale mero divertimento.

Ma nel Paese delle seconde opportunità poteva mancare il finale ad effetto? Certo che no, ed ecco allora, come dicevamo sopra, una squadra piena di talento, esplosiva potenza e prospettiva futura nelle mani di un novello manager, mai passato, a differenza del suo collega e rivale nel Masschussetts, neanche da un dugout MLB in ruoli tecnici di rilevanza.

Si dice che abbia convinto i dirigenti Yankee spiegando come crescere in una famiglia dove praticamente tutti hanno impugnato un guantone nella massima lega sia il miglior lasciapassare per conoscere i trucchi del mestiere. Staremo a vedere se le pressioni che entrambi dovranno gestire nelle due metropoli del Nord-Est saranno effettivamente pane per i loro denti o se le aspettative di nuovo inizio riposte nei loro confronti verranno deluse dalla mancanza di esperienza.

Uscendo dalla American League East pur rimanendo sulla costa orientale, anche i cugini degli Yankees, i New York Mets decidono, questa volta con un totale accordo fra il manager uscente Terry Collins e la dirigenza, di affidare la guida sul diamante ad una nuova voce. Anche in questo caso trattasi di un first-timer, ma a differenza di Cora e Boone, Mike Callaway può vantare anni di esperienza in veste di pitching coach in MLB.

I cinque anni con Terry Francona a Cleveland, come fu per John Ferrell a Boston, hanno insegnato il mondo all’ex lanciatore, ora in tutto e per tutto pronto a lanciare il guanto di sfida infra-division ai Washington Nationals, dominatori negli ultimi tempi con ben quattro vittorie negli ultimi sei anni.

Nella capitale, oltre ad osservare il lancio del nuovo corso dei Mets e dei purtroppo ultimamente pessimi Phillies con Gabe Kapler, hanno dovuto tenersi forte durante la tempesta interna che non ha risparmiato l’ottimo manager Dusty Baker (vincitore 2 volte su 2 della division), finito sul banco degli imputati per il mancato passaggio dei Nationals perlomeno alle Championship Series in entrambi i tentativi. Alla fine ha pagato proprio lui, l’esperto allenatore afro-americano.

La mancanza di pazienza da parte della proprietà ha imposto un cambio di guida al pur riluttante General Manager Mike Rizzo che mai avrebbe voluto comunicare a Baker il licenziamento, un po’ per lo spessore del personaggio, un po’ per le dinamiche ed il futuro della franchigia negli anni a venire.

Chissà che Dave Martinez, ex bench coach di Joe Maddon sia a St. Petrsburg coi Rays che nella South Side di Chicago con i Cubs, non possa essere proprio lui l’uomo in grado di portare la franchigia di Washington al tanto agognato titolo. I vicini di casa di Donald Trump scontano aspettative davvero molto alte da diversi anni ormai. Aspettative che li vedrebbero vincitori o quantomeno rappresentanti della National League alle World Series praticamente ogni stagione con il solo ed unico risultato di vedere infranti i loro sogni di gloria non appena si cominci a fare sul serio con i playoffs.

Come anticipato sopra, anche i Phillies, in piena rebuilding-mode da qualche tempo ormai, hanno deciso di puntare su un manager di primo pelo. Si tratta dell’ex outfielder di Boston e Tampa Bay, tra gli altri, Gabe Kapler. Riuscirà Kapler a trascinare Philadelphia fuori dallo spettro dell’ultimo posto nella division e dal peggior record in MLB?

Vedremo. Di sicuro i Nationals ripartono da super favoriti con i Mets unici pronosticabili antagonisti di un certo spessore. Miami di Derek Jeter proprietario non fa altro che smantellare ed Atlanta e i Phillies dovranno dimostrare di non voler recitare il ruolo di eterni fanalini di coda di questo decennio.

Ultimo aggiornamento sul fronte allenatori è quello riguardante un’altra franchigia che da qualche anno a questa parte sta facendo davvero male. Parliamo dei Detroit Tigers che, unica voce fuori dal coro, decidono di puntare sull’ex nemico di division Ron Gardenhire.

Un passato glorioso ai Minnesota Twins di ben 13 anni, costellati da sei primi posti ma da nessun ticket per la Fall Classic. Chiamato dal General Manager Al Avila ad agire da normalizzatore per il post Brad Ausmus (un altro astro nascente che purtroppo ad ora non ha ancora brillato appieno), Gardenhire dovrà saper dare continuità ad un gruppo che l’anno scorso ha perso via trade calibri di prim’ordine quali J.D Martinez (agli Arizona Diamondbacks, ora free agent) e soprattutto Justin Verlander, lo starting pitcher che mancava a Houston per sugellare il 2017 con la vittoria tanto attesa.

Partito anche Ian Kinsler in direzione Anaheim, Nick Castellanos e Miguel Cabrera saranno i perni da cui ripartire per contrastare il dominio degli Indians, ancora favoriti.

 

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