Parlare di Alex Rodriguez ultimamente significa dover parlare di tribunali, citazioni in giudizio ed avvocati. Non fa eccezione nemmeno l’ultima uscita del suo legale, l’avvocato Alan Ripka, il quale martedì ha fatto sapere che il suo cliente non gradirebbe l’esposizione ai media di alcune dichiarazioni rilasciate da Rodriguez stesso in un tribunale newyorkese in merito ai dissapori avuti con il medico degli Yankees Christopher Ahmad.

Il tutto, se visto senza conoscere il contesto, parrebbe il risultato di quei risentimenti che, postumi ad un addio, si portano dietro tutto quello strascico antipatico di cose non dette per quieto vivere ma figlie di una forzata e malvissuta convivenza.

Ebbene, nulla di tutto questo. O meglio, non solo questo. E’ di due mesi fa infatti la guerra aperta che Alex Rodriguez ha deciso di dichiarare al mondo del baseball ed alla sua (ex?) squadra.

Il motivo? La decisione presa da un collegio arbitrale di sospenderlo senza paga dall’attività agonistica per l’intero corso della stagione 2014.

Di lì in poi un susseguirsi di azioni legali e di dichiarazioni quantomeno evitabili da parte di A-Rod. Come la decisione di appellare la sentenza arbitrale che lo condannava, l’unico dei tredici giocatori imputati a farlo. O la decisione di citare in giudizio il sindacato dei giocatori MLB, la MLBPA, per una presunta mancanza di adeguata rappresentanza dei suoi interessi nei confronti delle istituzioni che gli muovevano le accuse di violazione delle norme antidoping.

Mossa, quest’ultima, come ben si può intuire, che poca popolarità ha riscosso fra i suoi (ex?) colleghi. Fra le tante battaglie legali intraprese rientra anche la decisione di portare davanti ad un giudice, come abbiamo accennato, chi ha tentato di curarlo dagli acciacchi che negli ultimi tempi lo hanno limitato nelle presenze in campo.

Tentativi a nostro modo di vedere diretti più a creare la confusione necessaria per far passare inosservate le marachelle del passato che motivi veri e propri di difesa dei suoi interessi. Una strategia di comunicazione, insomma. Questo, quindi, il contesto all’interno del quale leggere la notizia di oggi. Ma facciamo un po’di chiarezza.

I fatti risalgono ad Ottobre 2012 quando, secondo il team di avvocati di Rodriguez, il dottor Ahmad avrebbe mancato di informare A-Rod della gravità di una risonanza magnetica che lo slugger newyorkese avrebbe poi scoperto mostrare una lacerazione parziale ai legamenti dell’articolazione dell’anca sinistra.

Problema fisico col quale Rodriguez, e questo è il motivo della doglianza processuale, avrebbe convissuto non curandolo a dovere ma soprattutto giocandoci sopra, andando così a peggiorare la situazione.

In ogni caso il fatto che il medico di una squadra sportiva professionistica si dimentichi di comunicare all’interessato un problema fisico che impedisce a quest’ultimo la regolare attività pare alquanto strano. Saranno comunque i giudici a stabilire chi abbia o meno ragione.

Ciò che lascia perplessi sono i rapporti personali che Rodriguez deve avere avuto con molti componenti dello staff e della squadra all’interno di uno spogliatoio da sempre condito di mille stars come quello dei New York Yankees.

Prima il raffreddamento dell’amicizia con Derek Jeter dal momento del suo sbarco al Bronx nel 2004 per poi passare a Joe Torre che dalle pagine del suo libro “The Yankee Years” ci racconta dell’appellativo non troppo simpatico trovatogli dai compagni di squadra al suo arrivo a New York, “the cooler”, ossia un modo per dire “quando arriva lui le vittorie spariscono”.

Insomma, un gioco di accuse e ripicche che rischia di essere l’unico modo rimasto al grande campione Rodriguez per fare notizia di questi tempi. Un gioco che, nonostante i rimanenti quattro anni di contratto che lo legano ai Bronx Bombers, allontanerà A-Rod crediamo definitivamente dagli Yankees.

La frattura insanabile del resto la sta creando lui, non il management di New York che, anzi, negli anni di militanza di Alex in pinstripes ha dovuto sopportare gli atteggiamenti spesso da diva del campione di origine dominicana. Ma l’appello stavolta non crediamo gli verrà proprio più concesso.

 

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