Ecco, ci siamo. I parcheggi si stanno riempiendo, manca ancora qualche ora, ma la giornata è festiva e molti si sono mossi con largo anticipo. Nelle vicinanze dei cancelli non si contano i barbecue estemporanei scaricati in fretta da un pick-up e preparati con esperta cura; ancora qualche minuto e, caldi e sfrigolanti, saranno pronti per la prima “carica” di bistecche, salsicce e costine. Qualcuno si è portato un paio di guantoni e, tra le macchine in sosta, si scambia qualche tiro. Non manca, tra un lancio e un altro, un commento sagace sulle ultime prestazioni di pre-season, o una battuta scambiata con la coppia di amici, un po’ sovrappeso e già alla seconda birra, che passano loro di fianco e che scherzosamente li invitano a partecipare alla loro eccitazione.

Una station wagon scarica, poco lontano, una vivace famigiola composta da papà, mamma e tre ragazzini tra i dodici e i 6 anni. Ognuno di loro porta i segni distintivi della fede sportiva. A nessuno dei cinque manca il cappellino, il padre e il ragazzo più grande hanno la maglia ufficiale, mentre la più piccola sventola con orgoglio una bandierina colorata col logo della franchigia in evidenza.

Poco più in là, un gruppetto di amici si sta avvicinando ai cancelli. Accompagnati dalle rispettive consorti, intonano una cantilena di incitamento che coinvolge anche diverse persone che incrociano il loro cammino. “ehi Joe!” Un uomo riconosce l’amico, forse un collega d’ufficio, che ha parcheggiato una mezza dozzina di posti più in là. Lo raggiunge e insieme iniziano, camminando, una conversazione fitta e competente su quale sarà la rotazione di stasera e su chi prenderà il posto nel lineup del battitore designato infortunato e fuori per qualche settimana.

Le file ai cancelli sono ordinate e scorrevoli. Gli addetti ai biglietti sorridono ai tifosi e condividono con loro qualche battuta sulla stagione che sta iniziando, sulle speranze e sulle aspettative, che in questa serata di primavera risultano, come da tradizione, ottimisticamente sproporzionate alla realtà. Salite le scale, i colori che già si stavano formando nella serpentina di tifosi che si avvicinavano allo stadio, esplodono nei chioschi di merchandising ufficiale già presi d’assalto da chi è in cerca del prodotto nuovo, o del pennant aggiornato, o dell’oggetto da regalare a chi è dovuto rimanere a casa e vedrà la partita in TV.

Nel “recinto” destinato agli irriducibili della nicotina, un paio di uomini fumano accanitamente ciondolando su e giù come rottweiler in un canile, senza guardarsi. Qualche metro più in là gli stand di hot dogs, hamburger e birre formicolano di ragazzotti indaffarati in divisa d’ordinanza, le fronti imperlate di sudore sotto i cappellini, intenti a guadagnarsi al meglio la paga della giornata mentre il vociare di ordini e ordinazioni è quasi incomprensibile. Gente di ogni età e sesso si avvicina frettolosa alla balaustra, per poi allontanarsi a mani piene dalla stessa qualche minuto dopo, per raggiungere familiari e amici affamati, mentre qualcuno urla invano sopra alla confusione richiamando un tipo che si era dimenticato il resto.

L’odore di fritto e grasso sulla griglia si mescola facilmente al dolciastro di colorati e improbabili ciuffi di zucchero filato che un paio di bambini stanno famelicamente attaccando sotto gli occhi attenti dei genitori. Peanuts e cracker, bicchieroni di coca light e gelati confezionati, merendine e Budweiser, rendono l’atmosfera del tutto simile a quella che si respira in un parco di divertimenti, così come le espressioni felici ed eccitate dipinte sui volti di tante persone.

Gli spalti si stanno riempiendo piano piano e già qualcuno scambia un “cinque” col vicino, lieti di rivedersi dopo i tanti mesi di offseason, ancora ai loro soliti posti per vivere nuove emozioni. Un bimbo, probabilmente alla sua prima partita MLB, riempie le orecchie del padre di domande eccitate, mentre un gruppetto di ventenni giunto all’ennesima media sta dando spettacolo a torso nudo, divertendo gli astanti.

Una piccola ovazione si alza da un’ala del ballpark: il batting practice è finito e i giocatori della squadra di casa si posizionano in difesa per allenare prese e assistenze. L’entusiasmo è alle stelle vicino alla balaustra più in basso: l’esterno sinistro si è appena accostato alla sua zona di competenza e saluta il pubblico urlante toccandosi la visiera del cappellino, mentre telefonini e macchine fotografiche compatte scintillano di flash frenetici aspirando all’istante perfetto: quello da immortalare a imperituro ricordo di quella magica serata. Vicino all’out di destra, invece, una mezza dozzina di tifosi, mani attorno alla bocca, urlano grida di incitamento in direzione della prima base. Uno degli schermi luminosi all’esterno centro avvisa tutti di quanti minuti mancano all’inizio; di fianco a questo, altri due già fanno sapere agli appassionati i risultati dagli altri campi, per le gare in corso di svolgimento.

Commozione e solennità, accompagnano poi l’esecuzione dell’inno nazionale, ad opera di un intonatissimo veterano della marina reduce da una missione in Afghanistan. Migliaia di persone lo accompagnano sull’attenti, mentre le due squadre schierate ascoltano in silenzio coi cappellini sul cuore e la concentrazione negli occhi. Lo speaker annuncia il lineup della squadra avversaria e, tra l’euforia generale, lo schieramento difensivo e la batteria: il lanciatore partente, della cui designazione, peraltro, tutti erano al corrente, è accolto da un boato assordante.

Sugli schermi giganti dietro agli esterni, appaiono le foto e le statistiche della scorsa stagione dei due protagonisti di quel momento: il pitcher di casa e il leadoff avversario. Tutto è pronto, comincia la selva di flash. L’arbitro fa un cenno ai suoi colleghi, si abbassa la maschera sul volto e si accuccia dietro al catcher: PLAYBALL!!

 

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